Sanità

Un master in medicina di famiglia per rilanciare una figura centrale

L’Ente ospedaliero cantonale, l’Ordine dei medici e l’Università della Svizzera italiana hanno presentato la nuova offerta accademica - Luca Gabutti: «Sarà un unicum a livello svizzero» - L’obiettivo è fornire una formazione specifica per lottare contro la scarsità di generalisti
©GAETAN BALLY
Francesco Pellegrinelli
11.09.2024 19:30

Potremmo partire dalle parole del decano della Facoltà di scienze biomediche dell’USI, Giovanni Pedrazzini: «Il Ticino ha cambiato mentalità, ha aperto una finestra e oggi vuole guardare lontano, in termini di ambizioni e qualità».

Il suo discorso, in realtà, riassumeva una serie di scelte strategiche operate negli ultimi anni dal Ticino in campo sanitario. Scelte culminate prima con la creazione del Master in medicina e, da oggi, con la nascita dell’Istituto di medicina di famiglia all’interno della Facoltà di scienze biomediche dell’USI. Un progetto strategico nato dalla collaborazione tra EOC, OMCT e USI, con il sostegno del DSS, «volto a rafforzare la figura centrale del medico di famiglia tra formazione, ricerca e pratica clinica», gli ha fatto eco Luisa Lambertini, rettrice dell’USI.

Un diploma ad hoc

«A livello di offerta formativa si tratta di un unicum a livello svizzero», ha spiegato dal canto suo Luca Gabutti, direttore dell’Istituto di medicina di famiglia (IMF) e titolare della cattedra di Medicina di famiglia presso l’USI. «Tutti i cantoni universitari che offrono un master in medicina hanno già un istituto di medicina di famiglia. In Ticino, però, per la prima volta, vogliamo offrire un percorso formativo specifico. Percorso che al momento altrove non esiste».

L’Istituto svizzero per la formazione medica (ISFM) offre infatti una formazione per la medicina interna generale che non corrisponde alla medicina di famiglia: «La medicina di famiglia richiede competenze specifiche che fino a oggi venivano acquisite sul campo. Il nuovo percorso formativo si inserisce in questo vuoto accademico». Al termine della formazione - ha spiegato ancora Gabutti - si otterrà dall’ISFM il titolo di specialista in medicina interna generale; e dall’USI, il diploma di master in medicina di famiglia».

Uno su quattro

Dal canto suo, Paolo Bianchi, direttore della Divisione della salute pubblica, ha sottolineato l’impegno finanziario del Cantone nel promuovere la medicina di famiglia. «Il numero di medici con libero esercizio è cresciuto costantemente negli anni. Attualmente sono circa 2.500 coloro che sono abilitati a esercitare in Ticino. La percentuale di medici di famiglia, per contro, è diminuita. Oggi, solo un medico su quattro ha la specializzazione in medicina interna generale». La medicina di famiglia ha quindi bisogno di essere riconsiderata, ha aggiunto Bianchi: «Il medico di famiglia rappresenta un punto di riferimento essenziale per il paziente. Grazie al suo ruolo di guida e consigliere, contribuisce in modo significativo a prevenire la sovramedicalizzazione, evitando il ricorso eccessivo a esami diagnostici, trattamenti e farmaci non necessari». Detto altrimenti: il medico di famiglia può giocare un ruolo centrale nel contenimento dei costi della salute. «Si tratta chiaramente di un obiettivo ambizioso e difficilmente misurabile. Quello che conta è però la rivalutazione del ruolo scientifico e accademica del medico di famiglia che viene un po’ negletto nell’immaginario collettivo e medico, ma che- in realtà - ha una visione e una conscoscenza generale che dovrebbero portare, secondo il Cantone, a una scelta quasi obbligata del medico di famiglia come proprio referente». Una sorta di porta di accesso al sistema sanitario che, in linea teorica, dovrebbe permettere anche una certa razionalizzazione dei costi. Migliorando le competenze e il numero dei medici di famiglia sul territorio dovrebbe portare a maggior ordine nell’acceso al sistema sanitario e maggiore razionalità nel consumo di pestazioni.

Contro le criticità

Di fronte alle criticità della professione (come il mancato riconoscimento del ruolo specialistico, la retribuzione insufficiente e l’elevato carico di lavoro), la formazione specifica offerta dall’USI mira quindi a rilanciare la figura del medico di famiglia, conferendogli il titolo di specialista e, per così dire, nuovo smalto. «Occorre restituire alla professione la dignità e il ruolo centrale che gli spettano all’interno della società», ha commentato dal canto suo il presidente dell’Ordine dei medici, Franco Denti tra i promotori e grande sostenitore del progetto: «Oggi, a 16 anni dalla prime riflessioni che mi vedevano coinvolto in Gran Consiglio, vedo un sogno che si realizza». E ancora: «Con questo progetto i medici di famiglia potranno rafforzare il proprio ruolo all’interno del sistema sanitario ticinese». E ciò tenuto conto che l’obiettivo è incrementare il numero di professionisti qualificati sul territorio e di migliorare la qualità della formazione.

In prima linea all’Italiano

Oltre all’offerta accademica, l’Istituto di medicina di famiglia sarà anche operativo con un comparto clinico all’Ospedale italiano di Lugano. È qui che prenderà forma il servizio ambulatoriale rivolto alla popolazione. Servizio che andrà a sostituire l’attuale Pronto Soccorso dell’Italiano. Oggi, però, sono arrivate anche le rassicurazioni del caso: «L’offerta resterà incentrata sui bisogni dei pazienti, non sarà più un Pronto soccorso, ma ci sarà sempre qualcuno in prima linea per una presa a carico delle emergenze. È chiaro che potremmo utilizzare tutte le competenze presenti nell’Ospedale per rispondere alle richieste della popolazione e, se la casistica lo richiede, i pazienti verranno trasferiti al Civico di Lugano», ha spiegato Gabutti. Dal canto suo, il direttore l’Ospedale regionale di Lugano, Emanuele Dati, ha sottolineato l’innovazione dell’offerta e come questa sia complementare a quella del Civico: «L’Ospedale italiano ha un ruolo di prossimità e di presa a carico di urgenze minori. Il nuovo Istituto rientra in questa visione di vicinanza ai pazienti e ai medici del territorio».