Un bunker colmo di umanità e aiuti per chi fugge da casa
L’autobus che riporta a casa le ragazze e i ragazzi delle scuole medie di Cadenazzo arriva a fine pomeriggio. Hanno ancora addosso le tute da sci: sono appena stati a Campra, per una giornata sulla neve. La vita scorre serena, spensierata. L’entusiasmo e l’eccitazione tipiche dell’adolescenza sono travolgenti, incontenibili. Un gruppetto si avvicina al bunker della Protezione civile, a due passi dall’istituto. «Accogliamo gli ucraini!», dice una di loro. Si percepisce che qualcosa – nella loro quotidianità – è cambiato. Le porte del centro, posto sotto il campetto, da qualche giorno sono insolitamente aperte. Ci sono militi e funzionari dell’amministrazione cantonale. A volte passa e si ferma una pattuglia della polizia. Ci sono anche parecchie persone del paese. Alcune arrivano, chiedono se possono dare una mano in qualche modo, se servono giochi, provviste. Qualsiasi cosa. Una donna ha promesso materiale utile per i bambini, che porterà nelle prossime ore. Una signora invece posteggia la sua auto, estrae dal baule una borsa e la consegna ai militi. Piccoli, ma grandissimi gesti di solidarietà. Sì, perché arrivano gli ucraini. Bisogna accoglierli, abbracciarli, farli sentire un poco a casa. Poco importa se al centro di Cadenazzo i rifugiati rimarranno al massimo 72 ore. Il calore umano, lì sotto il bunker, non deve mancare mai. Uno dei coordinatori ci dice che la solidarietà della gente è tantissima, che il viavai è continuo, che le richieste sono molte. Ma il bunker – dotato di un centinaio di posti letto, ma si potrebbe arrivare fino a 150 – ha tutto. Montagne di provviste, un kit di prima accoglienza (asciugamano, dentifricio, spazzolino). E, appunto, l’indispensabile vicinanza delle persone del posto. «Mi viene la pelle d’oca», ci racconta un signore, passato a trovare il figlio che abita in una palazzina di fronte al bunker. «Non pensavo potesse accadere una cosa così. Paura? Perché paura? Anch’io sono emigrato tanti anni fa dall’Italia». Epoche diverse, motivi diversi. Ma il senso è sempre lo stesso: dover lasciare il cuore altrove, lontano, con la speranza di trovare una vita migliore, sicura, in un’altra terra.
Una
storia straziante
«Arrivano
gli ucraini». Sì, ma quando? Quanti? E chi sono? Al centro di Cadenazzo non s’è
visto nessuno per ore. Una mamma, ci raccontano i militi, è arrivata in
mattinata con il figlio adolescente e un accompagnatore. La storia è
straziante. La piccola famiglia è arrivata dal Nord dell’Ucraina, lungo il
confine con la Russia. Ha visto le bombe, la distruzione. Via, via, subito. Ma
le ferite, quelle, sono rimaste dentro. Ci è stato detto che il ragazzo alla
vista del bunker s’è sciolto in lacrime inconsolabili. La mamma, invece, a
tratti tremava. Ma lì non sono potuti rimanere. Sono dovuti andare al centro di
Chiasso per la registrazione e per ottenere il permesso S. Chissà se
torneranno, oppure se saranno mandati altrove, in Svizzera tedesca o francese.
L’arrivo
«Arrivano,
stanno arrivando, hanno le valigie!», grida improvvisamente una ragazza del
gruppetto di allievi delle Medie. Due militi e un’interprete si dirigono verso
la scuola. La prima famiglia accolta dal centro è arrivata in treno verso le
17, da Chiasso. Quasi un’ora dopo il previsto. Una nonna, una mamma e un figlio
adolescente. Camminano velocemente, e altrettanto velocemente entrano nel
bunker. Con loro hanno poche cose. Si scorge uno sguardo lontano, ma fiero.
Rimarranno nel bunker un paio di giorni, poi verranno distribuiti sul
territorio cantonale dove potranno cominciare a respirare, a ritrovarsi. La
prima famiglia è arrivata, sì, ed è al sicuro, lontana dal terrore. Presto, già
domani mattina, sono in programma altre entrate. Da Chiasso, ma pure da Basilea
e da San Gallo.
Lo
sforzo della comunità
Anche se la
permanenza, lì sotto, si misura in pochi giorni, le ore possono diventare
facilmente lunghissime per chi si trova in una situazione di assoluta
incertezza e angoscia. Per questo, la piccola comunità di Cadenazzo sta facendo
di tutto per alleviare il dolore di chi fugge dalla guerra. «C’è voglia di
aiutare, soprattutto i bambini», racconta il sindaco Marco Bertoli. «Gli
allievi delle Elementari, nei giorni scorsi, hanno preparato piccoli giochi per
accogliere i nuovi compagni». Lo stesso hanno fatto i docenti e i ragazzi delle
Medie. «Il nostro istituto è piccolo, gli spazi sono ridotti», spiega Massimo
Uccelli, il direttore. «Ma abbiamo ricavato alcune postazioni nell’aula magna.
Chi vorrà, potrà venire qui a disegnare o a passare un po’ tempo in
tranquillità. Ci sono anche caffè, bibite e biscotti». La barriera linguistica
non sarà un problema, anche grazie alle interpreti del centro, le quali faranno
da tramite fra due mondi. E poi, per tutto il resto, ci saranno i gesti
dell’umanità, della partecipazione e della solidarietà. Gesti
universali.