Torna la fame di grandi mostre

Lugano vuole tornare a ospitare mostre che provochino un «effetto wow». L’obiettivo di esporre almeno una volta all’anno le opere di un artista di richiamo – che non per forza è qualitativamente migliore di altri meno blasonati, ma con cui si può attirare anche il pubblico meno esperto e raccogliere più facilmente le sponsorizzazioni – ultimamente è tornato d’attualità. Ne ha parlato ancora il mese scorso il consiglio di fondazione del MASI, come confermatoci del presidente del LAC e municipale responsabile della cultura Roberto Badaracco. Difficile dire chi saranno i prossimi candidati a stupire il pubblico, ma la volontà c’è. Sempre che la pandemia – o meglio le scelte che verranno fatte a tal proposito, ma questa è un’altra storia – non rovini tutto un’altra volta.
Sfortuna nella fortuna
L’ultima beffa per Lugano si era materializzata nei primi mesi del 2020. Reduce dal successo delle esposizioni su Picasso e Magritte, il MASI aveva messo a segno un altro colpo assicurandosi il prestito, per il mese di marzo, dei quadri della Collezione Bührle. Monet, Cezanne, Van Gogh: serve aggiungere altro? «Sarebbe stata una mostra incredibile – ricorda Badaracco – e quella era anche l’ultima chance per organizzarla a Lugano, approfittando dei lavori di ristrutturazione degli spazi in cui è custodita a Zurigo, ma poi…» ma poi è scoppiata l’emergenza sanitaria, e ovviamente non se n’è fatto nulla. E nei mesi successivi il «calendario» di quei quadri era stato sempre pieno. Nella fortuna di avere questa occasione – oltre alla bravura nel saperla cogliere al volo – Lugano ha avuto la sfortuna di perderla quando ormai sembrava tutto fatto.
Dall’inverno di tre anni fa in poi, il Museo d’arte della Svizzera Italiana e tutto il LAC hanno vissuto nell’incertezza. Un sentimento che in parte è ancora presente, pensando al rischio di puntare sul grande nome, investirci tanto e poi finire per essere penalizzati da eventuali nuove restrizioni, o semplicemente da una preoccupazione che fra il pubblico non è ancora svanita del tutto. In base a un sondaggio condotto fra il settembre e l’ottobre scorsi su incarico dell’Ufficio federale della cultura e del Segretariato generale della Conferenza svizzera dei direttori cantonali della pubblica educazione, due terzi della popolazione elvetica sono disposti a riprendere le visite culturali senza ulteriori preoccupazioni dovute al coronavirus. Bene per la ripresa del settore culturale, ma significa che un terzo del pubblico ancora non se la sente. Un terzo non è poco, se si deve anche far quadrare i conti. E Lugano deve.
Facciamo due conti
«I nostri margini finanziari per investire su mostre importanti sono molto ridotti» spiega Badaracco. «Ogni anno riceviamo 3 milioni dalla Città e altrettanti dal Cantone, ma è un contributo che serve soprattutto a far funzionare la ‘macchina’ del MASI. Per avere i grandi nomi, quindi, servono una buona sponsorizzazione, che nei casi migliori può arrivare anche a 1 milione di franchi, e un certo ricavo dalle vendite dei biglietti, che per Picasso, ad esempio, avevano fruttato quasi mezzo milione».
Per chiudere il calcolo – che abbiamo fatto a grandissime linee, solo per darvi degli ordini di grandezza – il costo di ospitare mostre di questo tipo oscilla fra 1 e 2 milioni. «E per Picasso siamo quasi arrivati al pareggio» annota Badaracco. Un pareggio che in realtà vale come una vittoria, se pensiamo a tutto l’indotto indiretto che generano eventi di questa portata. «Senza dimenticare la grande visibilità internazionale di cui beneficia Lugano. Del resto il MASI è nato con l’ambizione di far diventare Lugano un punto di riferimento artistico fra il nord e il sud dell’Europa, attirando pubblico sia da Zurigo sia da Milano, con benefici anche per il turismo. E nei primi anni è stato fatto».
Sognando Dalì
Fino alla pandemia, i risultati sono stati un crescendo: 45 mila visitatori per Signac, 50 mila per Picasso e 53 mila per Magritte. «Le mostre successive comunque – osserva Badaracco – hanno registrato numeri superiori alle attese: segno che probabilmente c’è stata una fidelizzazione del pubblico. I nomi che abbiamo proposto negli ultimi due anni e quelli in programma per l’anno prossimo sono comunque di alto livello (a settembre arrivano le opere di Andy Warhol, per citare un artista noto anche ai profani come chi scrive, ndr) ma forse non hanno la stessa capacità di far sognare e mobilitare il pubblico di massa».
Per questo motivo si è ricominciato a parlare di artisti «top», che il Museo punta a riavere a partire dal 2024. Il sogno personale di Badaracco? «Erano gli impressionisti sfumati nel 2020… Ma mi piacerebbe molto anche Salvador Dalì».