«Solidarietà anche con piccoli gesti, la risposta dei ticinesi alla pandemia»

La pandemia ha creato nuovi bisogni, ma anche un nuovo impegno e nuove forme di solidarietà. Ne abbiamo parlato con Marco Fantoni, direttore di Caritas Ticino, che in questa situazione di crisi si è trovata al fronte e ha potuto beneficiare di una nuova sensibilità nella popolazione.
La crisi legata alla pandemia ha aumentato i bisogni di una parte della popolazione. Come stanno rispondendo i ticinesi a questa «emergenza»?
«Dal nostro osservatorio rileviamo come il tema della solidarietà continui ad essere presente nella popolazione. Storicamente in Svizzera e in Ticino l’attenzione a chi è maggiormente in difficoltà è sempre stata rilevante. Lo vediamo sia in piccole azioni locali, anche a livello personale e discreto, sia con i gruppi e associazioni che si sono mossi e si muovono attualmente, anche se con la possibilità per tutti di poter uscire di casa una serie di azioni era maggiormente presente durante l’inizio della pandemia. La solidarietà è viva in ogni tempo sia in questo di pandemia, sia in periodi ‘normali’. Forse è proprio questo il punto, la solidarietà si esprime sempre e viene ulteriormente valorizzata in momenti difficili che toccano tutti noi e non ‘solo’ chi vive in una parte lontana del mondo».
Nella definizione che Caritas Ticino sta dando della povertà figura anche la solitudine. Come mai?
«Esiste una povertà relativa, persone che faticano dal profilo economico a far quadrare i conti; la pandemia non ha permesso a tutti di avere immediatamente degli aiuti da parte dello Stato quando necessari. Ci sono sicuramente dei miglioramenti a livello sociale da apportare, lo Stato non deve soprattutto smantellare ciò che ha costruito nella sua storia. Ma oltre agli aspetti materiali, quelli della solitudine portano a qualcosa di diverso. L’esclusione dal mondo del lavoro, ad esempio, su cui è basata la nostra civiltà, porta anche all’esclusione dalla società, si ha difficoltà ad incontrare gli amici, si rimane in casa magari senza alcuna persona attorno e le relazioni diminuiscono. Se ciò avviene sempre di più dobbiamo interrogarci su che tipo di comunità siamo e vogliamo costruire».
Nell’ambito della solidarietà non ci sono solo gli aiuti materiali, ma anche quelli ‘morali’ o ‘relazionali’. Cosa sta succedendo in questo ambito?
«Diverse persone che si sono rivolte al nostro Servizio sociale hanno espresso riconoscenza non unicamente perché hanno ricevuto aiuti materiali, ma perché sono state ascoltate. Hanno potuto condividere il loro disagio momentaneo o presente da tempo esprimendo una sorta di ‘liberazione’. Per alcune persone, in determinati momenti della pandemia, il contatto, la relazione che partiva da aspetti materiali-amministrativi si rivelava essere piuttosto l’opportunità di intrecciare un discorso, una riflessione e dunque ritrovarsi persone meno sole. Sicuramente il sostegno materiale aiuta, quello relazionale contribuisce a far sentire la persona meno sola».
C’è una risposta anche da parte delle aziende? Con quali modalità?
«Abbiamo ricevuto aiuti economici spontanei da privati cittadini, da enti pubblici, dalla Catena della Solidarietà e da aziende. Anche in Ticino durante la pandemia ci sono state imprese che fortunatamente non hanno dovuto interrompere le proprie attività, anzi, le hanno incrementate. Penso in particolare al settore farmaceutico. In tal senso una grande azienda ha organizzato al proprio interno una campagna di raccolta fondi, anche con l’autotassazione dei dipendenti, il cui ricavato è stato distribuito a diverse associazioni tra le quali anche Caritas Ticino. È un gesto di responsabilità da parte del personale in un momento dove è stata riconosciuta la situazione di ‘privilegio’ di un posto di lavoro e dunque di una conseguente solidarietà verso coloro che si sono trovati in situazione di difficoltà».
Quali sono le iniziative più importanti che portate avanti in questo periodo?
«Il Servizio sociale è quello maggiormente coinvolto nell’accogliere, ascoltare e rispondere alle richieste di aiuto, elargite in modo sussidiario e dopo una verifica delle situazioni personali e senza eccedere nella burocrazia. Questi aiuti, come il pagamento di fatture o tramite buoni per acquisti di alimentari, sono stati effettuati mantenendo i criteri di attenzione alla dignità della persona, evitando l’assistenzialismo pur trovandoci in una situazione straordinaria. Ma anche nei servizi della lotta alla disoccupazione come i nostri Programmi occupazionali c’è stato un grosso impegno sin dall’inizio della pandemia. Sono oltre mille le persone che partecipano alle nostre attività produttive e in periodi come quello che stiamo vivendo un luogo di lavoro diventa fondamentale sia per la motivazione nella continua ricerca di un’occupazione, sia quale punto di riferimento per la propria quotidianità. Il lavoro rimane uno strumento fondamentale per sentirsi attivi e partecipi nella nostra società, nelle nostre comunità. Su questo penso debbano puntare la politica, la società civile, l’economia, i lavoratori e le lavoratrici, cioè creare le condizioni quadro affinché coloro che vivono in Ticino abbiano la possibilità di avere un lavoro stabile, sostenibile, che garantisca un reddito dignitoso ad ognuno. Creando ricchezza, ridistribuendola in modo equo potremo avere, come la definisce papa Francesco ‘un’economia inclusiva’ a misura di persona e contemporaneamente lottare alla fonte contro il rischio di povertà».
«La condivisione, motore generativo di una società inclusiva»
Il vicedirettore di Caritas Ticino, Stefano Frisoli, spiega la visione su cui si fonda il tentativo di rendere attivi i lavoratori esclusi dal mercato
«Ogni giorno nelle nostre sedi incontriamo molte persone. Tante storie diverse, tante situazioni complesse, ma anche tanti sogni e desideri che rimangono spesso celati dietro una sfiducia nel sistema che viene percepito come lontano dalla quotidianità e dalle difficoltà delle persone. Spesso le nostre misure di Programma occupazionale sono condizionate da subito da questa tara». Non sempre è facile aiutare le persone in difficoltà a ritrovare una propria progettualità, come spiega Stefano Frisoli, vicedirettore di Caritas Ticino.
«Per noi parlare di lavoro - continua - passa da un’esperienza concreta, vera, agganciata al mercato del lavoro per quanto realizzata in attività produttive non concorrenziali che svolgono però un’azione di utilità pubblica. Il lavoro diventa il “luogo” della partecipazione, dove attraverso la condivisione del tempo, degli spazi e della fatica si può immaginare di aprire un territorio di incontro orizzontale che tematizzi capacità e limiti con un focus sempre orientato alle risorse come vero motore del “possibile”».
Le opportunità
La condivisione diventa un motore di creatività e di generazione di opportunità. «È proprio in questo scambio - spiega Stefano Frisoli - che si può dischiudere un orizzonte diverso, decisivo per immaginare “altri scenari”. Uno scambio che piano piano dia corpo ad una nuova progettualità personale e che possa concretamente riorientare la ricerca lavoro, anche se la situazione di contesto non aiuta certamente».
«Alle volte - continua - questo percorso fa emergere anche difficoltà personali non strettamente legate all’ambito professionale, che però lo contaminano e lo condizionano. In questi casi la delicatezza delle situazioni richiede strumenti diversi e adeguati, ma al centro rimane sempre la persona, con la sua autonomia e libertà di accogliere o meno le proposte».
Un nuovo modello
«Per noi diventa altrettanto importante - commenta - segnare anche un indirizzo possibile rispetto al modello economico. Ci definiamo un’impresa sociale e in questi anni abbiamo riflettuto molto sulle modalità di incarnare questo modello incentrato sulle risorse delle persone. Oggi lo esprimiamo attraverso il concetto di sostenibilità sociale, ambientale ed economica. Il fatto che oltre una quindicina di persone che hanno partecipato alle nostre misure in disoccupazione o assistenza oggi siano nostri colleghi è la dimostrazione che un modello alternativo fondato sullo sviluppo sostenibile del territorio possa generare inclusione sociale e lavorativa».
«In questo percorso - conclude - ci ritroviamo a “rileggere” molti contributi di pensatori come Amartya Sen o Muhammad Yunus oltre ai documenti della Dottrina sociale della Chiesa. Stare nelle relazioni, esserci, condividendo i percorsi e ricontestualizzando le singole relazioni in un sistema complesso, pensiamo possa essere generativo nel tentativo di costruire una società più inclusiva e solidale».