Un finale indimenticabile tra Marcus Miller e la SMuM Big Band

LUGANO - Una serata perfetta , o quasi, quella di sabato sera in piazza della Riforma a Lugano, che ha messo la parola fine all’edizione 2019 di Estival Jazz. Serata che ha avuto il suo clou nell’esibizione del grande fenomeno del basso funk, Marcus Miller, ma che non ha mancato di regalare momenti di grande interesse anche con tutti gli altri artisti del suo vivace cartellone. Ma andiamo con ordine.
Che sarebbe stato un sabato sera da incorniciare lo si è capito sin dalle prime note, affidate alla Scuola di Musica Moderna (SMuM) di Lugano che ha festeggiato i 25 anni di attività con un’esibizione della sua Big Band (composta da insegnanti ed ex allievi) impreziosita tra illustri «guest»: il celebre sassofonista americano Bobby Watson, il «presidentissimo» Franco Ambrosetti e il più giovane esponente della sua illustre famiglia musicale, il sassofonista Gianluca. Un ensemble, insomma, con i controfiocchi che per un’ora e mezza ha deliziato la platea con un sound carico di swing e di energia e brani usciti dalla penna del chitarrista (e direttore della SMuM) Giorgio Meuwly e di Franco Ambrosetti.


Nel bel mezzo del concerto, poi, la consegna da parte del presidente del Gruppo Corriere del Ticino, avv. Fabio Soldati, del Premio alla Carriera che ogni anno il nostro giornale, in accordo con Estival, assegna a personalità o strutture distintesi per la diffusione del jazz. E, in effetti, chi meglio di una struttura scolastica che nel suo quarto di secolo di vita ha formato decine di musicisti di alta caratura e validi insegnanti, poteva meritarsi tale premio?

Andiamo ora avanti: dopo la frizzante performance della SMuM Big Band, il sabato sera di Estival ha riservato il suo piatto forte: Marcus Miller, uno dei grandi geni del bassismo internazionale. L’artista statunitense (per il quale il tempo non sembra mai passare - ha infatti lo stesso fisico e le stesse movenze sul palco di quando era un ragazzino) accompagnato da un giovane e talentuoso quintetto, per una novantina di minuti ha esaltato il pubblico con il suo funk-jazz carico di energia e di groove nel quale le ritmiche e i suoni più classici del genere si sono splendidamente mischiati con atmosfere più «urban» in un crescendo sonoro ed emotivo di grande intensità fatto di composizioni di Miller tratte prevalentemente dal suo più recente album Laid Black e da un paio di omaggi al suo primo grande maestro Miles Davis (decisamente intriganti le sue versioni di Bitches Brew e Tutu). All’interno del suo esplosivo set non sono inoltre mancati momenti curiosi, come il bis in cui la beatlesiana Come Together si è trasformata in una ballad dalle tinte africane o come quando il nostro ha abbandonato il suo cinque corde per dedicarsi al clarinetto basso con cui ha dimostrato di cavarsela ancora egregiamente (è infatti con quello strumento che tanti anni fa iniziò la sua carriera musicale). Un concerto insomma straordinario che verrà ricordato senza dubbio come una delle pagine più felici dell’ultimo ventennio estivaliero.


E non è finita qui. Anche il terzo set della serata è stato all’altezza della situazione facendone, anzi, la più degna delle conclusioni. Merito dell’ottetto spagnolo Patax: una potentissima macchina ritmica messa al servizio o di un funk energico (quando il gruppo proponeva materiale proprio) o di funamboliche e anche un po’ iconoclaste rivisitazioni di classici del pop (di Michael Jackson, soprattutto) effettuate attraverso repentini ed improvvisi cambi di ritmo e di stile, irriverenti e geniali medley e un coté vocale e di danza di grande classe. La ciliegina sulla torta, insomma, di una serata che ricorderemo davvero a lungo.