"Un no? Sarebbe la catastrofe"

Risanamento del San Gottardo: parla un imprenditore, il direttore della Galvolux Paolo Jelmini
Gianni Righinetti
20.02.2016 06:00

BIOGGIO - Dopo le molte parole spese da politici e tecnici sul risanamento della galleria autostradale del San Gottardo, il Corriere del Ticino ha dato la parola ad un imprenditore, il cosiddetto "uomo che fa". In una lunga intervista pubblicata sulla versione cartacea parla Paolo Jelmini, direttore della Galvolux SA di Bioggio: azienda familiare, nata 100 anni fa, che impiega oggi 160 dipendenti. E se passasse il no? "Sarebbe prima di tutto una catastrofe umana e nello stesso tempo una catastrofe economica, sia per i nostri collaboratori e le loro famiglie come pure per tutte le altre aziende e per tutto il Ticino".

Per un imprenditore come lei cosa significherebbe un no dalle urne il prossimo 28 febbraio?

«Per la nostra azienda come pure per molte altre del Cantone significherebbe mettere a rischio migliaia di posti di lavoro. La Galvolux esiste dal 1900, è un'azienda di famiglia e con grandi sacrifici ed enormi investimenti su più generazioni siamo riusciti a ritagliarci una nicchia di mercato al nord delle Alpi che ci permette di dare lavoro a 160 collaboratori. L'accesso sicuro a questo mercato tramite il tunnel del San Gottardo per noi è di vitale importanza. Senza questo accesso rischieremmo seriamente di chiudere e così dovrebbero fare centinaia di altre aziende grandi e piccole del Cantone. Mi rifiuto di credere che i ticinesi vogliano veramente assumersi questo rischio».

Gli oppositori al risanamento con la costruzione di una seconda canna dicono che AlpTransit è in arrivo. Concretamente per la sua azienda sarebbe possibile mantenere le commesse di lavoro oltre San Gottardo facendo uso della trasversale alpina?

«No, assolutamente impossibile. La trasversale alpina non è stata concepita per il trasporto interno, ossia dal Ticino verso la Svizzera e viceversa. La trasversale alpina, che anch'io ho votato e sostenuto in maniera convinta, serve solo per il trasporto delle merci di transito da frontiera a frontiera. Per quanto riguarda la nostra azienda purtroppo i nostri prodotti non possono essere trasportati con la ferrovia per due motivi. Il primo perché la ferrovia non è in grado in alcun modo di garantire i tempi di consegna richiesti dalla nostra clientela. Infatti noi abbiamo oltre 1.500 clienti sparsi in tutta la Svizzera e quindi necessitiamo una distribuzione capillare che solo la strada è in grado di assicurare nei tempi richiesti. In secondo luogo la ferrovia non è in grado di garantire che la nostra tipologia di prodotti arrivi integra presso la clientela. Questi due reali limiti della ferrovia sono stati confermati anche da Benedikt Weibel, ex direttore generale delle ferrovie svizzere, quando lo incontrai personalmente nel 2001 dopo il grave incidente nel tunnel del San Gottardo».

L'isolamento lo abbiamo già vissuto a seguito del tragico incidente del 2001 nel tunnel. Cosa ricorda di quei mesi?

«Dapprima fu uno shock pensando al dramma umano verificatosi. Il giorno dopo l'incidente decine e decine di clienti preoccupati ci chiamarono chiedendoci se saremmo stati in grado di poterli servire nei tempi richiesti. Ciò non fu subito possibile in quanto tutto il sistema di trasporti verso nord era collassato. Solo dopo alcuni giorni potemmo riprendere le forniture con un sistema molto fragile e rischioso passando sul San Bernardino e subendo notevoli costi supplementari. Mi ricordo che dopo questo fatto alcuni clienti ci abbandonarono per scegliere fornitori più affidabili a livello logistico. Purtroppo registrammo dei danni economici notevoli. Per fortuna la chiusura durò solo un paio di mesi. Ecco, mi auguro che una situazione così drammatica non si verifichi mai più, ma bisogna essere coscienti che il rischio è latente».

Sul Corriere del Ticino la versione integrale.