«Un referendum per la secessione»

Sarajevo è ancora una città divisa e rimane capitale di due Stati diversi. Non esiste un muro che separi le due entità ma basta guardare i cartelli stradali in cirillico per capire di essere arrivati a Istočno Sarajevo ( Sarajevo est), capitale della Repubblica Srpska, lo Stato che rappresenta i serbi della Bosnia.
Breve premessa storica
Gli accordi di pace di Dayton del 1995 che posero fine alla guerra hanno lasciato un sistema politico e rappresentativo molto complesso per la Bosnia Erzegovina, che vede convivere, fra tensioni, tre gruppi etnici: i croati-bosniaci cattolici, i bosniaci musulmani ed i serbo-bosniaci di fede ortodossa. La Bosnia Erzegovina è composta da due entità territoriali e da un distretto amministrato da entrambe le entità, un complesso mosaico che divide la Federazione di Bosnia ed Erzegovina, abitata da croati e bosniaci, dalla Repubblica Srpska, popolata da serbi. La «presidenza» della regione è formata da un organo collegiale di tre rappresentanti, uno per etnia, che assumono a rotazione la carica per un periodo di otto mesi.
Gli accordi di Dayton hanno però istituito anche la figura ONU dell’Alto rappresentante per la Bosnia ed Erzegovina. È la più alta autorità civile, con il potere di rimuovere i funzionari che ostacolino la pacifica convivenza.
Molti serbi sono fieri di far parte delle Repubblica Srpska, la quale occupa il 49% del territorio e ospita circa un terzo della popolazione totale. Il sobborgo orientale eletto come capitale è però una fredda città dormitorio, mentre la Sarajevo bosniaco-musulmana si sta aprendo ai turisti e spesso i serbi si spostano dall’altra parte per trovare lavoro. Alla guida della Repubblica Serba di Bosnia c’è Milorad Dodik dal 2022 (era già stato presidente dal 2010 al 2018).
Dall’arrivo di Christian Schmidt in qualità di nuovo Alto rappresentante ONUnel 2021 lo scontro si è fatto sempre più duro e Dodik alla fine del 2023 è arrivato a promulgare una legge che non riconosce le decisioni di questo funzionario. Lo scorso 26 febbraio Dodik è stato condannato a un anno di carcere e a sei anni di interdizione dall’attività politica proprio per disobbedienza alle decisioni di Schmidt. Questa condanna ha scatenato proteste nelle Repubblica Srpska ed il presidente serbo Aleksandar Vučić è subito volato a Banja Luka per sostenere il suo alleato.
Dodik non si è fatto intimorire e la sua mossa seguente è stata quella di firmare alcuni decreti legge che prevedono il divieto dell’attività di istituzioni statali del Governo centrale bosniaco nei territorio della Repubblica Serba di Bosnia. L’ultimo atto di questa vicenda è stato – settimana scorsa – il fallito tentativo della polizia di Stato bosniaca di arrestare il leader serbo con l’accusa di attentato all’ordine costituzionale: scontro fisico sfiorato con la polizia della Repubblica Srpska, che ha protetto Dodik bloccando ogni accesso al palazzo dove stava tenendo delle riunioni. Gli agenti bosniaci non hanno tentato di entrare con la forza, rinunciando all’arresto.
Il tribunale bosniaco ha emesso mandati di arresto anche per il premier Radovan Višković e per il capo del Parlamento dell’entità a maggioranza serba Nenad Stevandić, tutti per attentato alla Costituzione.
Parola al Primo ministro
Višković guida il Governo serbo di Bosnia dal 2018 ed è un membro del SNSD ( Alleanza dei socialdemocratici indipendenti), il partito di Milorad Dodik, e spiega al Corriere del Ticino cosa sta accadendo nella terra dei serbi di Bosnia. «La Sipa ( polizia bosniaca, ndr) ha infranto la legge entrando nel territorio serbo e cercando di arrestare il nostro presidente. I patrioti lo hanno protetto, ma questo tentativo di abbattere il nostro Stato non passerà inosservato. La Repubblica Srpska è sotto attacco da oltre 30 anni ma è forte ed ha amici potenti che la proteggono e la sostengono. Le provocazioni non funzioneranno e non cadremo nei tranelli dei bosniaci che sperano di annullare la nostra identità». Alla domanda se vi sia un qualche «mandante», Višković risponde:«C’è un responsabile di questa campagna di odio contro Dodik ed è l’Alto rappresentante per la Bosnia-Erzegovina Christian Schmidt. La Russia aveva posto il veto sulla sua nomina, ma la Germania non vuole mollare la presa sulla Bosnia e Schmidt è il suo rappresentante, che peraltro parla soltanto con croati e bosniaci, ignorando la componente serba dello Stato. Schmidt ha appena ordinato la sospensione di tutti i finanziamenti pubblici al SNSD. Aveva già cercato di colpirci economicamente negando la proprietà degli edifici statali alla Repubblica Srpska e sostenendo che gli immobili appartengano alla Federazione bosniaca. Tutto falso, ma questi atti non fanno altro che rafforzare la nostra coesione e non ci faremo intimorire. Come Dodik, anche io sono ricercato dalle autorità bosniache per aver difeso il nostro popolo, ma lo rifarei cento volte. Nelle settimane scorse il premier ungherese Viktor Orbán ha inviato 300 agenti di polizia, appartenenti alle Unità anti-terrorismo (TEK), per esercitazioni tattiche con le forze speciali della Repubblica Sprska, a dimostrazione di come Budapest sia al nostro fianco. Ma sono soprattutto Vladimir Putin e Vučić a sostenere la nostra lotta per l’esistenza ed il 9 maggio Dodik sarà a Mosca per festeggiare gli 80 anni della vittoria dell’Unione sovietica contro il nazismo». E sul percorso di adesione della Bosnia-Erzegovina all’Unione europea, Višković afferma: «Non siamo un ostacolo come ci descrivono, ma dobbiamo comprendere quale sia il bene dei serbi di Bosnia. Il fatto che l’UE parli soltanto con Sarajevo ci fa temere per il nostro futuro. Non escludiamo che indiremo un referendum per la secessione dalla Federazione di Bosnia-Erzegovina per chiedere di unirci a Belgrado, con i nostro fratelli serbi».