Brione verzasca

Un castello con quattro vite, a partire da un antico tiranno

Quando fu costruita, Casa Marcacci era una residenza estiva nobiliare – Ma i suoi padroni non dovevano essere molto stimati...
Il Castello Marcacci a Brione Verzasca. (foto Pellegrino)
Carlo Silini
02.03.2019 17:32

Se si potesse attribuire il soffio vitale a un edificio, potremmo iniziare questa storia dicendo che c’era una volta un castello in mezzo a una valle e che questo castello ha già avuto tre vite diverse. Poi è morto. Infine è risorto, ma non del tutto. Ecco, in estrema sintesi, la parabola esistenziale del Castello Marcacci, una singolare costruzione che si trova a Brione Verzasca, antico villaggio di pietra al centro dell’omonima valle, 218 anime raccolte attorno a un piccolo, spettacolare patrimonio d’arte e di storia. Con il sogno – soprattutto per i vecchi, che sono la maggioranza - di attraversare l’inverno, tutti i prossimi inverni, non ognuno rinchiuso nella propria casetta, ma attorno al tavolone di legno della locanda che fino a vent’anni fa era stata aperta proprio dentro il castello, il fuoco che crepita nel camino, riunioni, eventi o anche solo chiacchiere sparse in compagnia e un bicchiere di rosso tra le mani: insomma, una comunità che risorge.

Sarà il freddo di gennaio, ma nel pomeriggio in cui raggiungiamo Brione, il villaggio sembra una cartolina in 3D: ogni cosa è perfettamente al suo posto, ordinata, pulita, come congelata nell’aria che vien giù dal Gasg (o Gaggio) un ripido sperone di roccia alle spalle dell’insediamento. Il segretario comunale Angelo Scalmazzi sorride timidamente, cortese, si infila un giacchettino sportivo, nulla più (questa è gente di montagna e si vede) prende con sé le chiavi del castello, che castello non è, e ci fa strada. La sagoma della costruzione è inconfondibile: dietro l’alto muro di cinta l’edificio rettangolare su due piani presenta altrettante torrette a punta ai suoi quattro lati, il tetto è in piode, come quello della maggior parte degli edifici tutt’intorno. Quattro torrette più piccole delimitano pure il perimetro del muraglione.

Gli stemmi

Cosa ci fa un piccolo maniero da queste parti?, ci chiediamo entrando. La risposta ce la dà la storia e corrisponde alla prima vita del castello. Quella di cui troviamo le prime tracce già nel corridoio d’entrata dove scorgiamo alcuni dipinti a muro «risalenti all’epoca della costruzione dell’edificio da parte della famiglia Marcacci, fiscali per il Locarnese, che si occupavano di intascare le tasse presso la popolazione su mandato dei landfogti», spiega Scalmazzi. Sono gli stemmi di alcuni membri della famiglia. Quello meglio conservato parla di un «Marcatius prefectus Vallis Verzaschae» eletto nel 1664. Il più antico risale però al 1612. Intravediamo, nella parte scritta, riferimenti al canton Soletta. Del resto nel 1674 i fratelli Marcacci avevano ricevuto l’autorizzazione ad inserire nel loro stemma elementi araldici dell’arma solettese come la «Zeitglockensturm con sole sovrastante», come leggiamo nel volume dedicato alla Verzasca de «I monumenti d’arte e di storia del canton Ticino» a cura di Elfi Rüsch (2013). «Del resto, osserva il segretario comunale, ancora oggi ci sono dei Marcacci della zona di Olten-Soletta e sono venuti di recente a visitare il castello sostenendo di essere discendenti da questa famiglia».

Ma chi erano, davvero, i Marcacci? «Sotto i Cantoni confederati – spiega Giovanni Bianconi nel libro ’’Valle Verzasca’’ del 1977, ed. Dadò - la valle era governata da un podestà e da un tenente che non potevano essere dello stesso comune: per questa ragione e anche per discordie interne, qualche volta si ebbe ricorso a personalità fuori valle» e, «a poco a poco le cariche diventarono addirittura feudi. È appunto il caso della famiglia Marcacci».

Paura e diffidenza

Se ha ragione il Bianconi, non dovevano essere molto amati, anzi: «Il loro castello si differenzia – per mole e per le torrette che dicono potenza autorità e se non paura, diffidenza – dalle povere case di tutta la valle. Un Giovanni Antonio Marcacci ottenne perfino la baronia dal re Giovanni II di Polonia, si ignora per quali motivi». Altrove, però, leggiamo che lo stesso individuo avrebbe sposato una figlia del re polacco (ecco il motivo).

E infatti, proseguendo nella visita, ecco nel salone a pianterreno un ampio camino con la cappa decorata a stucco che rappresenta un’aquila. «Probabilmente l’autore del camino è un Gada, scultore di Brione – commenta Scalmazzi – uno che aveva lavorato alla corte di Vienna. Alcuni ritengono che l’aquila sul camino sia quella degli Asburgo, mentre altri pensano che sia quella dei reali di Polonia. In ogni caso il camino originale è stato ristrutturato: questo con le panchine non è sicuramente più l’originale».

«Nei lavori di ricognizione attorno al camino, osserva da parte suo il sindaco Fabrizio Bacciarini che nel frattempo ci ha raggiunti, sono stati trovati fino a sedici strati di vernice. In un primo tempo il camino era talmente grande che tirava male. Insomma, il locale si riempiva di fuliggine e doveva essere ridipinto molto spesso».

Anche l’affresco centrale del salone (foto sopra), datato 1745, «riprende sui lati lo stesso simbolo delle aquile e rappresenta una scena dell’Antico Testamento».

Una dittatura?

Ma torniamo ai Marcacci. Fu una piccola dittatura, la loro? È probabile, visto che - a parlare è sempre Bianconi - «nel 1686 i comuni della valle stanchi del malgoverno e delle angherie dei Marcacci si strinsero fra di loro e – mediante indennizzo – li convinsero a rinunciare ai loro diritti più presunti che reali».

Solo brevi soggiorni

Una brutta fama confermata anche da Francesco Chiesa ne «La casa borghese nella Svizzera» (Dadò 1984), dove scrive che «la famiglia Marcacci (...) deve essersi trovata qualche volta nella circostanza di aver a temere il malcontento della popolazione, come risulta dalle notizie storiche che la riguardano. Bisogna però dire che l’ultimo discendente, Giov. Antonio Marcacci (ma questo dell’Ottocento: è nato nel 1796 ed è morto nel 1854, ndr) riabilitò la famiglia beneficando generosamente la città di Locarno, dove i suoi, originari di Brione, erano andati a stabilirsi». Stando ai suoi scritti «l’edificio era destinato soltanto a brevi soggiorni ed a dimostrazione di ricchezza e di dominio».

Se poi spulciamo il Dizionario Storico della Svizzera, alla voce «Marcacci, Giovanni Antonio», troviamo conferma che doveva essere un farabutto. «Ricco e potente, accumulò un notevole numero di cariche vitalizie; fu in particolare fiscale di Locarno e maggiore delle milizie (1665-1680), podestà della Valle Verzasca (1664-80) e del Gambarogno (1676-80). L’accentramento di potere nella sua persona fu all’origine di tensioni e inimicizie: denunciato ai cantoni sovrani, dopo la morte, per tirannide da uno scritto anonimo, fu pure oggetto in diverse occasioni di indagini per presunto omicidio, senza tuttavia subire alcuna condanna».

E qui finisce anche la prima vita del Castello Marcacci.

DA SAPERE

Costruito tra il Sei e il Settecento su progetto dell’architetto Giovanni Gada quale dimora signorile della famiglia Marcacci, il castello ha pianta rettangolare, con ad ogni angolo una torre ed è circondato da un muraglione, delimitato da quattro torrette.

IL NEGOZIO

A cavallo tra gli anni Settanta e Ottanta ospita un negozio e una trattoria, gestita da Flora e Onorina, sorelle del vescovo emerito Ernesto Togni, tutti cresciuti in quell’edificio. I locali pubblici vengono utilizzati come tali fino alla fine degli anni Novanta, quando le sorelle smettono di lavorare. Vivono lî fino all’inizio degli anni Duemila.

L’OBLIO

Poi sui due esercizi cade gradualmente l’oblìo e le porte del castello rimangono chiuse fino a poco tempo fa. Le sorelle Togni, nel frattempo decedute, coltivavano il desiderio che l’edificio un giorno tornasse a essere un luogo d’incontro. Da qui le disposizioni testamentarie che lo stesso finisse in mani pubbliche.

L’ACQUISTO

Messo in vendita nel 2014, il castello è stato acquistato dal Comune nell’agosto del 2017 «per circa mezzo milione di franchi». Dopo averla sottoposta ad alcuni urgenti lavori di risanamento – con la supervisione dell’Ufficio cantonale dei beni culturali –, il Comune di Brione Verzasca ha riaperto una prima volta le porte dell’antica dimora lo scorso 2 dicembre, in occasione del mercatino di Natale. In gennaio sono già stati proposti alla popolazione sei appuntamenti in altrettante date.