Piano direttore

Zone edificabili e dezonamenti, il conto alla rovescia è iniziato

Il nuovo Piano direttore cantonale obbliga i Comuni a mettere mano al proprio piano regolatore – Gianluca Padlina (Catef): «Tra gli Enti locali e i proprietari c’è grande preoccupazione» – Il rischio che molti fondi edificabili vengano ridotti o cancellati è grande
©Gabriele Putzu
Francesco Pellegrinelli
22.03.2023 06:00

«Se non volete occuparvi di pianificazione del territorio, sarà la pianificazione del territorio ad occuparsi di voi». Parafrasando la massima di un’attivista americano - Ralph Nader -, il presidente della Sezione di Mendrisio della Catef, Gianluca Padlina, negli scorsi giorni, durante una serata organizzata dalla stessa Camera ticinese dell’economia fondiaria (Catef), ha lanciato la discussione attorno a uno dei temi più esplosivi con cui i Comuni e i cittadini dovranno confrontarsi nei prossimi anni. Indicativo il titolo: «Zone edificabili, rivoluzione alle porte?». Varrà, intanto, l’aneddoto riportato da Padlina di fronte a una sala gremita: «Mi capita di incontrare sindaci e municipali. I quali, preoccupati, mi dicono che non sanno cosa fare, e a chi dare retta. Alla Confederazione o al Consiglio di Stato? Intanto, però, il tempo stringe».

La macchina burocratica

In realtà, più che di «rivoluzione» potremmo parlare - prendendo a prestito le parole dell’esperto di pianificazione Stefano Wagner, intervenuto accanto a due giuristi, Luca Pestelacci e Filippo Gianoni - di «ingovernabile macchina burocratica messa in movimento da un voto popolare quanto meno poco lungimirante».

Ma che cosa è intervenuto a livello pianificatorio per modificare, in maniera così drastica, le prospettive dello sviluppo territoriale? Lo scorso 19 ottobre il Consiglio federale ha approvato le modifiche del Piano direttore cantonale (PD). Un documento discusso dal plenum del Gran Consiglio a giugno 2021, volto ad adattare la pianificazione cantonale alla modifica della Legge federale sulla pianificazione del territorio (LPT) entrata in vigore il 1. maggio 2014. «Tutto è iniziato con il lancio di un’iniziativa popolare federale, l’iniziativa per il paesaggio - ha ricordato Padlina - che chiedeva l’introduzione di una moratoria sulle zone edificabili per 20 anni». Ebbene, 15 anni più tardi - dopo il sì popolare al controprogetto indiretto, sfociato appunto nella modifica della LPT - lo scorso 19 ottobre, il Consiglio federale ha approvato l’entrata in vigore delle modifiche del Piano direttore cantonale (PD), di fatto, dando il via a tutta una serie di compiti per i Comuni ticinesi.

Il primo dovrà essere completato entro due anni dall’entrata in vigore del nuovo PD e prevede che gli Enti locali verifichino il dimensionamento del PR. In buona sostanza, i Comuni dovranno appurare se i propri piani regolatori sono correttamente dimensionati, ossia se le zone edificabili sono sovradimensionate o meno. «Se ciò fosse il caso, i Comuni dovranno procedere alla revisione dei relativi piani regolatori, riducendo le zone edificabili a un livello conforme alla legge», ha spiegato Pestelacci. «Ciò potrebbe avere l’evidente conseguenza, come già accaduto in diversi cantoni, che molti privati vedrebbero i propri fondi ancora inedificati, attualmente in zona edificabile, essere dezonati».

Prognosi negativa

A complicare il tutto, rendendo ancora più concreto il rischio di maggiori dezonamenti, è intervenuta la decisione del Consiglio federale, lo scorso autunno, di rivedere al ribasso le prospettive di crescita demografica per il Canton Ticino. «Di riflesso, anche il dimensionamento delle zone edificabili, nel nostro Cantone, deve essere calcolato con le nuove prognosi di crescita. Prognosi che sono inferiori a quelle inizialmente previste nel Piano direttore cantonale inviato a Berna per l’approvazione», ha rimarcato Padlina. Insomma, crescendo meno, avremo bisogno di meno superficie edificabile. L’articolo 15 della LPT, del resto, parla chiaro: «Le zone edificabili vanno definite in modo da soddisfare il fabbisogno prevedibile per 15 anni». E soprattutto: «Le zone edificabili sovradimensionate devono essere ridotte».

Dalla teoria alla pratica

«Ci sono amministratori comunali che da mesi si confrontano e litigano con il Cantone senza trovare un’unità di intesa per il calcolo del dimensionamento del PR», ha spiegato Wagner. «E siamo solo all’inizio di un percorso lunghissimo che terminerà con la modifica del PR e che presterà il fianco a una miriade di opposizioni e ricorsi in ogni singolo passo formale». Si capirà, allora, il riferimento di Wagner alla «macchina burocratica che rischia di deragliare, non tanto per gli indennizzi, mancati o riconosciuti, quanto per il fatto che per i prossimi 10 anni faremo dentro e fuori dai tribunali».

In punta di piedi, allora, facciamo un piccolo passo in questa selva di numeri e variabili. Il calcolo teorico per il dimensionamento del PR si basa essenzialmente sulle riserve: «In soldoni si va a vedere quante persone e posti di lavoro posso ancora stare nei fondi poco costruiti o non costruiti affatto. Poi, si confronta questo dato - le cosiddette unità insediative - con le prospettive di crescita demografica del comune». Se il raffronto supera una certa soglia, il Comune è costretto a ridurre le sue zone edificabili. «Abbiamo due anni di tempo per completare l’esercizio - ha ricordato Wagner - ma quando inviamo a Bellinzona i dati per l’approvazione, il Cantone li boccia». Tra la miriade di aspetti tecnici, quello più deleterio, ha detto Wagner, è il concetto di metri quadrati di cui una persona potenzialmente ha bisogno per vivere. «In zona residenziale sono stati definiti 55 metri quadrati». Di qui, l’amara conclusione: «Pensavo di vivere in Svizzera e non in un’economia pianificata che uniforma le ambizioni».

Non si picchia un chiodo

Conclusa la verifica del dimensionamento del PR, i Comuni dovranno adottare misure a salvaguardia della pianificazione: «Se le zone edificabili di un determinato comune dovessero risultare sovradimensionate, l’Ente locale dovrà adattare il proprio PR. Ma ciò comporta tempi molti lunghi. Pertanto, i Comuni dovranno adottare, nel frattempo, misure di salvaguardia, come la zone di pianificazione». Uno strumento pianificatorio che, di fatto, congela ogni attività edificatoria per un periodo massimo di 7 anni e che può essere esteso, indistintamente, a tutto il territorio comunale. La prima misura cui saranno confrontati i proprietari che hanno terreni in comuni sovradimensionati sarà dunque questa: «Nella migliore delle ipotesi - ha concluso Pestelacci - per 7 anni non si picchia un chiodo».

Non è dato sapere, a priori e in maniera automatica, se il proprietario toccato dalla misura potrà avere diritto a un’indennità per esproprio materiale

Proprietà, nessuna garanzia di indennizzo

Ma il vero nodo, attorno al quale si intrecciano i timori dei proprietari, riguarda la questione degli indennizzi. Che cosa accadrà con i terreni edificabili che, di punto in bianco, perderanno lo statuto di edificabilità? La questione, giuridicamente annosa, è stata illustrata dall’avvocato Filippo Gianoni. «Non esiste nessun automatismo, e la giurisprudenza in materia è evolutiva», ossia non c’è nessuna garanzia che il proprietario venga indennizzato. Gianoni ha ricordato che la Costituzione federale nonché l’articolo 5 della LPT sanciscono il principio secondo il quale «in caso di espropriazione è dovuta piena indennità». Nella pratica, però, l’indennità non è sempre garantita, «in quanto la giurisprudenza in materia soffre di numerose eccezioni ed è tutt’altro che chiara», gli ha fatto eco Pestellacci. Insomma, non è dato sapere, a priori e in maniera automatica, se il proprietario toccato dalla misura potrà avere diritto a un’indennità per esproprio materiale. Questo vale soprattutto per il Ticino, in quanto molti piani regolatori attualmente in vigore, al momento della loro adozione, prevedevano già zone edificabili sovradimensionate. «Per il Tribunale federale, questo è esattamente un elemento che non dà automaticamente diritto a un’indennità», ha spiegato ancora Pestelacci. «Ogni esproprio va quindi analizzato singolarmente, caso per caso».

Che cosa può fare allora il proprietario di un fondo per tutelare il proprio patrimonio immobiliare inedificato? Inoltrare un domanda edilizia - prima che entri in vigore la zona di pianificazione - può rappresentare una soluzione? In realtà, anche una pratica di questo genere non garantirebbe l’edificabilità del fondo. Da una parte perché, di fronte a eventuali ricorsi, il Tribunale federale, ha spiegato Gianoni, tiene conto della buona fede del proprietario. Ossia: la domanda è stata inoltrata in quanto il terreno sarebbe stato dezonato?

Il fondo del sacco

Di una cosa, però, possiamo già essere certi: «A livello federale sono emerse tantissime zone edificabili abbondantemente sovradimensionate, che devono essere, anche drasticamente, ridotte. Il rischio che ciò accada anche in Ticino è quindi concreto», ha detto Pestelacci.

Il Gran Consiglio, a questo proposito, ha approvato la creazione di un fondo di 5 milioni, «stabilendo che se occorre dezonare, l’onere viene suddiviso tra Comune e Cantone», ha ricordato dal canto suo Padlina che subito ha aggiunto: «Cinque milioni, però, non bastano neppure per cominciare». E ancora: «Trovo molto deludente che Parlamento e Governo abbiano gestito l’intero dossier senza andare a fondo sui costi complessivi. L’impressione è che i Comuni non potranno sopportare la spesa». Il rischio? «Che la giurisprudenza in ambito di espropriazione materiale venga rivista a scapito dei proprietari per evitare il collasso degli Enti pubblici», ha aggiunto Pestelacci.

L’azione politica

Di fronte a questo pericolo, la politica deve quindi reagire: «Il nodo del contendere con la Confederazione riguarda gli scenari demografici da utilizzare per il calcolo del dimensionamento del piano regolatore. Con i dati demografici aggiornati, abbiamo capito che tutto l’esercizio diventerà insostenibile». Di qui, appunto, la necessità di un intervento politico: «O si convince la Confederazione a recedere su questo scenario, tornando alla prima prognosi demografica più favorevole al Ticino, oppure si interviene sui parametri di calcolo». Padlina ha quindi ricordato che la Confederazione ha lasciato un certo margine di azione al Cantone. «Occorre sfruttare questo spazio. È ragionevole ipotizzare che le zone edificabili, in alcuni Comuni, debbano essere in una certa misura ridotte, ma che la riduzione debba essere così ampia ed estesa praticamente a tutto il territorio, questo non è accettabile. Anche dal profilo finanziario».