Si rivolge alla Pretura e finisce in aula penale
In aula si è parlato di Paesi stranieri, di ex presidenti di Stato, di contratti milionari (falsi), di scene da film hollywoodiani e performance da grandi attori. Ma anche di attori più locali, ma non per questo meno importanti e meno autorevoli come la Pretura di Lugano. Perché il processo andato in scena oggi davanti alla Corte delle Assise criminali presieduta da Amos Pagnamenta riguarda una truffa processuale ai danni dello Stato con sullo sfondo il progetto per la costruzione di un ospedale pediatrico a Pristina, in Kosovo. Che ci fosse odor di truffa, Pagnamenta non ha avuto dubbi: «Nulla di quanto dichiarato dall’imputata è anche solo lontanamente credibile», ha detto prima di pronunciare la condanna a 24 mesi di carcere, sospesi per due anni e l’espulsione dalla Svizzera per cinque.
L’ospedale pediatrico
Torniamo all’ospedale, quest’ultimo per vedere la luce aveva l’assoluto bisogno – almeno a detta della diretta interessata – della donna alla sbarra: una 47.enne kosovara residente in Italia. La donna ha messo in piedi un vero «castello delle menzogne», parole della procuratrice pubblica Francesca Nicora, per mettere in scena in suo copione. La metafora non è casuale in quanto l’imputata in aula è stata paragonata a un’attrice dalla stessa Nicora, capace di creare trame degne di un film di Hollywood. La storia che ha costruito non era infatti solo fatta di bugie e documenti contraffatti, ma anche condita di elementi strappalacrime quali sequestri di persona, aborti, tentativi di suicidio e altro. Riferimenti, questi ultimi della procuratrice pubblica, al passato (raccontato) della 47.enne, che non sono piaciuti all’avvocato della difesa.
Il tutto (o meglio, le prime contraffazioni di documenti) è iniziato nel 2016. A quel periodo corrisponde infatti la creazione del documento attorno a cui ruota tutta l’inchiesta. Si tratta di un contratto dal titolo «Consultancy service agreement» (in inglese anche se l’imputata non lo parla) stipulato tra la 47.enne e l’ex presidente del Kosovo (ma noto non solo per questo) Behgjet Pacolli il quale, con una sua azienda (che però non risulta accusatrice privata), era coinvolto nella costruzione dell’ospedale pediatrico di Pristina. Nero su bianco veniva riportato il valore del servizio di consulenza che l’imputata forniva per condurre in porto il progetto: 2 milioni di euro. Da corrisponderle in due tranche, la prima alla firma dell’atto, la seconda a ospedale ultimato. Peccato che le firme di Pacolli (più di una) fossero tutte false. A stabilirlo una perizia grafologica commissionata dalla Pretura di Lugano. False quanto molte email inviate dall’ (e all’) imputata in qualità di presunta consulente. Falsità anche questa attestata da un perito incaricato dalla Pretura.
«Astuta e machiavellica»
Se vi chiedete cosa centri la Pretura luganese è presto spiegato. Pur di ottenere il compenso previsto dal contratto la donna ha presentato un esposto in Pretura contro Pacolli e la sua azienda, così che venisse pagata. Per farlo è riuscita a ingannare, convincendoli della sua storia, pure i suoi avvocati. Ma non il pretore, visto che al termine dell’udienza avvenuta il 14 maggio di quest’anno è stata arrestata.
La donna era accusata di truffa aggravata e ripetuta falsità in documenti. «Astuta e machiavellica. Manipolatrice e affabulatrice», l’ha descritta Nicora prima di definire grave «se non gravissima» la sua colpa oggettiva e chiedere una condanna di 4 anni di reclusione (più 7 anni di espulsione dalla Svizzera).
«Pretese legittime»
Molto distante da quella dell’accusa la visione di quanto accaduto dell’avvocato della difesa Davide Ceroni. Il patrocinatore dell’imputata ha infatti messo in evidenza l’atteggiamento processuale di Pacolli e dei rappresentanti dell’azienda. «La genesi del contratto è chiarissima e lontanissima da quanto vuole fare credere», ha sostenuto, elencando più elementi a dimostrazione che l’imputata e Pacolli si conoscessero, ma anche che il legame professionale della donna con l’azienda fosse reale. «Confrontata con un simile atteggiamento la mia assistita si é vista costretta a una procedura civile al fine di dimostrare la legittimità delle sue pretese», ha aggiunto chiedendo il proscioglimento dal reato di truffa e il contenimento della pena in carcere a quella già espiata.
Una tesi, quest’ultima, che però non è stata abbracciata dalla Corte, pur derubricando il reato di truffa aggravata a truffa tentata, semplice: «Si tratta di un singolo episodio, l’aggravante del mestiere non sussiste», ha concluso Pagnamenta.