Una Pasqua di bombe e sangue: a Gaza la guerra non si ferma
Tempo di festività e tempo di guerra. Nel Medio Oriente, dove sono nate le religioni del Libro, campane, muezzin e shofar si alternano ai cupi suoni della guerra. Che si allarga sempre di più.
Media siriani accusano l’esercito israeliano di aver condotto nella notte tra giovedì e venerdì un attacco aereo nei pressi dell’aeroporto della città di Aleppo, nel nord del Paese, nel quale sono rimaste uccise almeno 38 persone. Cinque sono alti graduati di Hezbollah in Siria. Più a sud, a Damasco, un colonnello dell’esercito siriano, che aveva stretti legami con Hezbollah, è stato ucciso da un ordigno esplosivo fatto detonare nella sua auto alla periferia della città. Era un ingegnere esperto in cariche elettriche ed esplosivi ed era responsabile del coordinamento con Hezbollah e le milizie filo-iraniane. L’esercito israeliano ha poi fatto sapere di aver eliminato Ali Naim, vice comandante dell’unità missilistica di Hezbollah, in un attacco compiuto con droni nel sud del Libano, nella città di Bazouriye, vicino a Tiro, mentre era in auto.
«Israele sta passando dalla difesa al perseguimento di Hezbollah, arriveremo ovunque operi l’organizzazione, a Beirut, Damasco e in luoghi più distanti», ha detto il ministro della difesa Gallant, visitando il Comando Nord dell’esercito a Safed, facendo temere per una escalation nell’area settentrionale del conflitto.
Nascosti fra i civili
A Gaza la guerra non si ferma. Dopotutto era cominciata alla fine di festività ebraiche e la coincidenza del Ramadan e della Pasqua cattolica non fa cessare le armi. I miliziani di Hamas oppongono una strenua resistenza, insistendo sempre di più a nascondersi in strutture civili. L’esercito da giorni tiene sotto assedio l’ospedale Al Shifa, il più grande di Gaza, dal quale partono continuamente colpi contro i militari e nel quale hanno trovato comandanti, armi e soldi. I militari hanno anche distrutto diverse basi di lancio razzi nei pressi di altre strutture civili e umanitarie. Combattimenti ad al-Qarara nel sud di Gaza e nel quartiere al-Amal di Khan Younis, dove l’esercito ha ucciso miliziani di Hamas, sequestrato armi e distrutto siti. Scontri anche nei pressi dell’ospedale Nasser a Khan Yunis. Le Brigate Qassam, il braccio armato di Hamas, hanno fatto sapere di aver colpito nei pressi del complesso diversi soldati israeliani. Si registrano un morto e sedici feriti tra i militari.
Gli aiuti
Resta poi sempre molto caldo, sul campo, il tema degli aiuti. La zona nord della Striscia, in particolare, è sull’orlo della tragedia. «La carestia è un rischio molto probabilmente presente almeno in alcune aree del nord di Gaza», comunicano dal Dipartimento di Stato Americano. L’esercito però contesta che il problema non sarebbe l’ingresso di aiuti, come pure ha richiesto la nuova ordinanza della Corte Internazionale di Giustizia giovedì, quanto piuttosto la loro distribuzione. Dall’inizio della guerra, infatti, solo il 77% dei camion ispezionati e fatti entrare da Israele sono stati consegnati dalle Nazioni Unite. Nove i camion gestiti dal Programma Alimentare Mondiale dell’ONU che hanno raggiunto il nord della Striscia di Gaza nelle ultime ore, portando a 47 quelli arrivati a settentrione di Gaza attraverso una nuova strada terrestre aperta dall’inizio di marzo. Il Ministero degli Esteri israeliano ha confermato l’intenzione di continuare a cercare nuovi modi per facilitare l’ingresso di maggiori aiuti a Gaza, inclusi cibo, acqua, carburante e rifugi per i civili.
A Gaza la Pasqua è di sofferenza. «In questi mesi la nostra parrocchia è diventata anche la nostra casa, è la nostra casa e la nostra chiesa», spiega dalla Striscia Suor Nabila, la preside della scuola cristiana. Il centinaio di cristiani e gli ortodossi da mesi vivono nella casa di Dio. «La nostra parrocchia è tutto per noi. Tuttavia ci manca tutto, ci manca il cibo, ci mancano gli aiuti. Da noi arrivano pochi aiuti, il modo di distribuirli non è giusto perché non tutti riescono a prenderli. Stiamo vivendo una Pasqua diversa dagli altri anni, dolorosa. Sentiamo la sofferenza e il dolore di tutto il Paese, tutti siamo infatti nella stessa barca, come ha detto Papa Francesco. Abbiamo però la speranza e la fede nel Signore, abbiamo la speranza che verrà il tempo in cui finirà questa maledetta guerra e si ristabilirà la pace. Sì – conclude la religiosa – abbiamo la speranza che verranno giorni di pace».
Duemila anni di tensioni
A Gerusalemme, la processione del Venerdì Santo si è intrecciata con i fedeli musulmani che andavano sulla Spianata per la preghiera del venerdì di Ramadan. La polizia israeliana ha mantenuto l’ordine, aprendo e chiudendo varchi all’occorrenza. Nessun problema, qualche mugugno. Un’azione che si ripete da duemila anni: dinanzi le forze dell’ordine, dietro il corteo cristiano con la croce, intorno i non fedeli che si lamentano e qualcuno bestemmia per non essere lasciato passare. Duemila anni nei quali le tensioni non si sono placate, ma sono aumentate.
Mancano i pellegrini, come i fedeli della Cisgiordania, sia cristiani che musulmani, non fatti arrivare per ragioni di sicurezza, ma la partecipazione è notevole. Nonostante Hamas abbia chiamato alle armi, non ci sono mai stati scontri sulla Spianata. Miracolo della fede.
I francescani hanno continuato a portare il loro messaggio di pace e speranza, che fanno da ottocento anni, anche in questo momento, con le cerimonie al Santo Sepolcro, al Getsemani, al Cenacolo. Il Cardinale Pizzaballa, che stamattina darà, primo al mondo in ordine di tempo, l’annuncio di Pasqua, ha ricordato il momento difficile e ha rinnovato l’invito a pregare di più, affinché finiscano le sofferenze di tutti.
La fine delle sofferenze passano però da un accordo, per raggiungere il quale, si contratta ancora. Israele rimanderà Mossad e Shin Bet sia a Doha che al Cairo, nonostante Hamas abbia respinto le proposte concordate con i mediatori e insiste sulle sue condizioni definite «ridicole» dal paese ebraico, con gli Stati Uniti che restano molto preoccupati per l’intenzione di Netanyahu di attaccare Rafah e chiedono un vero piano post Gaza.