Chiasso

Un omicidio colposo, un senso di sconfitta per tutti

Pena sospesa per un’infermiera di Casa Soave risultata essere negligente in un passaggio di informazioni – Un uomo con complesse patologie, lasciato solo in veranda nel 2021, è caduto ed è spirato qualche giorno dopo in ospedale
©CdT/Archivio
Stefano Lippmann
06.12.2024 06:00

Una storia «impregnata di dolore e senso di sconfitta. Da qualsiasi parte la si guardi». Sono le parole pronunciate ieri dall’avvocato difensore Marco Masoni durante l’arringa del processo andato in scena in Pretura penale a Bellinzona. Una delicata e triste vicenda – iniziata a Casa Soave a Chiasso – che è culminata con una condanna per omicidio colposo. Davanti alla giudice Elettra Orsetta Bernasconi Matti è comparsa un’infermiera 51.enne degli Istituti sociali della cittadina la quale, nella sua funzione di vice caporeparto, l’11 settembre del 2021, «ha omesso di comunicare che il residente era in veranda da solo». Un’omessa comunicazione che ha portato a un susseguirsi di eventi i quali, infine, hanno fatto registrare il decesso di un uomo di 85 anni, ospite della struttura.

Wandering, vagabondaggio

Ieri, in aula, più volte si è sentita la parola wandering. In ambito medico si riferisce a un comportamento di vagabondaggio che può comparire nei pazienti con demenza. Ciò di cui soffriva – insieme ad altre patologie piuttosto complesse – l’85.enne. Uomo per il quale, proprio in funzione del suo stato di salute e per il fatto che potesse avere dei comportamenti irrequieti, era stato predisposto uno spazio esterno dove potesse tranquillizzarsi. Una veranda, con tanto di cancello.

Quel giorno poco dopo pranzo, però, l’uomo – in sedia a rotelle e con un arto inferiore amputato – riesce ad aprire il cancelletto e cade dalla rampa di scale riportando un trauma cranico. Immediato il ricovero in ospedale dove quattro giorni più tardi morirà «a causa delle lesioni riportate dalla caduta e ad un conseguente peggioramento del quadro neurologico», si legge nell’atto d’accusa.

Qualcosa, l’11 settembre di 3 anni fa, è evidentemente andato storto. Anche perché, come emerso dagli atti, nei confronti dell’anziano era stata disposta una «supervisione continua di giorno». L’uomo, insomma, andava tenuto d’occhio. Ma nessuno, in quegli instanti l’ha fatto. Non l’ha fatto l’imputata, che, dopo aver avvisato i colleghi, si era allontanata per evadere delle pratiche burocratiche. Non l’hanno fatto nemmeno le assistenti che in quel momento erano nella sala da pranzo che ospitava, in quel momento, una trentina di residenti. Secondo l’accusa – sostenuta dal procuratore pubblico Simone Barca – è mancata, in estrema sintesi, la comunicazione.

«Un errore»

All’inizio della requisitoria, il pp Barca ha voluto fare due premesse: «L’imputata è un’infermiera professionista che sta soffrendo e ha sofferto». Poi, la stoccata agli Istituti sociali di Chiasso: «Non si può non rilevare come dall’istruttoria siano emerse manchevolezze all’interno della struttura. Non di rilevanza penale ma a livello di gestione», non solo del personale. Fatte le premesse si è passati all’11 settembre: «In assenza della caporeparto vi era l’imputata che era la sua vice ed il suo compito era dare le necessarie informazioni. Quel giorno – ha ravvisato – in sala c’erano una trentina di persone e solo 4 dipendenti presenti e alle 12.30 il residente è stato accompagnato in veranda». Pur coscienti che «la sorveglianza uno a uno non è fattibile», qualcosa di diverso andava fatto.

«Lasciare da solo il residente doveva essere un campanello d’allarme per il personale» ha evidenziato senza dimenticare che «un ulteriore campanello era la vicinanza del residente al cancello». In aggiunta, ha spiegato Barca, «le strategie avevano stabilito che dovesse esserci ‘supervisione continua di giorno’. L’imputata, invece, «ha lasciato la sala omettendo di comunicare che l’85.enne fosse in veranda. Sostiene di aver avvisato i due assistenti, ma non risulta agli atti» ha commentato richiamando i verbali d’interrogatorio, anche di confronto.

Secondo l’accusa «ha omesso di dare precise indicazioni» e, di conseguenza, si è macchiata di una «colpa medio-lieve». «Ha sofferto, non stiamo parlando di una criminale – ha aggiunto –, ma di un’infermiera professionista che quel giorno ha fatto un errore». Da qui la richiesta di pena: 90 giorni di detenzione, pena sospesa per un periodo di prova di 2 anni.

«Doveri rispettati»

Il difensore, l’avvocato Marco Masoni, si è invece battuto per il proscioglimento da ogni accusa. L’infermiera, ha sostenuto, «ha comunicato l’informazione affidando la supervisione dell’ospite a due assistenti. E si è pure sincerata che il cancello fosse chiuso». Di più: « Tutti gli operatori erano a conoscenza delle problematiche dell’uomo. Tutti erano al corrente del concetto di ‘sorveglianza continua’». E poi, ancora: «Tutti gli operatori erano coscienti che prima e dopo pranzo la presenza del personale curante fosse a causa di altri compiti da svolgere. Nessuno poteva immaginare che nelle sue condizioni il residente potesse arrivare ad aprire un cancelletto predisposto proprio per lui».

Per la difesa non vi sono dubbi, la donna «ha rispettato tutti i doveri di prudenza affidando la supervisione a personale debitamente informato».

«C’è stata negligenza»

Come detto, però, la giudice ha confermato l’atto d’accusa. «Dagli atti emerge che era noto a tutto il personale curante che il residente soffriva di wandering». Ovvero «che necessitasse di un occhio in più» ha riconosciuto Elettra Orsetta Bernasconi Matti. Ma, allo stesso tempo, « ha omesso di comunicare che il residente era in veranda da solo, non si è assicurata che fosse passato il messaggio». Per questo motivo «la negligenza è data». In aggiunta, le dichiarazioni in sede d’inchiesta «non sono state lineari» e le due assistenti hanno «sostenuto di non sapere che l’85.enne fosse in veranda». La sua colpa, ha sentenziato, è stata medio-grave. Infine, la pena: 70 aliquote giornaliere da 100 franchi l’una. Pena sospesa per un periodo di prova di due anni.

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