Sessant’anni fa veniva fatto esplodere il castello di Trevano
«Il 31 ottobre 1961, su decisione presa dal Gran Consiglio, 230 chili di esplosivo facevano saltare in aria un capitolo di storia culturale e un patrimonio civico di inestimabile valore. Dopo un boato simile a un tuono e un tremito del terreno, una grande nube di polvere, quasi un simbolico sudario, nascondeva l’agonia della più splendida residenza della Svizzera». Alle 16.05 il castello di Trevano non c’era più. Aveva da poco compiuto novant’anni. Demolito per fare spazio agli edifici che da allora e fino a pochi mesi fa hanno ospitato la Scuola Tecnica Superiore (nel frattempo diventata la SUPSI). Demolito perché giudicato fatiscente e oneroso da mantenere. Demolito (e qui facciamo gli avvocati del diavolo perché nella documentazione di allora la cosa non emerge un granché) perché non considerato sufficientemente antico da esser degno di essere preservato. Sia come sia, quando se ne decise l’abbattimento in Parlamento furono ben poche le voci critiche: la STS doveva lasciare Palazzo degli studi in centro con una certa urgenza e Trevano sembrava un’ottima idea. «Il centro di studi professionali a Trevano sarà il più bello della Svizzera», scriveva per esempio questo giornale a macerie ancora calde.
Trasudando decadenza
A sessant’anni di distanza la prospettiva è ribaltata, e la demolizione del castello si può considerare «uno degli errori più amari della storia ticinese». Parole - come quelle che aprono questo articolo, scritte da Nadir Sutter per un dossier sul castello apparso nel 1998 sulla rivista «Il nostro paese» - che non temono di essere smentite. Tanto più che oggi gli spazi lasciati vuoti dalla SUPSI trasudano decadenza e non si può dire che l’intero comparto sia invecchiato bene. Stando a nostre informazioni, nel breve medio termine gli spazi - quantomeno i pianoterra - verranno utilizzati per ospitare classi scolastiche «sfollate» per questa o quella ristrutturazione della propria sede originale: ad esempio l’edificio poco distante che ospita le Medie è alla fine del proprio ciclo di vita.
Due momenti di splendore
Ma torniamo al castello, costruito nel 1871 dal barone russo Paul von Derwies. Di stile francese e classicheggiante, era composto di un corpo centrale, due ali e un grande atrio. Il palazzo ospitava fra l’altro una sala teatro e una sala concerti (con un’orchestra presente in pianta stabile). Ad accogliere gli ospiti in cima allo scalone c’era lo Spartaco di Vicenzo Vela, oggi nel patio di Palazzo Civico. Tutt’attorno un gigantesco parco di 300.000 metri quadrati, che si estendeva dalla masseria di Cornaredo a Canobbio, inglobando gran parte della collina, giù fino a dove sbuca la galleria Vedeggio-Cassarate. Parco in cui spuntavano edifici accessori e in cui pullulava una flora rara alle nostre latitudini. La proprietà ebbe due momenti di grande splendore: sotto la guida del barone fino alla sua morte nel 1881 e sotto quella del musicista franco-americano Louis Lombard fra il 1900 e il 1927. Lombard che in quegli anni organizzò quasi mille concerti sinfonici e operistici, la maggior parte proprio a Trevano. Il castello dunque era uso aprire le proprie porte al mondo esterno. Era parte dell’offerta culturale cittadina. Poi nel ‘34 passò nelle mani del Cantone e iniziò il declino. Qualcuno propose di farne un centro cinematografo, qualcun altro un albergo con un grande anfiteatro, ma di trattative serie non ce ne furono mai. Durante la guerra - come imponeva il piano Wahlen - l’area venne coltivata. E venne prodotto Merlot visto che il Cantone proseguiva gli studi sull’adattabilità di questa vite in Ticino. Sempre durante il conflitto il castello ospitò ausiliarie femminili dell’esercito e rifugiati.
Quel che rimane
Se del castello oggi a Trevano non c’è più traccia (qualche colonna di marmo e capitello era stata rimossa prima della posa delle mine), l’area del parco è tutt’oggi ancora in gran parte verde e parte delle costruzioni ausiliarie sono ancora al loro posto, in diverso stato di conservazione. Negli scorsi giorni abbiamo visitato l’area. Salendo dal sentiero che lambisce la masseria si sbatte contro la torre di Vera, una struttura decorativa in stile medievale voluta dalla figlia del Barone. Torre oggi in pessimo stato di conservazione. Incamminandoci verso la Scuola arti e mestieri ci siamo imbattuti in un paio di gallerie scavate nel tufo e oggi mezzo colmate: quel che resta di un «giardino» magico. A pochi passi si trova la fontana di Nettuno. Recentemente restaurata, è probabilmente tra le più grandi nel suo genere inEuropa. Di certo in Ticino. E il suo getto era il più alto del cantone. Oggi si affaccia su un parcheggio, a fianco di una strada di servizio. In faccia al centro studi troviamo invece - sull’altro lato della strada - un gruppetto di case tuttora abitate, che ai tempi ospitavano il personale del castello ed erano collegate alla struttura principale da un ponte di ferro battuto.
L’Oberland all’improvviso
Dietro alle Medie sembra di ritrovarsi improvvisamente nell’Oberland bernese. Merito di un edificio che richiama sia una dacia russa che una fattoria svizzera con a fianco una stalla. Entrambe ottimamente conservate e tuttora abitate. A pochi passi, in uno stato di conservazione più precario, sorge una delle due neviere a servizio del castello. Neve e ghiaccio che venivano presi dai laghetti (poi interrati per realizzare lo stand di tiro sottostante). Acqua che però fra qualche anno tornerà in superficie nell’ambito del progetto di riqualificazione dell’area del Pratone di Trevano. Ed è proprio nella piana sottostante che concludiamo il nostro giro, con forse il manufatto più sorprendente, mezzo inghittito dalla natura: la centrale del gas che dava luce al castello tramite quattrocento lampioni. Trecentrotrenta in più di quelli che si contavano allora in tutta Lugano.
Trova la differenza
Questo resta, dunque, del castello di Trevano. Qualche pezzo minore sparso qua e là a casaccio a evocare una «grandeur» perduta che, avesse prevalso un’altra sensibilità, oggi sarebbe uno degli atout turistici della città. Una di quelle attrazioni capaci da sole di richiamare visitatori dall’estero. Non è solo un’ipotesi, e Nizza lo dimostra. Il barone von Derwies costruì infatti il castello di Trevano appena dopo averne completato un altro in Francia: il castello di Valrose. Il concetto era lo stesso in entrambi in paesi (ma a Nizza il palazzo si rifà all’architettura gotica), così come lo è oggi la destinazione. Ma se in Ticino si decise di demolire per far spazio a edifici scolastici, in Francia il campus universitario è sorto nel parco e il castello ne fa tuttora parte.
Anche il periodo storico in cui è stata effettuata questa scelta non si discosta poi molto. La proprietà francese alla morte del barone passa a un certo punto in mano al ricchissimo industriale boliviano Simon Iturri Patiño, detto il Rockfeller delle Ande. Nizza la acquista nel 1950 e subito la dà in gestione allo Stato; per la precisione al Ministero dell’educazione nazionale, che lo usa per inserirvi la sede e la facoltà di scienze dell’Università della Costa Azzurra. Un connubio riuscito, tant’è che nel 1991 il sito viene dichiarato monumento nazionale francese.