Tornare là sui monti con Annette

I cartoni animati e l'età d'oro dei meisaku giapponesi
Oliver Broggini
27.10.2011 10:59

Che ci fosse qualcosa di profondamente sbagliato, nella programmazione di Cartoon Network, lo sapevo da quella volta che – dopo una sessione endurance di sei ore davanti a Leone il cane fifone – mi sono dipinto di rosa e poi trapanato un incisivo con la punta da cemento armato. Ora, a corroborare questa mia intuizione, giunge finalmente una conferma anche dal mondo della ricerca scientifica.

L?Università della Virginia, infatti, ha condotto un esperimento su 60 bambini di 4 anni, dividendoli in tre gruppi: per 9 minuti, alcuni bambini hanno guardato SpongeBob, altri un cartone animato tradizionale e altri ancora hanno disegnato. Subito dopo, sono stati assegnati alcuni compiti da svolgere: ebbene, il gruppo SpongeBob ha fatto registrare prestazioni notevolmente peggiori, rispetto agli altri. Secondo i ricercatori, a fare la differenza è la velocità delle immagini, e il suo effetto sulle capacità di concentrazione: nel cartone animato tradizionale il cambio di scena avviene in media ogni 34 secondi, il triplo rispetto agli 11 di SpongeBob.

Un esperimento del genere è interessante perché si discosta dall'impostazione tendenziosa che produce risultati come «utente di videogiochi violenti=omicida potenziale», concentrandosi invece sull'evoluzione tecnica del medium. Come nota precauzionale, va comunque  ricordato che afferrare la complessità della vita con esperimenti in laboratorio è sempre un'operazione pericolosa: un po' come cercare di interpretare la crisi economica leggendo un editoriale di Boris Bignasca.

Ecco perché, spostando il discorso sui contenuti, vi accompagno con la memoria indietro al 1985, in un villaggio dal bellissimo paesaggio, sulle Alpi abbarbicato, in un posto un po' isolato. È lo scenario dove si svolgono le 48 puntate di Sui monti con Annette, un cartone animato dalla trama semplice e classica – trasmesso dall'allora neonata Italia 1 – che segnò la mia prima infanzia.

La dodicenne Annette vive in un paesino di valle con il padre: la madre è morta cinque anni prima mettendo al mondo il fratellino Dany, sul quale la ragazzina riversa da allora un amore totale. Lucien, amico e coetaneo di Annette, provoca – in modo involontario – un incidente che rende Dany paralitico: la bambina reagisce con odio implacabile – e quel genere di raffinata crudeltà psicologica che esiste solo nell'universo femminile – in un crescendo di rappresaglie ai danni del sempre più reietto Lucien, dilaniato dal senso di colpa. Il colpo di scena giunge quando la bambina distrugge una scultura in legno con la quale l'ex amico intendeva chiedere perdono, per l'ennesima volta, a Dany: l'episodio spinge Annette al confronto con il proprio lato oscuro – con l'Ombra, per dirla in termini junghiani – e fa da preludio a un'evoluzione interiore che sfocia poi nella riappacificazione con Lucien, prima del lieto fine che non vi svelo.

Ricostruendo la storia di questa serie, grazie a Wikipedia, ho scoperto cose che ignoravo: Sui monti con Annette è uno dei cosiddetti meisaku, produzioni con le quali la Nippon Animation – a partire dal 1975 – tradusse alcuni capolavori della letteratura per l'infanzia, specialmente occidentali, nel linguaggio anime. È chiaro che l'intento pedagogico dell'operazione – e la sua esterofilia un po' servile – suscitano un sorriso, ai nostri occhi disincantati; siamo però sicuri che quelle storie pluritragiche – nelle quali la Regola Aurea è la morte di uno o più genitori del protagonista – fossero tanto peggio delle scoregge di Ed, Edd e Eddy fragorosamente propinate ai bambini di oggi?