Trump accelera, l’UE rincorre: «Relegata al ruolo di spettatrice»
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Trump accelera e l’Europa rincorre. Scoprendosi ancora una volta fuori dai giochi. Ancora prima che questi entrino nel vivo. La telefonata tra il presidente USA e il suo omologo russo sull’avvio dei negoziati per la fine della guerra in Ucraina, di fatto, ha tagliato fuori non solo Kiev ma anche Bruxelles che, al di là dei proclami, dovrà rivedere (giocoforza) il suo «incrollabile sostegno per una pace giusta e duratura». Il rischio di ritrovarsi a pagare il conto, per l’Unione europea, è concreto, a maggior ragione se questa non dovesse partecipare al tavolo negoziale. Un’eventualità tutt’altro che remota, come suggerisce Mara Morini, politologa e professoressa associata di Scienza politica all’Università di Genova.
«Al netto dei contenuti delle trattative di cui al momento si parla solo in termini di bozza e di desiderata di Putin e Trump, una cosa è evidente: l’Unione europea rischia di ritrovarsi, ancora una volta, con il cerino in mano». Secondo Morini, il cerino che potrebbe rimanere in mano all’UE non si limiterebbe unicamente al sostegno economico e umanitario dell’Ucraina, come già avviene ora, ma potrebbe includere anche un impegno militare. Tra le ipotesi ventilate in questi mesi, figura anche quella di una possibile missione di peacekeeping europea per garantire nel lungo periodo il rispetto del cessate il fuoco. «Per l’Unione europea, il rischio è quello di trovarsi a dover gestire una situazione estremamente complessa, forse anche al di sopra delle sue capacità militari. Una presenza di truppe europee sul terreno implicherebbe un coinvolgimento molto più diretto, con tutte le conseguenze politiche e strategiche che ne derivano; soprattutto nel caso in cui una delle parti non dovesse rispettare gli accordi».
Un’eventuale esclusione dell’UE dai negoziati, per altro ventilata oggi dallo stesso Putin («È prematuro parlare dell’UE al tavolo»), sancirebbe in modo inequivocabile la sua irrilevanza geopolitica e internazionale, osserva Morini: «Questo scenario indebolirebbe ulteriormente l’Unione europea sul piano della politica internazionale, confermando la sua incapacità di agire come attore autonomo e influente». Un limite - spiega Morini - dovuto alla sua particolare architettura istituzionale: «L’UE non è uno Stato unitario come la Russia o gli Stati Uniti, e questa frammentazione la rende poco incisiva nella gestione delle grandi crisi globali. Da un lato, Putin ha smesso di considerare l’UE un interlocutore politico rilevante già dal 2008, vedendola come un’entità subordinata agli Stati Uniti. Dall’altro, la politica di Trump non ha mai mostrato una vera inclinazione a sostenere l’Europa, come si è visto già durante la sua prima presidenza». La sua attenzione è rivolta principalmente alla sfida con la Cina che considera il vero avversario strategico. Ed è proprio in chiave anti Cina che Trump potrebbe cercare un riavvicinamento con la Russia: «Vuole ammorbidire l’orso russo, che comunque rimane una minaccia militare, magari anche ripristinando i contatti commerciali ed economici».
Più in generale, Morini sottolinea come la telefonata tra Trump e Putin rappresenti una riedizione della storica contrapposizione ideologica, politica e militare che ha plasmato gli equilibri della politica internazionale sin dal secondo dopoguerra. Gli attori internazionali, insomma, sono sempre e ancora loro: «Era uno scenario abbastanza prevedibile», osserva l’esperta. «Trump ha semplicemente accelerato un processo che, prima o poi, anche Biden avrebbe dovuto affrontare. La differenza sta nella strategia: mentre Biden probabilmente avrebbe prolungato il conflitto nel tentativo di logorare economicamente la Russia e ottenere un accordo più bilanciato da presentare come successo internazionale, Trump sembra disposto a concedere a Putin gran parte delle sue richieste (territoriali ma non solo, ndr) pur di chiudere rapidamente la guerra». E ancora: «La capacità della Russia di resistere alle sanzioni e al peso del conflitto era abbastanza prevedibile. La vera novità sta nella rapidità con cui Trump ha deciso di arrivare a una soluzione, anche a costo di un compromesso che appare come una resa per l’Ucraina».
Tra le righe Morini legge una rivisitazione della guerra fredda con un ritorno alla contrapposizione dei due blocchi. «Tecnicamente non si può parlare di guerra fredda perché il conflitto è ancora in corso, ma lo scambio diretto tra la Casa Bianca e il Cremlino, al momento, si sta sviluppando escludendo completamente non solo l’Ucraina, ma anche l’Europa e la Cina».
Pechino relegato al ruolo di spettatore, dunque, tagliato fuori dal filo diretto tra Trump e Putin. Esclusione reale o apparente, però? «Nei retroscena la Cina è sempre presente. Il dialogo tra l’amministrazione USA e il governo cinese esiste ed è altamente probabile che all’interno di questi contatti si sia affrontato anche il tema Ucraina», premette la politologa. «Trump sa benissimo che la Cina rappresenta il suo avversario principale e, quindi, se può mettere in difficoltà Pechino dal punto di vista commerciale ed economico, lo fa». Riportare la Russia in una traiettoria di dialogo con l’Occidente significa quindi rompere il legame diretto con Pechino e quella partnership che i due Paesi, in questi anni di conflitto, hanno descritto come «un’amicizia illimitata»: un’alleanza strategica in chiave anti USA che ora Trump vorrebbe indebolire. «In realtà, non credo a un avvicinamento vero e proprio, piuttosto gli Stati Uniti vogliono dimostrare di essere un nuovo interlocutore per la Russia. Sia chiaro, però, i contatti possono riprendere, ma non si tornerà alla situazione precedente il 2014».
Tornando al ruolo della Cina in questa fase delle trattative, Morini esclude che Putin abbia subito pressioni da Xi Jinping. «Contatti diplomatici ci sono stati, come accade sempre durante un conflitto. Non credo tuttavia che Pechino abbia influenzato le decisioni politiche del Cremlino. Del resto, Russia e Cina si muovono in un orizzonte ideologico multipolare che, in una certa misura, mette fine ai tentativi degli Stati Uniti di ripristinare l’unilateralismo».