Un vescovo «non solo ticinese»
Tre mesi fa, il 10 ottobre, la diocesi di Lugano viveva uno dei passaggi più difficili e traumatici della sua breve storia: le dimissioni del vescovo, monsignor Valerio Lazzeri, e la conseguente nomina di un amministratore apostolico, individuato dalla Santa Sede nel vescovo ausiliare di Ginevra, monsignor Alain de Raemy.
Il compito affidato dal Papa a de Raemy non è stato ovviamente esplicitato in dettaglio, ma è facile immaginare che il prelato romando sia stato chiamato a ridare spinta al lavoro pastorale, mettere ordine nei conti, riallacciare in maniera più stretta i nodi che legano la comunità ticinese alla sua Chiesa.
Una missione complicata, per la quale serve ovviamente un po’ di tempo. E molta pazienza. Dote, quest’ultima, di solito associata alla missione di un vescovo.
La diocesi di Lugano era, e sembra essere tuttora, a un bivio. Sa di non poter «sfuggire alla responsabilità di essere concretamente al fianco del popolo» e di dovere farsi carico di una «una testimonianza che non può mai essere frutto di freddi ragionamenti studiati a tavolino», come chiede papa Francesco. Ma, probabilmente, non è ancora - non del tutto, almeno - quella «Chiesa in uscita» verso l’esterno, verso il mondo, cui il pontefice tende insistentemente con le sue raccomandazioni.
La novità
E però, qualcosa è cambiato. Proprio con l’arrivo di monsignor de Raemy, il quale ha mostrato di saper interpretare al meglio le indicazioni di Francesco sul bisogno di «abbandonare» definitivamente il proprio piccolo recinto per buttarsi con coraggio in campo aperto.
La novità di un vescovo francofono capace di aprirsi, in modo inedito e alquanto efficace, alla società e alla comunità cattolica della Svizzera italiana, ha così accelerato una discussione in atto da tempo, e relativa alla opportunità di modificare la convenzione del 1968 (stipulata tra la Confederazione e il Vaticano) che obbliga il Papa a nominare per la diocesi di Lugano un vescovo «scelto tra i sacerdoti cittadini ticinesi».
La petizione
In queste ore parte una raccolta di firme in calce a una richiesta in tal senso. L’iniziativa non ha un carattere istituzionale, i proponenti agiscono cioè in nome proprio e non in rappresentanza di enti, associazioni o partiti. Una specificazione, quest’ultima, assolutamente necessaria, visti i nomi di chi sostiene la petizione: i deputati cantonali Maddalena Ermotti Lepori (Il Centro/PPD) e Giancarlo Seitz (Lega) e l’ex presidente dell’Azione Cattolica ticinese Luigi Maffezzoli.
Le prescrizioni dell’accordo siglato oltre 50 anni fa, dice Maffezzoli al Corriere del Ticino, «sono figlie di un periodo storico molto particolare. All’epoca, per far accettare l’autonomia della diocesi di Lugano, si concordò che il vescovo dovesse necessariamente essere cittadino ticinese, qualcosa però che oggi non ha senso: il clero non è più quello di una volta, la realtà ecclesiale del cantone è perfettamente integrata con quella svizzera. Noi siamo convinti che il Papa dovrebbe poter scegliere chi vuole - agginge Luigi Maffezzoli - fare del Ticino persino una terra di missione purché ci sia una Chiesa che torni a essere viva».
Pochi, forse, lo sanno, ma l’erezione del Ticino in diocesi, sebbene «unita canonicamente e a parità di diritti alla diocesi di Basilea», risale al 7 settembre 1888, ovvero alla bolla Ad universam con cui papa Leone XIII fondava appunto la «diocesi di Lugano» (Bulla qua fundatur Dioecesis Luganensis). Oltre 80 anni dopo, l’8 marzo 1971, un’altra bolla - stavolta promulgata da papa Paolo VI (la Paroecialis et collegialis) - poneva fine a «qualsivoglia vincolo di unione» tra le sedi episcopali di Basilea e di Lugano e stabiliva che il titolo di vescovo di Lugano non sarebbe più stato conservato dal vescovo di Basilea e dai suoi successori.
Adesso, perlomeno nelle intenzioni di alcuni, l’obiettivo è inserire ancora di più la Chiesa ticinese nell’alveo di quella universale guidata da Francesco. E di sganciarla, per questo, da ogni vincolo. Certo, la proposta di dare mano libera al papa nella nomina del vescovo titolare non prescinde dal lavoro compiuto, negli ultimi tre mesi, da de Raemy. Non è un mistero che l’approccio al Ticino dell’amministratore apostolico sia stato particolarmente apprezzato, sia dal clero diocesano sia dalla più ampia comunità che partecipa regolarmente alle funzioni. De Reamy appare più libero del predecessore da vincoli curiali, si muove molto, ha già visitato numerose parrocchie e ha conquistato, con il suo modo di fare e con una personalità decisa, la fiducia della gente.
«Da molto tempo si discute sulla limitazione alla nomina del vescovo di Lugano e sulla interpretazione di questa norma - commenta al CdT don Luigi Pessina, punto di riferimento di Comunione e Liberazione in Ticino - Ben venga un chiarimento e una rivalutazione della stessa. Resta comunque nelle mani del Santo Padre di scegliere il nostro futuro vescovo. Nell’attesa, siamo lieti della presenza tra noi di monsignor de Raemy e di collaborare con lui».