«Un atto di profonda umiltà e di volontà di aiutarci a vicenda»
Il «messaggio» ai fedeli con cui l’assemblea presbiteriale della diocesi di Lugano ha chiesto «perdono» e invocato «aiuto» è stato sicuramente un elemento di grande novità per una Chiesa, quella ticinese, scossa da quanto accaduto di recente e in un momento di grande difficoltà. Il gesto, dice al CdT l’amministratore apostolico di Lugano, monsignor Alain de Raemy, è stato però letto in una chiave sbagliata.
«Quanto vissuto in questi giorni, nella preghiera e nella vicinanza dello stare insieme fraternamente, ha spinto noi presbiteri e diaconi, e non la curia, a scrivere ai fedeli della diocesi, per coinvolgerli tutti, pubblicamente, con gioia e umiltà». Non c’è stato un «conclave da me convocato - insiste il vescovo - ma un momento di confronto dal quale è emerso un atto di profonda umilità e di ferma volontà di aiutarci a vicenda». Insomma, la conferma della necessità di una «Chiesa vissuta con corresponsabilità».
Ma allora, monsignor de Raemy, dentro questo momento di dialogo e di confronto, quanto è stata importante la necessità di riflettere su ciò che è accaduto, soprattutto in relazione agli scandali sugli abusi sessuali?
«Il primo scopo di questo secondo incontro dell’Assemblea diocesana del presbiterio, che nasce dopo la significativa esperienza vissuta nel 2022 e a seguito di quanto richiesto allora dalla stragrande maggioranza dei preti, è stato ritrovarci assieme in un contesto nel quale spesso sperimentiamo una certa solitudine e tante incertezze. Abbiamo davvero bisogno gli uni degli altri in questo momento di cambiamento epocale. Dobbiamo trovare il modo giusto per permettere a ciascuno di essere ascoltato, con rispetto e grande attenzione. Dio ci parla quando lasciamo esprimersi l’un l’altro, dopo aver pregato insieme e tornando insieme al silenzio della preghiera, perché sia lo Spirito Santo a guidarci. Su questo siamo fortunati: non dobbiamo ricominciare da capo. Ci precedono e ci ispirano secoli di fede vissuta e riflettuta, dal Vangelo ai diversi Concili organizzati dalla Chiesa, e fino al magistero di papa Francesco».
Ha chiesto maggiore senso di responsabilità ai suoi sacerdoti, richiamandoli al dovere di farsi da parte se consapevoli di aver commesso errori gravi?
«È stato comunicato che da questo settembre riprendono gli aggiornamenti obbligatori, con i corsi sulla prevenzione organizzati dalla Fondazione della Svizzera italiana per l’Aiuto, il Sostegno e la Protezione dell’Infanzia (ASPI), che coinvolgeranno i preti nuovi in diocesi, i seminari e tutti i vicariati, indicando anche date di recupero obbligatorio in caso di impedimento. Tutto quello che lei indica nella domanda, sarà compiutamente affrontato in questa sede con l’aiuto di esperti».
Qual è stato, più in generale, il messaggio principale che lei ha voluto dare alla comunità consacrata del canton Ticino?
«Dopo l’importanza della fraternità da coltivare con premura, anche il continuo richiamo di papa Francesco a coinvolgere tutti, il più grande numero di cattolici, dovutamente preparati, su una strada comune di grande slancio missionario. Con la viva convinzione che nelle difficoltà Dio non ci abbandona, al contrario ci chiama e ci accompagna».
Qual è il clima interno alla comunità presbiteriale? Prevale la fiducia o la preoccupazione?
«Più si sta assieme, più si vedono i dettagli, anche quelli che disturbano. Suor Nathalie Becquart, sottosegretaria al Sinodo, la donna con maggior responsabilità nella Curia romana venuta appositamente a parlarci della sinodalità vissuta come profondo ascolto di Dio e del prossimo, vedendoci riuniti assieme e lavorare in gruppi, e avendoci visto in preghiera, mi ha detto: “Guarda che ne emerge una bella gioia di apertura reciproca in condivisa fraternità”. Non serve aggiungere altro: prevale la fede».
Alcuni mesi fa sono emersi alcuni segnali di malcontento tra i sacerdoti diocesani a proposito della gestione della curia. Nel confronto di questi due giorni si è discusso di questo argomento? E in che modo?
Sono stati tanti gli argomenti affrontati: dalla nomina in curia del mio nuovo delegato per la pastorale diocesana, don Massimo Gaia, scelto per il sostegno e il coordinamento dei numerosi progetti pastorali, alla nuova formazione per aiutare chi opera nella pastorale della salute. È stata anche sottolineata l’occasione che ci offre il Giubileo dell’Anno Santo 2025 con iniziative in tutti gli ambiti della vita quotidiana, per portare ovunque la bella speranza della fede, senza dimenticare l’edizione svizzera della Giornata Mondiale della Gioventù proprio a Lugano dal 2 al 4 maggio 2025, con probabilmente un migliaio di giovani presenti».
La comunità presbiteriale avverte la necessità di avere come guida un ordinario che possa pienamente e liberamente esercitare i propri poteri?
«Nella dinamica della sinodalità e della sussidiarietà si avverte anzitutto la necessità di coinvolgere a tutti i livelli, di incoraggiare e sostenere la partecipazione attiva e la cooperazione di tutti, senza aspettare passivamente che arrivino ordini da chi esso sia. Certo, alcuni chiedono come mai non ci sia ancora una nomina definitiva. La “sede”, come si dice nel nostro linguaggio tecnico, è “vacante”, ma non è vuota. Anzi, la collegialità vissuta in questi due giorni di assemblea non ci ha dato un’impressione di assenza. Al contrario, abbiamo vissuto “tanta presenza”».
Si è discusso anche della delicata situazione finanziaria della diocesi? Se sì, in che termini? E sono state indicate possibili vie da percorrere?
«Stiamo lavorando bene con il nuovo economo diocesano e la nuova vice-economa, in stretta collaborazione con la Commissione finanziaria. Speriamo anche di riuscire a essere di maggior sostegno a chi gestisce con tanta generosità, tutti volontari, le finanze parrocchiali».
Sono affiorate, dai fedeli, particolari richieste o domande cui c’è urgenza di rispondere?
«In un contesto internazionale, ambientale e sociale così pesantemente turbato e incerto, la sete di senso, la sete di speranza, la sete di Dio, tanti la esprimono. Come rispondere il meglio possibile a questa domanda profonda? Ecco la nostra sfida comune. E non ce la facciamo da soli; intendo noi preti singolarmente».