Il personaggio

Una zia da premio Nobel

Rita Levi Montalcini raccontata dalla nipote Piera, che sarà ospite a Grono di una serata dedicata alla celebre neurologa
Prisca Dindo
07.04.2024 16:30

«Rita Levi-Montalcini? Una donna che sapeva cosa voleva. Lei non era concentrata su se stessa, anzi: era molto attenta al mondo che la circondava». Parola di Piera Levi-Montalcini, la nipote dell’unica donna italiana che si è aggiudicata il premio Nobel in medicina. Dopodomani martedì 9 aprile alle ore 20, Piera sarà l’ospite d’eccezione di una serata aperta al pubblico organizzata da Soroptimist International Club Moesano in collaborazione con la biblioteca comunale di Grono.

Nobel non si nasce

Un’occasione per conoscere «Un sogno al microscopio», il libro che Piera ha dedicato alla zia nata a Torino il 22 aprile 1909. Un carteggio di famiglia dove si scopre che ai tempi della scuola media sulla pagella della giovane Rita comparve addirittura un’insufficienza in scienze. Malgrado ciò nel 1986 si portò a casa il premio Nobel per la scoperta dell’NGF, il fattore di crescita della fibra nervosa. Una pietra miliare per la neuroscienza.

«È proprio di questo che parlerò martedì a Grono - spiega Piera - vorrei far capire soprattutto alle nuove generazioni che è inutile fissarsi troppi obiettivi per il futuro; ognuno ha i propri ritmi, anche mia zia non sapeva bene cosa fare da grande, a volte pensava addirittura di non essere brava in niente; ma quando, terminato il liceo, individuò la sua strada, più nessuno riuscì a fermarla; poi c’è un altro fattore importante: la volontà di raggiungere le mete; se uno è bravo ma non si applica non arriverà da nessuna parte; mia zia lavorò duramente per la sua scoperta».

La folgorazione

Fu un evento tragico a indicare la via alla giovane Rita: la morte di Giovanna, la governante della famiglia alla quale era particolarmente affezionata. «Io voglio studiare medicina a qualsiasi costo», annunciò risoluta alla mamma. «Allora vedi di convincere tuo padre» le rispose lei. All’inizio del Novecento le donne dovevano pensare al matrimonio, non certo alla laurea e suo padre temeva che la figlia non trovasse sbocchi come medico proprio perché le donne in medicina a quel tempo non c’erano. Invece Rita strinse i denti e dimostrò a suo papà che il lavoro duro e i pregiudizi non la spaventavano. Terminò gli studi da privatista con un 110 e lode e con una consapevolezza: lei non sarebbe mai diventata né moglie né mamma.

I «parigini»

Nessuno sa se esistono i geni dell’intelligenza e della creatività, ma se ci fossero, l’intera famiglia Levi-Montalcini ne vanta in abbondanza. Adele, la mamma di Rita, era un’abile pittrice, il padre Adamo, ingegnere. E poi i quattro figli, i «parigini», come li chiama Piera nel suo libro, anagrammando le iniziali dei loro nomi. Paola era portata per il disegno e la pittura come la mamma, Nina per la scrittura, Gino per l’architettura e la scultura e Rita aveva una sete infinita di conoscenza.

«Pure la loro cugina Eugenia diventò una scienziata importante in Argentina» appunta Piera, che di mestiere è ingegnere elettronico nel settore dei controlli numerici.

Chiacchierando con lei, ci si accorge che per i famigliari era più importante il valore della scoperta della zia che il prestigio del premio Nobel. «Per noi era chiaro fino dal 1959 che l’avrebbero premiata con il Nobel, mi ricordo da ragazzina quando mio padre rientrò in casa dicendo « Rita prenderà il Nobel!» annunciandoci l’incredibile scoperta della zia. Per noi era solo una questione di tempo, prima o poi sarebbe successo».

La zia d’America

Il rapporto stretto tra Rita e Piera nacque in là negli anni. «Quando ero bambina lei per me era la zia d’America» ricorda la nipote che aveva un anno quando nel 1948 la futura premio Nobel si trasferì negli Usa per continuare la sua attività di ricercatrice.

«Per trent’anni ognuno di noi fece la propria vita, io di qua e lei di là dall’Atlantico». La distanza non sminuì il legame d’affetto.Tanto che nel 1986 è Piera ad accompagnare la zia a Stoccolma per ritirare il premio Nobel. Con lei c’erano le figlie Claudia e Paola. «Un’esperienza indimenticabile per tutti noi» ricorda la nipote.

Poi nel 1992 il destino ordì una trama diversa. «Da una parte io avevo appena dovuto chiudere la mia azienda, dall’altra zia Rita aveva bisogno di qualcuno per la sua fondazione. Iniziò così un sodalizio che cambiò la mia vita». Oggi Piera, che accompagnò la zia in innumerevoli viaggi, è considerata l’ erede spirituale del premio Nobel. «Ho avuto la fortuna di entrare in quel mondo che ai «comuni mortali» sembra così lontano», racconta Piera. Un mondo che dopodomani condividerà con il pubblico di Grono.

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