«Sui frontalieri spero che arriveremo a soluzioni di mutuo beneficio»

Dallo scorso 14 giugno nuovo ambasciatore d’Italia in Svizzera è Silvio Mignano che ha sostituito Marco Del Panta. Nato nel 1965 a Fondi, in Provincia di Latina, tre figli, laureato in giurisprudenza, Mignano ha iniziato la sua carriera diplomatica nel 1991, alternando l’attività internazionale con incarichi dirigenziali alla Farnesina a Roma. All’estero è stato attivo nelle ambasciate italiane all’Avana e a Nairobi; è stato ambasciatore d’Italia a La Paz, in Bolivia, dal 2007 al 2010, e successivamente a Caracas, in Venezuela, sede che ha lasciato di recente con la nomina a Berna. Un ritorno nella Confederazione elvetica: dal 2004 al 2007 Mignano è infatti stato console generale d’Italia a Basilea. Negli scorsi giorni il nuovo ambasciatore si è ufficialmente presentato alle autorità cantonali ticinesi.
Signor ambasciatore, che effetto le ha fatto tornare in Svizzera con alle spalle i mesi turbolenti vissuti in Venezuela nello scontro tra il regime di Maduro e l’opposizione di Guaidó, con le incertezze del Governo italiano che immagino non le abbiano facilitato il compito?
«Il mio periodo di servizio in Venezuela è stato intenso, molto complesso sul piano umano prima ancora che professionale ma anche pieno di significati profondi e di sentimenti che resteranno sempre impressi nella mia memoria. Preferisco non entrare nel merito delle questioni politiche e diplomatiche per rispetto verso il mio successore, l’ambasciatore Vigo, che è un professionista di altissimo livello e che è oggi l’unico titolato a esprimersi, oltre naturalmente alle nostre autorità di governo. Non posso negare, tuttavia, che ho lasciato il Paese con tristezza e profonda preoccupazione».
Nel suo primo intervento in veste di ambasciatore d’Italia nella Confederazione ha affermato che «con pochi Paesi possiamo vantare tanti e profondi legami come con la Svizzera. Più di 600 mila italiani residenti, una lingua comune, circa 30 miliardi di euro di scambi commerciali sono solo la cornice di una tela di relazioni che, come per i classici di Calvino, non ha ancora finito di dire quel che ha da dire». Che cosa ha ancora da dirci questa tela di relazioni?
«Ha ancora da dirci molto, per fortuna. La mia intenzione è lavorare insieme agli amici svizzeri e alla comunità italiana per rendere ancora più fecondi i nostri legami, che sono già profondi, estesi e gravidi di risultati, ma che si può e si deve sempre fare di tutto per coltivare ulteriormente. Svizzera e Italia hanno davvero tutto da guadagnare da questo rapporto di vicinato, da legami storicamente solidi e che coprono ogni ambito. Penso ad esempio agli investimenti in settori di alta innovazione scientifica e tecnologica, agli scambi universitari, ai benefici che questi ultimi possono portare all’industria di entrambi i Paesi, alla diffusione della lingua e della cultura italiane. Ma i settori di mutuo sviluppo sono tanti. In questi primi mesi ho avuto l’impressione che ci sia la consapevolezza di quanto possiamo fare per accrescere la nostra collaborazione. Ho trovato porte aperte e disponibilità di dialogo».
Vi sono purtroppo temi bilaterali, che toccano da vicino il canton Ticino, che sinora non hanno fatto grandi passi avanti. Uno è quello del nuovo accordo sull’imposizione fiscale dei frontalieri: nonostante le promesse, da parte italiana non giungono mai fatti concreti. Un altro esempio è quello delle modalità d’accesso al mercato finanziario scelte dall’Italia che penalizzano gli istituti elvetici. Ci sono aggiornamenti su questi due fronti?
«Sull’accordo per i frontalieri vi è una forte sensibilità politica. Stiamo cercando, con il nuovo Governo, di inquadrare il tema nel modo più costruttivo e celere e mi auguro che possiamo presto arrivare a soluzioni di mutuo beneficio. Gli incontri tra i due Governi, soprattutto a livello tecnico, sono continui. Non è certo un tema che trascuriamo, né da parte svizzera né da parte italiana. Sull’accesso ai mercati finanziari la nostra posizione è coerente con la normativa europea di settore, ma anche con il cosiddetto “ongoing dialogue” tra Svizzera e Italia: ci sono dialoghi tecnici in corso tra le nostre rispettive autorità di vigilanza e il confronto, molto costruttivo, prosegue».
Ci sono aggiornamenti sulle possibili soluzioni per uscire dalla drammatica crisi a Campione d’Italia?
«Sulla questione di Campione gli incontri a livello tecnico, anche molto alto, sono forse addirittura più continui e costanti che su altre questioni. In questi giorni stiamo avendo a Roma, in Ticino e a Berna riunioni importanti. Non posso ancora entrare nei dettagli delle possibili soluzioni, ma è un tema la cui importanza e urgenza ci sono ben presenti».
Un’altra questione aperta è quella dell’asse ferroviario nord-sud. Lo sbocco di AlpTransit dovrebbe essere il porto di Genova, ma la meta per ora sembra lontana. L’Italia conferma comunque di credere in questo asse e di voler adeguare le infrastrutture?
«Certamente. Si tratta come si può immaginare di obiettivi complessi, che richiedono un tempo ragionevole ma per forza di cose non limitato».
L’accordo quadro istituzionale tra Svizzera e Unione europea è a un punto morto. L’UE, da parte sua, è sotto pressione dai sovranisti che anche in Italia fanno la voce grossa. Poi c’è la Brexit. In questa situazione come vede la posizione della Confederazione elvetica?
«Mi rendo conto che si tratta di una materia molto delicata nella dinamica politica interna svizzera e che sia preferibile, tanto più in vista dell’iniziativa popolare che andrà al giudizio delle urne in maggio, soprassedere per ora da ogni commento pubblico. Posso peraltro dire che in questo ambito naturalmente l’Italia si muove di concerto con tutti i Paesi membri dell’Unione europea e con le istituzioni europee, e che abbiamo numerosi e utilissimi scambi con le autorità svizzere».
Del cantone Ticino si dice spesso che è un ponte economico e culturale tra il nord e il sud dell’Europa, tra il mondo germanofono e quello latino. Nella realtà si constata però che già i rapporti di vicinato transfrontalieri, su territori con la stessa matrice culturale e linguistica, sono a volte tesi. Le frontiere quanto pesano ancora tra popoli e nazioni?
«Io credo che in realtà vi sia la consapevolezza che le frontiere siano opportunità più che ostacoli. Nel caso del Ticino, al di là delle questioni di cui abbiamo parlato e che certamente non debbono essere sottovalutate, la quotidianità è fatta di costanti scambi, di una continua permeabilità, di un ininterrotto arricchimento sul piano umano, prima ancora che economico. E guardando alla Svizzera a distanza di dodici anni da quando l’avevo lasciata dopo il mio servizio a Basilea, vedo una presenza molto più evidente dei tratti culturali italiani in senso lato, non solo provenienti dal nostro Paese ma anche dal Ticino, in tutti i cantoni, siano essi di lingua francese o tedesca. La stessa lingua italiana mi sembra molto più utilizzata, oggi, a tutti i livelli. A questo proposito abbiamo lanciato l’iniziativa di una lettura pubblica della Divina Commedia nell’Università di Berna, nell’ambito della Settimana della lingua italiana nel mondo, alla quale ha aderito la presidente del Consiglio nazionale Marina Carobbio».
Lei è anche scrittore e ha pubblicato cinque romanzi, tre libri di poesie, un libro di racconti di viaggio e uno di favole per bambini, che ha anche illustrato. Ha inoltre scritto la sceneggiatura del film di Claudio del Punta «Haiti Chérie», premio della giuria giovani proprio per la sceneggiatura al Festival di Locarno del 2007. Questa creatività quanto la aiuta nell’arte della diplomazia?
«La diplomazia e la letteratura hanno in comune il loro principale strumento, che è la parola, sebbene il modo di usarlo sia inevitabilmente diverso. Nel mio caso cerco di tenere i due ambiti rigorosamente separati quanto a contenuti, ma sul piano soggettivo vi è un arricchimento personale che la letteratura dà anche al mio bagaglio professionale da diplomatico – e credo in fondo che vi sia anche una certa reciprocità».