Un freno ai dipendenti pubblici, «ora al voto il più presto possibile»
Quasi undicimila firme per frenare la crescita del personale dell’amministrazione statale. L’iniziativa popolare ‘stop all’aumento dei dipendenti cantonali’ lanciata a inizio ottobre dal fronte borghese composto da UDC, Lega, rappresentanti di PLR, Centro e associazioni economiche (AITI e Camera di Commercio) è riuscita: i promotori hanno consegnato oggi le sottoscrizioni alla Cancelleria dello Stato. Saremo dunque chiamati al voto su questo tema che non tarderà certo a surriscaldare gli animi, e i promotori sono chiari: vogliono andare alle urne il più in fretta possibile.
I paletti
Il testo dell’iniziativa è semplice: bisogna limitare progressivamente il costo del personale pubblico. Per farlo, i promotori chiedono di inserire nella legge un tetto massimo al numero dei dipendenti cantonali (esclusi i docenti e il personale di cura dell’Organizzazione sociopsichiatrica cantonale), che non dovrà superare l’1,3% della popolazione residente in Ticino. Con questo parametro, assicurano, «si prevede una riduzione del 10% del personale attuale», ossia circa 580 unità. La «cura dimagrante» andrebbe completata entro cinque anni dall’adozione dell’iniziativa, peraltro «senza riversare compiti ai Comuni o agli altri enti».
Non occorrono licenziamenti
Fra i membri del comitato c’è soddisfazione per il risultato raggiunto. «Abbiamo raccolto quasi 11 mila firme, con un determinante contributo da parte del Mattino», sottolinea non a caso Gianmaria Frapolli. Il vice-coordinatore della Lega spiega che «il tema è sentito, importante». E l’obiettivo è anche quello di evitare – vista la situazione in cui versano le finanze cantonali – «licenziamenti nei prossimi anni». Il fronte borghese, infatti, è convinto di poter agire solo tramite la fluttuazione del personale. «Nell’ultimo periodo, abbiamo visto che ogni anno circa 300-350 persone lasciano l’amministrazione cantonale per pensionamento oppure per un impiego nel settore privato», osserva a questo proposito Piero Marchesi, presidente dell’UDC e primo firmatario. «Immagino che nei prossimi anni, grazie al pensionamento della generazione dei ‘baby boomer’’, si avrà un’altra opportunità di sfruttare questa fluttuazione». Marchesi, a questo punto, lancia però una stoccata al Governo: «Nonostante la particolare fase che stiamo attraversando e il numero delle fluttuazioni, il Consiglio di Stato negli ultimi anni non ne ha approfittato per ridurre l’organico. Al contrario, lo ha aumentato». «È evidente che nelle istituzioni – chiosa ancora il consigliere nazionale –, sia in Parlamento sia in Governo, non c’è la volontà di agire. Manca lo spunto popolare per muoversi in questa direzione, che speriamo di trasmettere tramite l’iniziativa. Tenendo tuttavia conto che l’obiettivo non è quello di licenziare qualcuno ma di sfruttare le fluttuazioni naturali del personale dell’amministrazione cantonale». In definitiva, dice Marchesi, si tratta di ridurre di circa il 10% l’amministrazione, quindi 500-600 persone, «l’equivalente delle assunzioni degli ultimi tre anni. Riportiamo semplicemente indietro di tre anni il numero dei dipendenti pubblici. E non è che tre anni fa lo Stato non funzionava perché mancavano dipendenti».
Lanciare un messaggio
Il senso dell’iniziativa, al netto dell’esito del voto, è anche quello di lanciare un messaggio. «C’è chi ha detto che i partiti che sostengono l’iniziativa ‘stop all’aumento dei dipendenti cantonali’ avrebbero i numeri per agire in Parlamento», rilancia ancora Marchesi. «Ma è proprio il fatto che mancano la forza o la volontà politica di andare in questa direzione a rendere necessaria un’azione esterna. In Svizzera abbiamo la fortuna di avere la democrazia diretta». Chiamando il popolo al voto, aggiunge il presidente dell’UDC, si può effettivamente lanciare un segnale politico. «È importante che il Governo prenda sul serio queste 11 mila firme per definire una road-map di cosa deve succedere a livello di processi cantonali», aggiunge da parte sua Frapolli. «Le aggregazioni comunali hanno portato negli anni alla creazione di grossi centri. Penso che il Cantone possa snellire determinati processi dando responsabilità maggiori ai Comuni».
«Uffici pensati 30 anni fa»
La tesi portata avanti dall’iniziativa trae spunto dallo studio dell’Istituto superiore di studi in amministrazione pubblica commissionato nel 2023 dal Gran Consiglio, che aveva evidenziato alcune criticità nel confronto intercantonale. Fra queste, la voce «spesa per l’amministrazione pubblica» indica che il Ticino spende il 33% in più rispetto alla media. «Dobbiamo riuscire a rivedere i processi e ammodernare i servizi», rileva Frapolli. «Bisogna cambiare mentalità, con un approccio imprenditoriale anche nell’amministrazione», gli fa eco Marchesi. «Oggi si parla di digitalizzazione, intelligenza artificiale. Si approvano crediti per andare in quella direzione, ma il risultato è che l’organico dell’amministrazione pubblica aumenta». Le risorse, puntualizza Marchesi, vanno indirizzate meglio. Non mancano, a questo proposito, le critiche all’iniziativa. Il fronte rossoverde, ad esempio, sostiene che aumentano le assunzioni perché aumentano i bisogni. «È un alibi», replica in conclusione Marchesi. «La politica non si chiede mai se i servizi erogati sono davvero richiesti. Ci sono uffici pensati 30 anni fa e nessuno si chiede se sia ancora giusto averli. È ora di ragionare come un’azienda».
Le critiche: "La proposta spara nel mucchio senza portare soluzioni"
La campagna di voto non è ancora entrata nel vivo, eppure gli schieramenti sono già pronti a darsi battaglia. Il fronte rossoverde, così come i sindacati, non hanno perso tempo. «È il solito sparare nel mucchio», critica ad esempio Fabrizio Sirica, co-presidente del PS. «Un modo di procedere che non analizza i bisogni reali, non porta vere soluzioni. Semplicemente mette altri paletti, altri limiti, fissa criteri in maniera lineare. Come successo con il decreto Morisoli». Per Sirica non basta dire ‘i servizi sono troppi’. «Bisogna anche prendersi la responsabilità di indicare quali sono di troppo». La politica portata avanti dall’UDC, riprende il co-presidente socialista, «è liberista, cerca di mettere in difficoltà lo Stato sottraendogli risorse. È vero che i dipendenti pubblici sono aumentati, ma bisogna considerare altri parametri. Come l’aumento del PIL. La crescita dell’apparato pubblico è in linea con la crescita della ricchezza prodotta». Secondo Sirica la narrazione di un settore pubblico privilegiato «è sbagliata, e porta a un peggioramento delle condizioni di lavoro». Bisogna invece adoperarsi «per migliorare il servizio pubblico, senza battaglie di trincea ma ascoltando la voce dei dipendenti. Anche in un’ottica di ammodernamento del settore».
Un «no» su tutta la linea
«Esprimiamo la nostra ferma opposizione a questa iniziativa che, sotto il pretesto di un presunto contenimento della spesa pubblica, rischia di compromettere la qualità dei servizi essenziali offerti alla popolazione e di mettere in discussione le condizioni di lavoro di migliaia di dipendenti pubblici», è invece il commento della VPOD. In una nota, il sindacato sottolinea che la proposta «non tiene conto della complessità e dell’importanza del servizio pubblico in Ticino. I dipendenti pubblici operano quotidianamente per garantire servizi indispensabili, dall’amministrazione alla sanità, dalla sicurezza alla gestione del territorio. Ridurre arbitrariamente il numero di collaboratori significa mettere a rischio la capacità del Cantone di rispondere ai bisogni dei cittadini, specialmente in un contesto di crescente complessità sociale ed economica. Limitare il personale amministrativo non è sinonimo di efficienza, ma di disservizi».