Truss di male in peggio: se ne va la ministra dell'Interno
Si fa sempre più disperata l'impresa di Liz Truss per provare a salvare la poltrona, ad appena due mesi dall'arrivo a Downing Street; o quanto meno a sfuggire al destino di dover strappare la palma ingloriosa di capo del governo di Sua Maestà più effimero della storia britannica a George Canning, morto nel 1827 dopo soli 119 giorni di mandato.
Tornata sulla graticola in Parlamento, nel Question Time del mercoledì, per cercare di recuperare un minimo di credito dopo l'umiliante smantellamento del suo pacchetto fiscale «kamikaze» d'esordio da parte del neo cancelliere dello Scacchiere, Jeremy Hunt, la premier Tory si è ritrovata nel pomeriggio ad affrontare un altro passo falso: le dimissioni obbligate della ministra dell'Interno anti immigrazione, Suella Braverman, altro falco di una compagine connotata in origine da pretese di conservatorismo ultrà.
Braverman non è stata tecnicamente silurata, ma si è dimessa dopo un colloquio con Truss a causa di quello che è stato presentato come «un errore in buona fede». Avendo riconosciuto d'aver inviato dalla sua mail personale a un collega deputato - in violazione delle regole sulla sicurezza delle comunicazioni ministeriali - il testo preliminare di un ennesimo giro di vite sulla politica migratoria. Errore di cui si è autoaccusata e per il quale ha valutato il passo indietro come «l'unica cosa giusta da fare».
Nella lettera di congedo, l'ormai ex ministra - che giorni fa era arrivata a denunciare come un «golpe» le pressioni esercitate nei giorni passati sulla premier per costringerla a rinunciare alla «mini manovra finanziaria» iperliberista del 23 settembre, e a sostituire il cancelliere Kwasi Kwarteng col più cauto nuovo uomo forte dell'esecutivo Hunt - non ha mancato tuttavia di lanciare stilettate nel momento del passo d'addio contro generici altri che non si starebbero assumendo le proprie responsabilità di fronte a un cambiamento di linea politica verso cui ha espresso apertamente «preoccupazione». Parole che preannunciano nuove grane per Truss. La quale si ritrova costretta a sostituire una seconda (ex) fedelissima della destra interna - capace nelle scorse ore di attirarsi critiche e sarcasmo per aver imputato i disagi provocati alla gente dai blitz degli ambientalisti radicali nelle strade di Londra alla cosiddetta cultura «woke» di chi «legge il Guardian, mangia il tofu» o vota «la coalizione del caos» formata da Labour e LibDem - di nuovo con una figura più moderata e più lontana da lei: Grant Shapps, ex ministro dei Trasporti di Boris Johnson, il cui ripescaggio ufficializzato in serata alla guida dell'Home Office sposta inevitabilmente gli equilibri del top team del gabinetto su posizioni meno ideologiche e in linea con il pragmatismo dell'ambizioso ex cancelliere Rishi Sunak: avversario numero uno della stessa Liz nella sfida dei mesi scorsi per la successione post BoJo.
Uno spostamento del baricentro d'un governo in cui la premier appare ormai ai più «in carica ma non al potere». Affannata anche oggi nelle risposte del Question Time ai «boo» dei banchi delle opposizioni e agli attacchi irridenti del leader laburista Keir Starmer sullo sfondo d'un dato mensile sull'inflazione aggiornato proprio stamane a un galoppante 10,1%: picco per il Regno Unito dal 1982. Nell'occasione Starmer non ha mancato di cambiare focus, visto che il governo è stato obbligato in pochi giorni a passare dalla strategia delle promesse dei tagli di tasse in deficit (cancellate da un giorno all'altro da Hunt), all'annuncio d'interventi di riduzione di spesa che fanno presagire nuove forme d'austerità: per rassicurare i mercati a costo di rinfocolare proteste sociali già in corso sull'isola a colpi di scioperi e vertenze salariali. Al riguardo, Truss ha tentato di parare il colpo ribadendo l'impegno - messo in dubbio dai primi interventi del neo cancelliere - ad adeguare ad aprile le pensioni al tasso d'inflazione; ma non i sussidi del welfare.
Mentre ha replicato alle sollecitazioni a dimettersi avvertendo di essere «una combattente, non una che si arrende» («a fighter, not a quitter»). Non abbastanza, comunque, per convincere chi la vede sempre più come un primo ministro a termine, in attesa che la stessa maggioranza Tory - decisa a resistere finché potrà alle pressioni per un voto anticipato, in presenza di sondaggi senza precedenti che indicano il partito di governo in caduta libera fino a 36 punti di scarto dal Labour - trovi il modo per rimpiazzarla con un leader possibilmente unitario. E meno devastato sul piano della credibilità.