«Truffarono le casse malati»; «Ma quale inganno, assolveteli»

Fu una truffa ordita con astuzia ai danni di ben dodici casse malati, che ha toccato Luganese, Sopraceneri e la Svizzera interna, oppure quelle prestazioni per oltre 1,5 milioni di franchi era giusto che fossero pagate? A questa domanda darà risposta martedì pomeriggio la Corte delle assise criminali, presieduta dalla giudice Francesca Verda Chiocchetti (a latere Giovanna Canepa Meuli e Monica Sartori Lombardi), chiamata a legiferare su un caso che vede alla sbarra una coppia di psicoterapeuti ottantenni del Sopraceneri, un uomo e una donna, e il loro presunto complice, un medico psichiatra pure del Sopraceneri di 76 anni.
«Ci fu inganno astuto»
Nei confronti dei due principali imputati l’accusa, sostenuta dalla procuratrice pubblica Raffaella Rigamonti, ipotizza i reati di ripetuta truffa (qualificata per la coppia). Tutti e tre sono inoltre accusati di falsità in documenti. In estrema sintesi, secondo la pp i due psicoterapeuti avrebbero svolto la loro attività dal gennaio 2008 al marzo del 2017 senza adempiere alle necessarie condizioni previste dalla legislazione vigente in quegli anni in materia di psicoterapia delegata. La coppia avrebbe cioè operato facendo credere di effettuare queste prestazioni sotto la supervisione e la responsabilità di un medico psichiatra (fino a settembre 2016 un professionista nel frattempo deceduto, dall’ottobre dello stesso anno, il terzo imputato). In questo modo, le prestazioni sono state rimborsate dall’assicurazione malattia di base, mente – sempre secondo l’impianto accusatorio – le stesse avrebbero dovuto ricadere sotto le complementari. La giurisprudenza del Tribunale federale delle assicurazioni, risalente agli anni Ottanta, prevedeva infatti un rimborso da parte dell’assicurazione di base solo se lo psicoterapeuta era assunto da un medico psichiatra, se quest’ultimo effettuava una diagnosi iniziale e se entrambi lavoravano nello stesso studio. In caso contrario, la prestazione sarebbe stata rimborsata solo da un eventuale assicurazione complementare del paziente.
Chiesta una pena da espiare
Nel decreto d’accusa, la pp Rigamonti sostiene che le condizioni per un rimborso dell’assicurazione non erano date in quanto la coppia lavorava in uno studio separato e in autonomia. La donna avrebbe fatto allestire false fatture per circa un milione di franchi, mentre l’uomo per circa mezzo milione. Di qui una richiesta di pena di 30 mesi da scontare (con una parte eventualmente sospesa per due anni) nei confronti dell’imputata e di 20 mesi sospesi per due anni per il coniuge. Nei confronti dello psichiatra è invece stata proposta une pena pecuniaria di 150 aliquote da 380 franchi sospesa per due anni. «Non stiamo giudicando la qualità del loro lavoro, ma il fatto che gli imputati non hanno agito secondo il regolamentazione vigente», ha argomentato la procuratrice pubblica. A detta dell’accusa, con il loro agire gli imputati consentivano ai pazienti che non avevano una complementare di beneficiare comunque di un rimborso da parte dell’assicurazione malattia di base. «È chiaro – ha affermato – che i due psicoterapeuti non lavoravano sotto la diretta supervisione del medico». «Ero sempre in contatto con loro, e ci scambiavamo regolarmente opinioni», ha dal canto suo ribattuto lo psichiatra. Per quanto riguarda il contratto di lavoro, lo stesso prevedeva che la coppia fosse retribuita con il denaro delle singole terapie, mentre l’affitto dello studio era interamente a loro carico. «Era un contratto meno formale», ha affermato il 76.enne, che ha vigorosamente contestato la vecchia regolamentazione. «Era uno strumento di controllo e sfruttamento, redditizio per lo psicologo che delegava e umiliante per lo psicoterapeuta, che si sobbarcava tutto il lavoro». «Se non mi piace una normativa non la posso infrangere», ha replicato Rigamonti.
«Si applichi la lex mitior»
Di parere diametralmente opposto la difesa, rappresentata dagli avvocati Andrea Giudici (patrocinatore della coppia) e Giovanni Celio (rappresentante dello psichiatra). I due legali si sono battuti per il proscioglimento, e questo sulla base di due argomentazioni. Primo: va applicato il principio della lex mitior, ossia l’applicazione della legge più favorevole all’imputato. Il Consiglio federale ha infatti stabilito che a partire dal 1. luglio 2022 gli psicologi psicoterapeuti possono esercitare a titolo indipendente a carico dell’assicurazione obbligatoria delle cure medico-sanitarie, a condizione che sia rilasciata una prescrizione medica. In sostanza, ha argomentato Giudici, «se i fatti fossero avvenuti dopo questo cambiamento, gli imputati non sarebbero punibili». Secondo: non vi è stato alcun reato. Giudici ha ritenuto che non vi fossero gli estremi del reato di truffa in quanto «i due psicoterapeuti ritenevano in buona fede di aver diritto alla retribuzione delle loro prestazioni dall’assicurazione di base. Non hanno commesso alcun crimine o delitto». Celio, dal Canto suo, ha rilevato che «prima del luglio 2022 la regolamentazione non ha mai superato lo stadio di giurisprudenza del TF» e che, quindi, «mancava una solida base legale». Il suo cliente, infine, non ha ingannato nessuno e aveva la diretta responsabilità sui due collaboratori». La Corte, come detto, pronuncerà la sentenza la prossima settimana.