L'accusa

«Un sistema collaudato per non dichiarare la carne»

Aperta un’inchiesta penale doganale nei confronti della gerente di un ristorante asiatico del Luganese: il sospetto è che facesse costante ricorso ad autisti reclutati a China Town per il trasporto - Lei stessa è stata pizzicata tre volte ai valichi
©Keystone
Federico Storni
24.08.2022 06:00

A metà maggio scorso agenti dell’Ufficio federale della dogana e della sicurezza dei confini (UDSC) hanno controllato una Porsche al valico di san Pietro di Stabio e vi hanno trovato tredici chili di carne non dichiarata. Stessa auto, altro valico (Pizzamiglio), una decina di giorni dopo: i chili di carne sprovvisti di fattura e non dichiarati erano 12,5. A questo punto - dato che l’auto era intestata a un ristorante asiatico del Luganese, a bordo vi era in entrambe le occasioni la gerente, e la donna già l’anno prima era stata pizzicata al volante con merce non dichiarata - l’UDSC ha deciso di perquisire proprio il ristorante. Rinvenendo fatture e ottenendo dalla donna - che nel frattempo ha lasciato la carica di gerente - di poter visionare preliminarmente il suo telefono cellulare e potendo vedere una chat relativa all’organizzazione dei trasporti di merci dall’Italia alla Svizzera. Cosa che ha portato l’UDSC ad affermare che «sussistono fondati sospetti che la donna abbia violato con la partecipazione di terzi la legislazione federale. In particolare siamo indotti a credere che le importazioni sospette siano avvenute sulla base di un sistema collaudato».

Il nodo cellulare

La vicenda è emersa in una recente sentenza della Corte dei reclami penali del Tribunale penale federale presieduta dal giudice Roy Garré riguardante proprio il telefono cellulare. La donna si era opposta a una sua perquisizione e l’UDSC lo aveva quindi posto sotto sequestro. Ora i doganieri hanno ottenuto la levata dei sigilli, vale a dire la possibilità di perquisire lo smartphone. Così facendo, l’UDSC auspica «di concretizzare i suoi forti sospetti portando alla luce tramite contatti e relativa messaggistica elettronica elementi di rilievo atti a individuare il numero e le quantità circa le sospettate importazioni fraudolente come pure la partecipazioni di terzi alle infrazioni descritte».

«Sufficienti indizi»

La Corte ha ordinato la levata dei sigilli perché ritiene che l’UDSC abbia «sufficienti indizi di reato per fondare i propri sospetti» e che «i dati contenuti nel cellulare presentino un’utilità potenziale per il prosieguo dell’inchiesta».

Da parte sua, la donna si dice sostanzialmente innocente riguardo al sospetto di aver messo in piedi un collaudato sistema di importazioni illegali. «Ella - così riassume il suo interrogatorio l’UDSC - ha affermato di aver sempre ordinato la merce in Italia per telefono presso una ditta italiana specializzata, incaricando in seguito su una chat di WhatsApp degli autisti privati di China Town a Milano di consegnarle la merce in Svizzera. Alla consegna provvedeva al pagamento in contati o con la carta di credito degli autisti senza il rilascio di alcun documento. Per contro le fatture in suo possesso venivano trasmesse al suo contabile». La donna - che ha dovuto essere assistita da un traduttore - era a conoscenza, secondo l’USDC degli obblighi di dichiarazione all’importazione in Svizzera, benché lei lo neghi: «Ha sempre confidato - riassume l’UDSC - che gli autisti privati da lei incaricati e il suo contabile avevano rispettivamente avrebbero ottemperato correttamente alle relative pratiche doganali».

Per quanto riguarda le occasioni in cui è stata pizzicata con carne non dichiarata, la donna avrebbe affermato che essa era destinata esclusivamente al consumo nella sua economia domestica. Carne peraltro acquistata presso la stessa ditta italiana da cui si riforniva per il ristorante. L’inchiesta è tuttora in corso e per la donna vige la presunzione d’innocenza.

Le due tonnellate del 2016-2017

Dall’UDSC ci fanno sapere che dal 2019 i casi di contrabbando alimentare non vengono più registrati sistematicamente. Nel 2018 erano state sequestrate circa 230 tonnellate di carne a fronte di 125.000 tonnellate importate legalmente. Cifre giudicate «molto basse». Ciò non toglie che ogni tanto c’è chi prova a fare il furbo. Il caso forse più eclatante dell’ultimo decennio in Ticino risale al 2016-2017, quando l’UDSC aveva messo nel mirino 13 esercizi pubblici ticinesi che in quei due anni avevano ordinato, ricevuto e smerciato nell’ambito della propria attività in Svizzera oltre 2 tonnellate tra salumeria e carne fresca, 120 litri di olio d’oliva e 75 litri di limoncello. Il contrabbando era, in quel caso, bene organizzato.

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