Un po’ casa e un po’ dogana

«A tutte le pattuglie, rapina a Chiasso, persone in fuga a bordo di una macchina». È una fredda serata di marzo 2014 e da lì a poco le manette delle guardie di confine sarebbero scattate ai polsi di tre persone al valico doganale di Ponte Faloppia. Volevano lasciare la macchina sul confine e fuggire a piedi in Italia, peccato che il giorno prima fossero stati avvistati a fare letteralmente una prova della fuga calcolandone i tempi. «È successo qualcosa di strano agente: è arrivata una macchina, sono scesi in tre, si sono messi a correre e poi sono tornati indietro», questo il tenore della segnalazione.
Fausto Jurietti è andato in pensione proprio nel 2014 dopo trentasette anni di onorato servizio come guardia di confine. È stato il maestro di Michele Corti, tutt’oggi operativo sul territorio da oltre trent’anni. Abbiamo passato un paio d’ore con loro, che ne hanno viste di cotte e di crude e sono testimoni dei tempi che cambiano. Basti pensare che oggi, quando un agente ha bisogno di supporto, il rinforzo arriva con la macchina di servizio. Un tempo, si doveva suonare un campanello e il rinforzo doveva scendere le scale della casa doganale. «Anche in tuta, mica avevamo tempo per cambiarci».

Arance e acqua minerale
Jurietti, che saprebbe orientarsi sul territorio a occhi chiusi, ha vissuto gli anni d’oro del contrabbando. Sigarette, arance, accendini, telefonini, videoregistratori, acqua minerale. «Ho abitato con la mia famiglia in una casa doganale di Muggio», ci racconta mentre guarda quella in sasso con le finestre rosse della Prella, a Genestrerio, costruita nel 1904, ristrutturata nel 1923 e una delle più ambite per la posizione e la tranquillità della zona. Nel Mendrisiotto, l’Ufficio federale della dogana e della sicurezza dei confini (UDSC) è proprietario di una quindicina di case doganali (per la maggior parte abitate dal personale in divisa) e altrettante nel Luganese, per un totale di circa una cinquantina a livello ticinese. La maggior parte risale ai primi del Novecento, quelle in sasso per intenderci. Ai tempi il presidio era statico e la presenza veniva assicurata in modo tempestivo. «Il capoposto era obbligato a vivere nella sede dove veniva assegnato, a parte quello che concorreva per un posto al valico doganale dell’autostrada, in quel caso gli agenti dovevano abitare, ad esempio, a Vacallo o a Chiasso». A presidiare il confine, in strada sotto la pensilina, vi era una sola persona. Poi, quando l’Italia chiudeva i cancelli verso le 22 o le 23, il controllo si spostava nei boschi. Un’operazione che facevano tutti quelli che abitavano in una casa doganale, sia sposati che celibi. «Quando l’agente, da solo, effettuava un fermo al confine e aveva bisogno di un rinforzo, suonava un campanello e dalla casa doganale scendeva in strada il capoposto o un celibe in supporto». Il servizio in solitaria è andato avanti fino a quando «non è stato ucciso un collega alla dogana di Gandria da un pregiudicato. Era il 1991, e da quel momento gli agenti sono diventati due». I tempi sono cambiati, così come la strategia dei controlli e la mobilità delle pattuglie.
Spaghetti d’oro
Ci spostiamo a Stabio, dove in via Capriccio c’è un’altra casa doganale, ma risalente al 1921 (attualmente in vendita su un noto portale immobiliare, ndr). Una fotocopia di quella di Genestrerio, sempre in sasso, su tre piani, con le finestre rosse ma con un cippo di confine con inciso 1922 nella pietra vicino all’entrata. «Ci hanno abitato due famiglie – ci dice Corti –, ma a metà degli anni Novanta non ci viveva più nessuno». È cambiato tutto, dicevamo. Anche i termini conosciuti tra le guardie per indicare un luogo preciso nel Mendrisiotto. «Ora ti forniscono le coordinate GPS, una volta l’agente sapeva esattamente dove andare quando gli dicevano "ca del buscat", "ai tre tubi", "sottomarino giallo". Erano i nostri punti di riferimento, come "ul sentee dala lümaga" in via Sottopenz a Chiasso».

Negli anni Ottanta, i contrabbandieri hanno dato del filo da torcere al personale di confine. Le strategie per portare merce al di qua del confine erano infinite. Jurietti ricorda che a Pedrinate, in zona Laghetto, i contrabbandieri costruivano delle strade nel bosco, «con dei paker», così da permettere al furgoncino carico di merce di uscire dalla zona verde. Basti pensare che in quel punto gli italiani avevano costruito un cancello con delle putrelle per impedire il passaggio di veicoli. «Anche a Stabio, in zona Montalbano, entravano dal confine verde con i camioncini pieni di merce. Solitamente si posizionavano vicino alla ramina, sulla quale a volte venivano attaccate delle campanelle, caricavano la merce e poi uscivano fuori dal bosco sulla strada che avevano precedentemente costruito». Sempre in zona Laghetto a Pedrinate, durante la perquisizione di un veicolo, «all’interno di una borsa abbiamo trovato due o tre confezioni di spaghetti (di una nota marca italiana, ndr) e ci siamo accorti che erano chiuse con lo scotch. Gli spaghetti non c’erano, ma diverse collanine d’oro sì».
Chi compra e chi vende?
Nel corso degli anni, diverse case doganali sono state messe in vendita dall’ex Amministrazione federale delle dogane perché inutilizzate. E in poco tempo sono andate a ruba. Abbiamo chiesto qualche informazione in merito all’UDSC, ad esempio quante sono in attesa di trovare un nuovo proprietario, quanto costano e ogni quanto viene effettuato un controllo del portfolio immobiliare. Ci è stato risposto che «attualmente, l’UDSC sta attraversando un periodo di trasformazione che concerne ovviamente anche il portfolio abitativo. Le politiche immobiliari sono in divenire ed è premature fare previsioni in merito».