Truffa del vino: quinta condanna
In mattinata è arrivata una quinta condanna per il caso della truffa del vino, il cui processo principale ha tenuto banco tutta settimana scorsa, con condanne fino a tre anni. Alla sbarra a questo giro è comparso un 63.enne italiano residente in Italia, il cui processo è stato disgiunto dagli altri in quanto è stato trovato un accordo di pena tra accusa e difesa: venti mesi sospesi, ratificati dal presidente della Corte delle assise correzionali Amos Pagnamenta (il giudice che pure aveva sentenziato sul caso principale).
La procedura di rito abbreviato ha implicato che l'imputato accettasse il contenuto dell'atto d'accusa promosso dalla procuratrice pubblica Raffaella Rigamonti. Il suo ruolo nella truffa è stato quello di vendere al "domus" della truffa (un 68.enne del Mendrisiotto) oltre dodicimila bottiglie di presunto Tignanello della cantina Gaja fra febbraio 2016 e marzo 2017. Un vino sì imbottigliato da enologi piemontesi, ma non quelli di Gaja. "Buono, ma banale", l'ha definito lo storico proprietario Angelo Gaja. Le bottiglie contraffatte erano poi piazzate, tramite una società di Lugano, a vari distributori soprattutto Oltralpe per un profitto di oltre 670.000 franchi. Per questo vino il 63.enne italiano avrebbe ricevuto dal 68.enne almeno 370.000 euro in nero.
"Ero in un momento di difficoltà economica e mi sono fatto prendere dalla situazione", ha spiegato brevemente in aula oggi il 63.enne, difeso dall'avvocato di fiducia Edy Salmina.
L'imputato odierno non ha invece preso parte a quella che potremmo definire la seconda parte della truffa. Tutto sommato la società Luganese ha piazzato sul mercato circa settantamila bottiglie di vino contraffatto, di cui circa trentamila sono state sequestrate. Data la comunque buona qualità del vino, saranno ora reimbottigliate e messe all'asta. I proventi andranno al Cantone.