Un secolo fa quando a far paura era la spagnola

La storia dell’umanità è segnata dall’insorgere di drammatiche epidemie. Oggi viviamo un’emergenza che mai avremmo immaginato di dover vivere con le tragedie, il dolore, le paure e anche le restrizioni che stravolgono la quotidianità. Il nostro Paese è già passato attraverso dure prove come questa. Accadde un secolo fa, lo sappiamo. La Grande guerra era sul punto di concludersi dopo quattro anni di combattimenti e milioni di vittime. La dissoluzione degli imperi (tedesco, austro-ungarico, ottomano, russo) era dietro l’angolo a beneficio dei nuovi Stati europei. Alla disgrazia bellica si aggiunse quella sanitaria, per di più all’inizio di una fase socialmente travagliatissima dopo la Rivoluzione d’ottobre e l’affermarsi del totalitarismo marxista-leninista. Il Corriere del Ticino fu testimone di quei fatti. Fondato da Agostino Soldati nel dicembre 1891, quando la «grippe spagnola» arrivò anche in Svizzera era nel XXVII anno di vita. Quattro pagine quotidiane fitte fitte, in formato lenzuolo, tre di testo e una di pubblicità. L’influenza cosiddetta spagnola fu particolarmente virulenta: fece più morti dell’intero conflitto bellico nel quale si innestò, colpendo in primo luogo i soldati. Le stime indicano fra i 20 e i 50 milioni di vittime, anche se lo studio più recente parla di 17,4 milioni di morti su una popolazione mondiale compresa fra 1,8 e 2 miliardi di persone. I contagiati sono stimati in mezzo miliardo. Fu la prima pandemia del XX secolo, veicolata da un virus H1N1, e la più spaventosa subita dall’umanità, con un tasso di letalità e un tasso di mortalità molto elevati. A differenza della COVID-19 colpì soprattutto i giovani adulti. Il Dizionario storico della Svizzera (edito da Dadò) ci dice che la spagnola «presumibilmente di origine asiatica, investì la Svizzera in due ondate e contagiò circa due milioni di persone. Tra il luglio del 1918 e il giugno del 1919 causò 24.449 vittime (0,62% della popolazione); fu la più grave catastrofe demografica della Svizzera nel XX secolo. In tutti i Cantoni (ad eccezione del Ticino) la popolazione maschile registrò un tasso di mortalità superiore alla media. Il 60% delle vittime aveva tra i 20 i 40 anni, ciò che costituisce un fenomeno tuttora inspiegato». La prima ondata «tra i soldati in servizio fece fino a 35 morti al giorno». Eppure all’inizio nessuno ebbe consapevolezza della portata enorme di quella pandemia influenzale. Nella completa diversità delle situazioni, le dinamiche attivatesi un secolo fa non si discostano molto da quelle attuali. Sfogliare le pagine ingiallite del nostro giornale, giorno dopo giorno, ci fa ripercorrere un cammino incredibilmente non dissimile da quello che abbiamo iniziato in gennaio. Ricostruiamo allora come il piccolo Ticino vide arrivare la spagnola e come affrontò quella tragedia attraverso le lenti del nostro Corriere. Anche la Svizzera doveva fare fronte alle ristrettezze e alle privazioni dettate dal conflitto e rimediare alle difficoltà di approvvigionamento, per di più in un clima politico e sociale rovente, con lo sciopero generale attuato in diverse città. Il Corriere del Ticino di sabato 22 giugno 1918 riferisce del decreto approvato dal Consiglio di Stato due giorni prima: «Hanno diritto ad una razione privilegiata di latte, fino al massimo di un litro al giorno, esclusivamente i fanciulli al di sotto di 2 anni e gli ammalati, previa presentazione di attestato medico individuale». E poi una discriminazione che ne ricorda un’altra: «Non hanno diritto alla razione speciale gli adulti al di sopra dei 60 anni». La gravità della situazione alimentare in Svizzera è oggetto di diversi estesi articoli pubblicati in quei giorni. La «questione del latte» venne discussa in una seduta del Consiglio comunale di Lugano il 26 giugno. Le «Cronache della guerra», ospitate in prima pagina, riferivano dell’andamento del conflitto. Le prime notiziole sull’epidemia appaiono timidamente giovedì 4 luglio. Un titolino (La malattia spagnuola in Ungheria) e quattro righe in prima pagina: «Il “Deli Hirlap” (quotidiano di Budapest, n.d.r.) annuncia che si sono prodotti certi casi della malattia detta malattia spagnuola ». E poi un altro titolino (Il “morbo spagnuolo” in Svizzera) a pagina 3 per una notizia da Liestal: «Ai confini del cantone di Soletta è scoppiato il cosidetto “Morbo spagnuolo”. Sono segnalati 140 casi, il cui corso però non è pericoloso». L’ignaro e anonimo cronista non poteva immaginare cosa sarebbe diventato quel morbo. Il giorno successivo l’Ufficio stampa dello Stato maggiore a Berna dirama un primo comunicato. Vi trova spazio il breve rapporto redatto dal medico dell’esercito, il dottor Koch di allora in divisa militare. Il rapporto fornisce i primi ragguagli sulla misteriosa influenza. Il nostro giornale ne dà conto in terza pagina nelle «Notizie dell’ultima ora». Il testo contiene molti refusi (qui corretti): si vede che redattore e tipografo han dovuto battere l’articolo in fretta e furia. «La malattia manifestatasi in Spagna poche settimane or sono e denominata Grippe spagnola si manifestò pure in parecchie città francesi e tedesche specialmente nelle vicinanze delle frontiere. Essa penetrò anche da noi. Dal principio di giugno si manifestarono numerosi casi di detta malattia. Diversi corpi di truppe stazionanti nelle regioni di confine rimasero colpiti dalla malattia. Alcune unità vennero colpite nella proporzione perfino del 50 per cento dei loro effettivi ». Segue una prima carta d’identità della spagnola, fondata sui dati approssimativi e lacunosi allora disponibili. «Salvo casi rari – si legge nel giornale - la malattia si manifesta in forma benigna. Dura in media da 2 a 4 giorni. Sintomi caratteristici sono: la febbre che aumenta e discende rapidamente, mali di testa, dolori ai muscoli ed alle articolazioni, catarro ai vasi respiratori superiori. La malattia è molto contagiosa ma si guarisce rapidamente ». E poi l’incertezza dei medici e le valutazioni divergenti: «Fra i medici che ebbero occasione di curarla la considerano come un’influenza ed altri rinunciarono a denominarla. Finora i casi di morte nelle truppe si limitano a 3 ciò che rappresenta approssimativamente il ½ per mille. Nelle ultime settimane di giugno pervennero notizie di casi manifestatisi nella popolazione civile di Zurigo, Château- d’Oex, vallata del Reno e Berna. L’epidemia colpisce specialmente i fanciulli. La malattia si sviluppa maggiormente nella popolazione civile». Questo dunque il modo in cui il Ticino di un secolo fa prese conoscenza dell’ingresso dell’epidemia nel Paese.
E spuntarono i rimedi più o meno efficaci
Il primo annuncio
Epidemia che arriva, rimedio che trovi. O per meglio dire: che proponi. Il diffondersi della «grippe spagnuola», com’era chiamata allora, non fece eccezione. I medici e le autorità si premurarono di chiarire che «non esiste una cura specifica della malattia». Ma qualche rimedio il mercato lo propose subito. Il primo annuncio pubblicitario sul Corriere del Ticino apparve già nell’edizione di venerdì 19 luglio (è riprodotto qui sopra): «Sapone all’acido Fenico o sapone al Lysol». «60 anni di successo». In vendita in tutte le farmacie e drogherie. Nell’edizione di sabato prossimo vedremo altri ritrovati allora pubblicizzati. Da divertirsi.
E da subito l’ipotesi sull’origine: la Cina
Giovedì 11 luglio 1918 il primo esteso articolo scientifico spiega ai lettori cos’è e da dove viene
La società svizzera si preparava a vivere lo sciopero nazionale del novembre 1918, ma le tensioni sociali erano già emerse nei mesi precedenti. A Lugano il 10 luglio si era concluso lo «sciopero generale». Non c’era la radio (la BBC inizierà a trasmettere da Londra solo nel 1922), né tantomeno la televisione. Le notizie e le voci sulla nuova malattia correvano di bocca in bocca incontrollate. Ecco allora che giovedì 11 luglio 1918 il Corriere del Ticino pubblicava di spalla in prima pagina il primo esteso contributo informativo qualificato sull’epidemia spagnola. Ne era autore il prof. Umberto Carpi. La pagina è riprodotta nell’immagine grande sopra. Il testo è ampiamente citato nella colonna a sinistra. «L’attuale epidemia - si legge - si sarebbe sviluppata in forma diffusissima fra le truppe combattenti sul fronte occidentale alle quali è stata probabilmente portata da truppe provenienti dal fronte orientale. Abbiamo ora notizia di una grave estensione dell’epidemia nella Cina e nella Russia asiatica, ciò che ci fa supporre che qui l’infezione abbia avuto origine. Non esiste una cura specifica della malattia».
«Il numero dei casi è considerevolmente aumentato»
A Berna «le scuole sono state chiuse e la commissione sanitaria si è riunita d’urgenza - Il bollettino dell’esercito e la curva esponenziale
Dopo la pubblicazione del lungo articolo del prof. Umberto Carpi la «grippe spagnola» ha fatto notizia quasi quotidianamente sulle pagine del Corriere del Ticino. L’aumento del numero dei contagi e purtroppo dei decessi ha suscitato via via preoccupazione, allarme, incertezza. Venerdì 12 luglio 1918, in prima pagina si dà notizia dell’inquietante diffusione del virus nel Giura, a Ginevra, Berna, nell’Alto Vallese, anche tra i civili: «Il morbo spagnuolo ha fatto nuove vittime fra i nostri militi». Nella capitale «l’epidemia è intensa. In certi quartieri l’80 per cento dei bambini sono colpiti. Le scuole sono state chiuse. La commissione sanitaria si è riunita d’urgenza». Il comunicato emesso la mattina stessa dallo Stato maggiore dell’esercito (e ripreso dal Corriere in terza pagina: il giornale veniva allora stampato e distribuito nel pomeriggio) conferma l’emergenza: «Il numero dei casi è considerevolmente aumentato. Si deve registrare tutta una serie di casi di morte sopravvenuti in seguito a congestione polmonare». E c’è il primo bollettino sul numero degli ammalati nelle truppe. Vi ritroviamno la curva esponenziale: «1 giugno 2.476 casi; 15 giugno 2.825 casi; 1 luglio 3.986 casi; 4 luglio 4.635 casi; 9 luglio 26.800 casi (...). I casi di morte causati dalla grippe e dalle sue conseguenze sono stati nel mese di giugno di uno e dal 1. al 19 luglio di 23». Commenta lo Stato maggiore dell’esercito: «La gravità della malattia ed il numero dei decessi varia da una località all’altra senza che si possano spiegare le cause (...). Dai rapporti ricevuti sinora risulta che la convalescenza è critica e le ricadute conducono rapidamente alla pneumonite. I rimedi più efficaci sono un rigoroso controllo medico e nei casi gravi il trasporto immediato all’ospedale nonché una minuziosa osservazione degli ammalati anche durante la convalescenza». Sabato prossimo vedremo il seguito.