Lugano

Senza permesso per 15 anni, ma resta in Ticino a suon di ricorsi

L’incredibile storia di un cittadino kosovaro, condannato nel 2009 per un pestaggio in città e al quale era stato intimato di lasciare la Svizzera – La sua battaglia legale si è protratta nel tempo grazie a numerose domande di riesame, alcune anche accolte
© CdT/Chiara Zocchetti
Nico Nonella
27.07.2024 15:00

È una vicenda che ha quasi dell’incredibile quella che ha come protagonista un oggi 35.enne cittadino kosovaro il quale, nonostante gli sia stato revocato il permesso ben 15 anni fa è riuscito «ad eludere la legislazione in vigore», prolungando «artificiosamente la propria presenza in Svizzera malgrado le decisioni definitive pronunciate nei suoi confronti». A dirlo è il Tribunale amministrativo federale, una delle tante Corti penali e amministrative che dal 2009 si sono occupate di questo caso. Il protagonista è un volto noto alla cronaca giudiziaria di quindici anni fa: il 25 giugno del 2009 era infatti stato condannato dalla Corte delle assise correzionali allora presieduta dal giudice Claudio Zali a una pena detentiva di due anni e due mesi, di cui 12 mesi da espiare e i rimanenti 14 mesi sospesi per un brutale pestaggio andato in scena nell’ottobre 2008 a Lugano.

Un ping-pong giuridico

Preso atto della condanna, il 15 settembre successivo la Sezione della popolazione decide per la revoca del suo permesso di domicilio. La stessa viene però annullata nel maggio del 2011 dal Tribunale federale, il quale ordina altri accertamenti più approfonditi circa lo stato di salute dell’interessato e la possibilità per lui di potere essere adeguatamente seguito dal profilo medico anche nel suo Paese d’origine per i suoi problemi cronici.

Nel frattempo, la revoca del suo permesso viene nuovamente confermata, in ultima istanza anche dal Tribunale federale nel settembre del 2014. A questa decisione seguono due domande di riesame, una del novembre 2014, bocciata anche dal TF tre mesi dopo, e una del marzo 2015. In questo caso, l’iter è decisamente più lungo: nel 2018 l’Alta Corte federale accoglie infatti un suo ricorso intimando alle autorità cantonali di esaminare la sua situazione alla luce di un possibile peggioramento del suo stato di salute. Siamo ora nel marzo del 2020: la Sezione della popolazione rifiuta nuovamente di concedergli un permesso di domicilio e fissa un termine di partenza dalla Svizzera entro il 10 aprile 2020. Anche qui è necessario attendere una sentenza del Tribunale federale, il quale respinge il ricorso dell’uomo l’8 marzo del 2023.

La vicenda è però ben lungi dall’essere conclusa: il 22 maggio successivo viene intimato un nuovo termine per lasciare il Paese: il 22 giugno, con esecuzione del rimpatrio prevista per il 26 luglio. Il cittadino kosovaro non demorde e presenta una terza domanda di riesame, che la Sezione della popolazione, con decisione del 14 settembre 2023, rifiuta di esaminare. Il 21 febbraio scorso il Consiglio di Stato conferma questa decisione e il dossier è pendente al Tribunale cantonale amministrativo. E a rendere ancora più paradossale l’intera vicenda è il fatto che in tutti questi anni, l’oggi 35.enne non ha mai potuto lavorare restando di fatto in un «limbo».

Segnalato a Schengen

Ma la vicenda è lungi dall’essere conclusa: il 27 luglio 2023 la Segreteria di Stato della migrazione emana infatti nei suoi confronti un divieto d’entrata di tre anni con segnalazione nel sistema d’informazione Schengen. L’uomo si oppone, sostenendo che una simile limitazione gli impedisca di farsi appropriatamente curare in Ticino. La misura viene impugnata al Tribunale amministrativo, che si esprime nel merito il 29 maggio scorso (la sentenza è fresca di pubblicazione). In estrema sintesi, la Corte conferma il provvedimento della SEM ritenendo che il ricorrente rappresenti un pericolo per la sicurezza del Paese (oltre alla citata condanna, negli anni era incappato in in pene pecuniarie per eccesso di velocità nel 2010, minaccia contro le autorità l’anno seguente e falsa testimonianza nel 2017). Per il TAF ha pesato anche il fatto che l’uomo «non ha mai svolto una reale ed effettiva attività lucrativa (eccetto alcuni mesi nel 2009) e non è mai stato finanziariamente autonomo». Oltra l fatto di aver «prolungato artificiosamente la propria presenza in Svizzera», ponendo «le autorità dinanzi al fatto compiuto». Quanto al suo problema di salute, il TAF gli ha ricordato «la possibilità di inoltrare alla SEM una richiesta di sospensione temporanea del divieto d’entrata qualora ne necessiti per effettuare delle visite mediche (nel nostro Paese ) o, se necessario, farsi operare». Sul caso è pendente un ricorso alla CEDU.

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