L'editoriale

Un caso che non è ancora chiuso

Il caso Gobbi si è diviso definitivamente in due tronconi: uno penale, l’altro politico – Restano sul tavolo le domande contenute nell’interpellanza inoltrata al Governo da Fiorenzo Dadò, puntuali interpellanze che non possono e non devono finire nel cestino
Paride Pelli
12.06.2024 06:00

Decreto di abbandono nei confronti dell’ufficiale della Polizia cantonale che era di picchetto la notte dei fatti e atto d’accusa per favoreggiamento, dinanzi alla Pretura penale, per altri due agenti della Cantonale in servizio il 14 novembre 2023, data dell’incidente stradale sulla A2 che, a Stalvedro, ha visto coinvolte due auto, tra cui quella del consigliere di Stato Norman Gobbi: si tratta del sottoufficiale superiore di Gendarmeria di picchetto e del capo gruppo. Per quest’ultimo, l’ipotesi di reato viene prospettata in via principale nella forma della correità, subordinatamente in quella della complicità. Tutti e tre, lo ricordiamo, erano sotto inchiesta per abuso di autorità e favoreggiamento. È con questi pronunciamenti che si sono chiuse, ieri, le indagini sul caso Gobbi, nei confronti del quale – è bene ricordarlo – non è mai stato pendente alcun procedimento penale. Tutto risolto, dunque, e che la giustizia faccia il proprio corso? La vicenda in realtà non è così semplice. Il caso non è per niente chiuso, si è soltanto diviso definitivamente in due tronconi: uno penale, l’altro politico. Partiamo dal primo. I due atti d’accusa comprovano come vi fosse la reale necessità di fare chiarezza sull’accaduto, altrimenti non sarebbero stati nemmeno spiccati dal procuratore generale Andrea Pagani. Il clamore suscitato lo scorso marzo dal caso Gobbi non era dunque infondato, sebbene cadesse nel pieno di una campagna elettorale. All’epoca, vi fu chi accusò i mezzi di informazione che ne riferivano di «calunnia» e di «sciacallaggio mediatico». Ma rileggendo le cronache apparse su queste colonne, adesso sappiamo – come lo sapevamo allora, d’altronde – che non abbiamo distorto né gonfiato alcunché. Ci eravamo limitati, con il dovuto rispetto delle parti, a pubblicare in modo indipendente le notizie attinenti al nostro territorio. Non vi è stata nessuna montatura mediatica – al caso dedicammo alcuni articoli, nemmeno molti a dire il vero – e la questione non era e non è una «cavolata» – per citare una recente espressione di Gobbi, in realtà più colorita – dal momento che ora ci sono due agenti della Cantonale che rischiano una condanna.

Le indagini, ça va sans dire, sono state delicate. Solo eventuali istanze probatorie (che non dovrebbero essere presentate dai due indagati) potrebbero ritardare la data del dibattimento, che avrà luogo in ogni caso non prima dell’inizio del 2025. Fino a quel momento, che ne sarà degli agenti accusati e delle loro mansioni? Nell’atto del ministero pubblico, poi, non si fa menzione del consigliere di Stato, che tuttavia è il convitato di pietra. Norman Gobbi, infatti, sarà sullo sfondo di tutto il dibattimento e di tutte le testimonianze. Questo non è certo un sospetto né tantomeno un’accusa nei suoi confronti, è solo che quella sera di metà novembre lui era sul luogo dell’incidente, e non come passante. È lecito dunque chiedersi che tipo di condotta seguirà il consigliere di Stato su questo caso e se, in attesa della sentenza, manterrà in essere l’auto-sospensione dalla responsabilità politica della Polizia cantonale o se quest’ultima, alla luce della sua estraneità ai fatti, verrà da lui stesso ritirata, con l’avallo dei colleghi di Governo.

Sul piano politico, restano sul tavolo soprattutto le domande contenute nell’interpellanza inoltrata al Governo da Fiorenzo Dadò, dove si parlava espressamente di una sorta di trattamento privilegiato per «un consigliere di Stato che è stato vittima-protagonista di un incidente della circolazione nel novembre 2023» e dove si ipotizzava fin da subito «un abuso di potere o favoreggiamento». Rileggendo le interrogazioni del deputato del Centro, almeno la metà restano a tutt’oggi inevase. Il silenzio di Gobbi – che anche ieri si è affidato ad uno scarno comunicato stampa e, soprattutto, alle parole dell’avvocato Galfetti – mette in imbarazzo lo stesso Consiglio di Stato, alle prese con puntuali interpellanze che non possono e non devono finire nel cestino. È soltanto una questione penale, dirà qualcuno, e il dibattimento farà chiarezza, interrogando i diretti accusati ed eventualmente sanzionandoli. Se così sarà, e se allo stesso tempo verranno eliminate tutte le nuvole che ancora adombrano il caso, tutti ne avranno guadagnato qualcosa: la società civile così come la politica. 

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