Zone 30: a Lugano si scaldano i motori

Lugano voterà sulle Zone 30. Sì, devono ancora essere raccolte le necessarie firme, ma è difficile pensare che la Lega non possa riuscirci dentro le mura della sua roccaforte politica. Che poi il fatto di giocare in casa basti ad affossare il progetto del Municipio di estendere le zone a traffico moderato, uscito dimezzato nel budget da una rocambolesca votazione in Consiglio comunale, non è affatto scontato. Anche perché il dibattito, comunque la si pensi, tocca corde profonde e sensibili: la voglia di libertà di fronte a un susseguirsi di regole (siamo pur sempre in Svizzera e giocano in casa anche quelle), la paura di essere multati e veder sfumare una cena al ristorante (stellato, se il piede era molto pesante), il bisogno di sicurezza (pensando soprattutto ai più piccoli utenti della strada, e qui c’è poco da scherzare) e di sonni tranquilli (senza le sgasate notturne dell’Hamilton di turno), l’ansia di non dover perdere nemmeno un secondo della nostra esistenza (salvo poi perdere il semaforo verde perché durante il rosso stavamo controllando il telefonino). Sono temi ricorrenti quando si parla di Zone 30. Per provare a districarci in questo intreccio di ragioni abbiamo chiesto un parere a Emmanuel Ravalet, ricercatore all’Università di Losanna e co-fondatore di Mobil’Homme, spin-off del Politecnico di Losanna specializzato in consulenza sulla mobilità sostenibile. «Le decisioni politiche che riguardano la mobilità sono spesso controverse», ricorda l’esperto. «Il tema dell’estensione delle zone a 30 km/h non fa eccezione. I dibattiti attualmente in corso a Lugano sono della stessa natura di quelli che si sono svolti in altre città svizzere o europee». In questi dibattiti, sottolinea Ravalet, è spesso la pancia, piuttosto che la ragione, a guidare le posizioni delle parti. «In particolare, le persone o i partiti che si oppongono ritengono che siano contrarie alla libertà di circolazione e che colpiscano le persone che dipendono dall’uso dell’automobile per spostarsi. Questa difesa delle libertà individuali si scontra con le argomentazioni più “collettive” generalmente addotte dai sostenitori del provvedimento: la riduzione dei livelli di rumore, i vantaggi in termini di sicurezza stradale o la riduzione delle emissioni». Per l’esperto di mobilità, inoltre, le differenze culturali presenti in Svizzera non influiscono sul processo politico. Infatti, «ciò che determina la forza dell’opposizione a questa misura ha più a che fare con il livello di dipendenza dalle auto nell’area in cui si applica. Nelle città in cui la quota modale del trasporto pubblico e della bicicletta è già molto alta, la popolazione è logicamente più aperta a limitare la velocità massima delle auto». Guardando poi agli effetti pratici dell’introduzione di queste misure, Ravalet spiega che si notano influenze sul traffico di transito, che diminuisce «in modo significativo». Un altro effetto lo si avverte sul traffico in entrata e in uscita dalla città, che viene penalizzato. «È quindi necessario organizzare in ogni dettaglio le alternative all’auto». In conclusione, chiediamo all’esperto di indicarci quali sono gli argomenti principali portati dai comitati. «Da parte degli oppositori, viene spesso sollevata la questione delle possibilità di traffico veloce per i mezzi di soccorso. Gli effetti indiretti dei limiti sulla velocità dei veicoli del trasporto pubblico è un altro punto spesso sollevato». Si tratta di una questione importante da affrontare perché effettivamente «rallenta» i mezzi, rileva il ricercatore, «anche se non disincentiva a priori l’uso del trasporto pubblico». Uno dei punti principali utilizzati dai favorevoli, invece, riguarda la scarsa differenza tra i 50 km/h e i 30 km/h. «Dato il traffico, in città non si circola quasi mai a 50 all’ora. Abbassare il limite non ha dunque un impatto pratico». Ci sono poi i benefici («comprovati») delle zone 30 per quanto riguarda l’inquinamento fonico e atmosferico, così come una maggior sicurezza per tutti gli utenti della strada. Attenzione, però: come ricorda Ravalet, «è importante tenere presente che l’introduzione generalizzata di zone a 30 km/h può avere l’effetto di ridistribuire una parte del traffico tra strade primarie e secondarie. Ma è un aspetto che può essere pianificato».
Da Berna a Bologna, quando il limite divide
Il tema sta impegnando il Consiglio federale, che ha sul tavolo la mozione, già approvata dalle Camere, per porre un limite alla diffusione delle zone a velocità limitata lungo le strade principali nei centri. Secondo il suo autore, il liberale radicale Peter Schilliger, in molti Comuni e città, come Zurigo per esempio, si sta diffondendo in maniera caotica il limite di trenta all’ora nei centri abitati, anche su strade a prevalenza motorizzata. È l’argomento principe della Lega luganese, che si batte contro un’introduzione «generalizzata» di queste aree. La municipale Karin Valenzano Rossi, dal canto suo, ribadisce che il progetto tocca strade in zone residenziali o vicine a luoghi sensibili, non quelle di scorrimento. Sta di fatto che a livello federale, con il sì del Nazionale e degli Stati alla mozione di Schilliger, vi è da attendersi un giro di vite sul tema, o come minimo la posa di qualche paletto. Da capire se le eventuali limitazioni superiori interesseranno anche il piano del Municipio cittadino. Lo sguardo, quindi, resta rivolto a Nord. Anche a Sud, comunque, ci sono situazioni che potrebbe essere interessante considerare.
Il referendum fallito
La prima grande città italiana a istituire una zona 30, dopo non poche polemiche, è stata Bologna un anno fa. E i primi dati parlano di una diminuzione importanti degli incidenti gravi: -30%. Addirittura, nel 2024 a Bologna non è morto alcun pedone: è la prima volta da quando si misura questo dato, vale a dire il 1991. Oltre a ciò, il traffico è diminuito del 5%, mentre sono aumentati i flussi di biciclette, la condivisione di bici e auto e l’uso del Servizio ferroviario metropolitano, a indicare che probabilmente diverse persone hanno colto l’occasione per usare meno la macchina. Per quanto riguarda l’ambiente, i livelli di biossido d’azoto sono risultati essere i più bassi degli ultimi dieci anni.
Bologna ha limitato la velocità a 30 km/h in tutta la città salvo rare eccezioni, accompagnando la decisione con investimenti infrastrutturali per quasi 30 milioni di euro. Contro la proposta, anche in questo caso, la destra aveva provato a raccogliere le firme per indire un referendum, ma nei tre mesi a disposizione ne aveva racimolate solo 3.500 sulle 9.000 richieste. A Lugano, invece, 3.000 basterebbero. Le urne sono dietro l’angolo.