Sfratto per il campus tenuto d’occhio dal Cantone

È già finita sotto i riflettori in passato. I suoi promotori hanno però sempre rivendicato e ribadito la loro legittimità a operare e il loro completo rispetto delle regole in vigore. Prendendo drasticamente le distanze da chi offre studi terziari abusando di denominazioni di cui non può fregiarsi (su tutti il termine di università) e anche da chi aveva occupato prima di loro quel palazzo di Chiasso. In parole povere prendendo le distanze da IPUS, Unipolisi e Vincenzo Amore (ma di questo parleremo in seguito). Sulla Ifass Swiss SA si sono però nuovamente accesi i riflettori.
La società privata attiva nel campo dell’istruzione presente a Chiasso in via Vela 4 dal giugno del 2017 è infatti finita nei giorni scorsi per due volte sul Foglio ufficiale. Il motivo? Spese non pagate a Roberto Badaracco, proprietario del palazzo chiassese che ospita la Ifass Swiss, che le sono valse prima una causa d’espulsione dai locali e poi una notifica di sfratto immediato. A confermarcelo è lo stesso Badaracco, che parla di spese scoperte e raccomandate non ritirate negli ultimi mesi. Per capire se l’offerta formativa sia ancora attiva (come sembra visitando la pagina Facebook della scuola) e in generale cosa stia accadendo alla società abbiamo provato a contattare la direzione. I nostri tentativi finora si sono però rivelati senza successo.
Anche criminologia
La Ifass Swiss propone corsi di studio in fisioterapia, scienze infermieristiche e criminologia. «Presto saranno attivati Digital Media & New Journalism e Cultural Heritage Management». Queste le indicazioni contenute sul sito Internet della società, che si autodefinisce campus. Ma non universitario. Di termini quali università oppure ateneo sul sito non c’è traccia. La società in effetti non può utilizzarli. Questo perché in Ticino esistono delle norme che vietano l’uso di denominazioni universitarie ad organizzazioni non riconosciute secondo la Legge federale sulla promozione e sul coordinamento del settore universitario svizzero e la Legge sull’Università della Svizzera italiana, sulla Scuola universitaria professionale della Svizzera italiana e sugli istituti di ricerca.
In passato questa regola non è però sempre stata rispettata, costringendo il Cantone a controlli severi. Chi, come Ifass Swiss, propone sostanzialmente una formazione terziaria a studenti italiani rimasti esclusi da facoltà in cui nella penisola vengono accettate iscrizioni a numero chiuso, non sempre ha infatti rispettato le regole (c’è anche chi è finito in un’aula penale, come vedremo tra poco).
Due anni fa sotto la lente del Cantone era finita anche la Ifass Swiss. Vertici della società e funzionari della Divisione della cultura e degli studi universitari si erano incontrati per verificare il presunto uso improprio delle denominazioni protette, come università, ateneo, accademia e simili da parte di Ifass Swiss. In quell’occasione, dopo un primo infruttuoso richiamo per iscritto, alla Ifass era stato dato un mese di tempo per mettersi in regola. Cosa che era stata fatta. I corsi erano poi ufficialmente iniziati in ottobre. In questi quasi due anni l’attenzione del Cantone nei confronti della società non è però calata. Tanto che il DECS resta vigile e ci conferma che «accertamenti» - anche in funzione dello sfratto - sono tuttora in corso.
Amore dietro le sbarre
Può una scuola finire in un’aula penale? E i suoi responsabili in prigione? La risposta è affermativa e riporta alla mente la vicenda di Vincenzo Amore, di cui molto si è parlato negli ultimi anni (una vicenda che presenta similitudini con quella della Ifass). L’uomo era finito alla sbarra a fine 2018, insieme all’ex compagna e segretaria della scuola IPUS. In primo grado i due erano stati ritenuti colpevoli di truffa ai danni degli studenti iscritti agli istituti IPUS di Chiasso (con sede proprio nel palazzo di via Vela 4) e Unipolisi con sede a Disentis perché avevano fatto loro credere che si trattasse di università riconosciute. All’ex direttore, il cosentino 62.enne Vincenzo Amore, era stata inflitta una pena di 26 mesi da espiare in considerazione del rischio di recidiva e del pericolo di fuga. Alla donna 50.enne erano stati inflitti 20 mesi sospesi per un periodo di tre anni. Entrambi si erano opposti alla sentenza, ma in secondo grado le pene erano state addirittura inasprite.