La storia

Undici settembre e complotti: «La paura è un carburante formidabile»

A vent’anni dai tragici attentati che trafissero il cuore dell’America le teorie cospirazioniste continuano a soffiare forte, «merito» anche di chi nega la pandemia
© AP/David Karp
Marcello Pelizzari
10.09.2021 17:00

L’America ha il vento in poppa. Parliamo, ahinoi, dei complottisti. Tornati alla ribalta con l’avvicinarsi dell’anniversario degli attentati alle Torri Gemelle. E, per certi versi, rinvigoriti da mesi e mesi – gli ultimi – passati a raccontare sui social network e nelle piazze che la COVID-19 non esiste. Strano. Assurdo. Ma, incredibilmente, vero.

Vent’anni fa gli Stati Uniti, ma non solo, vissero una delle giornate più difficili della storia. Diciamo pure la più difficile. Eppure, ancora oggi, resiste una narrazione – mettiamola così – alternativa. O se preferite irrispettosa. Il World Trade Center trafitto dagli aerei? Il crollo, terribile, delle due Torri? Il Pentagono sventrato? La carcassa di un Boeing 757 in un campo della Pennsylvania? Per alcuni (e non sono pochi) sarebbero una macchinazione del governo americano. Altro che Al Qaida. «Mi chiedo spesso cosa ci sia di vero nelle storie che ci raccontano» spiega una complottista convinta ai microfoni di AFP. Aveva appena quattordici anni quel giorno e, perlomeno agli inizi, si era affidata alle ricostruzioni ufficiali degli eventi. Poi, la svolta in negativo: il movimento QAnon, le teorie alternative, l’irrealtà che diventa certezza. Al punto che gli attentati dell’11 settembre, ai suoi occhi, sarebbero stati orchestrati per giustificare l’intervento statunitense in Iraq del 2003.

L’America è un Paese fortemente complottista

Un tempo erano i libri
In America esiste un movimento per la verità sull’11 settembre. Non sembrerebbe una cattiva idea, di per sé. Invece, in rete e nello specifico sui social network vengono esposte «prove» che dimostrerebbero le teorie più disparate. Ad esempio: il World Trade Center è crollato in seguito a un’esplosione controllata e non perché due aerei di linea hanno centrato le Torri. E ancora: «Il cherosene non può fondere l’acciaio» o, peggio, «servono degli esplosivi per far cadere così verticalmente le Torri». Tesi bizzarre, va da sé, prontamente confutate tanto dalle inchieste ufficiali quanto dalla stampa e, ancora, dai cacciatori di bufale. In Ticino, per dire, Paolo Attivissimo ha lavorato a fondo sulle varie teorie complottiste. Dimostrando, puntualmente, la loro infondatezza.

La scienza, in questi casi, nel respingere simili ragionamenti ricorre spesso al principio conosciuto come il rasoio di Hanlon: «Mai attribuire a malafede quel che si può adeguatamente spiegare con la stupidità». Le teorie alternative, tuttavia, resistono. E sembrano diffondersi come un virus. Non a caso, spopolano fra chi è restio a non farsi vaccinare (eufemismo). Nei vari appuntamenti pubblici organizzati negli Stati Uniti dalle varie associazioni complottiste, infatti, si discutono tanto le ipotesi più strampalate attorno all’11 settembre quanto le origini del coronavirus e dei vaccini. Esistono perfino dei documentari, come Plandemic, già bollati dalle verifiche ufficiali ma appunto parecchio popolari fra chi nega l’esistenza della pandemia.

Il ruolo, esercitato da internet, è evidente. Di più, le teorie complottiste legate all’11 settembre sono state le prime nate ed esplose nell’era della connessione. E, di riflesso, si sono propagate a una velocità decisamente superiore rispetto a quelle, altrettanto audaci per non dire peggio, sull’assassinio di John Fitzgerald Kennedy o sul fatto che Neil Armstrong non sia mai stato sulla Luna. Intercettato da AFP, il giornalista e scrittore Garrett Graff ha tagliato corto: «L’America è un Paese fortemente complottista». La rete, banalmente, ha consentito a queste tesi di raggiungere un numero maggiore di persone e, quindi, di creare con più facilità consenso. I sociologi potrebbero definirlo effetto carrozzone o effetto bandwagon: le persone, spesso, fanno o credono in alcune cose solo perché la maggioranza della gente crede o fa quelle stesse cose. Voilà.

©AP/Richard Drew
©AP/Richard Drew

Prima che internet si imponesse nell’uso quotidiano, i complottisti facevano affidamento su libri, libelli e – in taluni casi – trasmissioni televisive. Nel 2021, gli utenti desiderosi di «informarsi» e condividere le teorie complottiste sfruttano invece piattaforme come Reddit o, molto più prosaicamente e nonostante l’impegno di Facebook e Twitter nel combattere le fake news – i social classici. Provate a cercare contenuti legati all’11 settembre su YouTube e, se possibile, a districarvi fra i milioni e milioni di risultati.

Pazienza, dirà qualcuno. E invece è un bel problema, soprattutto se pensiamo alle generazioni più giovani. I ventenni di oggi non hanno nessuna memoria diretta dell’11 settembre. Per informarsi, per costruirsi un’opinione, per capire com’era il mondo di allora e com’è quello di oggi, beh, spesso usano proprio i social network. Da tempo le piattaforme citate sensibilizzano sul coronavirus e cercano di contrastare la diffusione di mezze verità o notizie false. Lo stesso era stato fatto e continua a essere fatto per i contenuti legati agli attentati del 2001.

«La rete è un semplice strumento che contribuisce a diffondere idee e ad aggregare il consenso attorno a certi temi, positivi o meno» ci spiegano dalla redazione di Facta.news, un portale di debunking nato nel 2020 e specializzato appunto nel contrastare la disinformazione. «Questo vale in generale, ma ancor di più quando parliamo di teorie del complotto, perché si tratta nella maggior parte dei casi di dinamiche che nascono nella vita di tutti i giorni e che su internet trovano sublimazione. Oggi gli esperti concordano nel far coincidere con l’11 settembre 2001 l’esordio del complottismo moderno, con le tattiche che abbiamo imparato a conoscere e ad affrontare. In questo senso internet è stato uno strumento centrale nel dare visibilità alle teorie più disparate, ma l’origine è probabilmente da ricercarsi nella sfiducia nelle istituzioni e in questo senso internet e i social non sono l’origine».

Strumenti convincenti
La rete, ad ogni modo, avrebbe conferito una certa credibilità ai complottisti. O, meglio, avrebbe fornito tutti gli strumenti necessari per essere e risultare convincenti. E i complottisti, ancora, sembrano quasi legittimati a unire i puntini più disparati. C’è chi, in America, sostiene la tesi secondo cui vi sia un legame – stretto – fra l’antrace e la COVID-19. E che, attenzione, negli Stati Uniti vi sarebbe un grave problema con l’utilizzo di armi batteriologiche. A fare da comune denominatore, beh, una richiesta: il governo statunitense dovrebbe essere più democratico e trasparente. Urca. A cominciare, e qui il cerchio incredibilmente si chiude, dagli attentati dell’11 settembre e dalla paternità di quegli attacchi. La decisione di Joe Biden, l’attuale presidente, di declassificare alcuni documenti relativi all’inchiesta dovrebbe rifilare una mazzata importante ai complottisti. O rilanciare, un paradosso ma nemmeno troppo, le loro teorie. Già, l’America – anzi una parte di America – ha il vento in poppa. E nemmeno la verità sembra poter frenare una corsa così folle.

Fact-checking e debunking sono processi lenti, pazienti e profondamente anti-economici

Due livelli di velocità
A stupire, in particolare, è la velocità con cui una bufala si propaga. La disinformazione corre come un treno supersonico. Mentre il controllo, puntiglioso, dei fatti procede più lentamente e fatica a contrastare la mole di fake news. Ancora Facta.news: «Fact-checking e debunking sono processi lenti, pazienti e profondamente anti-economici: verificare un video di dieci minuti può richiedere ore di lavoro. Oltre a questo, bisogna tenere a mente che sono lavori che si svolgono soprattutto a posteriori: dopo che una notizia circola, parte la sua verifica. Bufale e notizie false fanno spesso leva sui sentimenti, sulle polemiche e sfruttano la lettura veloce e distratta a cui siamo purtroppo abituati. La verifica delle notizie parla invece alla nostra parte razionale, eliminando ogni possibile interferenza emotiva; puntare sull’emotività, come fa la disinformazione, assicura un successo sull’immediato, ma ciò che conta alla fine sono i fatti».

Il ruolo dell’informazione, ieri come oggi, è minacciato. Spesso, i media contribuiscono (il più delle volte, diciamo, inconsciamente) a veicolare notizie non vere. «L’informazione – prosegue Facta.news – è il corpo intermedio che negli ultimi vent’anni ha subito la crisi di fiducia più grave ed è certamente tra le cause che hanno innescato la corsa alle teorie del complotto (che non a caso nella maggior parte dei casi si presentano come informazione alternativa). Il resto lo ha fatto un modello di business inadeguato, che puntando tutto sulla pubblicità ha regalato enorme visibilità a notizie non verificate. Ma non è tutto da buttare, perché in questi anni la buona informazione ha fatto squadra e ha dato vita a progetti cooperativi come l’International Fact-Checking Network, una risposta globale a una minaccia, quella della disinformazione, che agisce su vasta scala».

Il ruolo della politica
Dicevamo del rapporto fra 11 settembre e COVID-19. E, volendo disegnare un triangolo immaginario, politica. Esiste, chiediamo a Facta.news, un legame fra i complottisti delle Torri Gemelle e i no vax? E quanto è quantificabile il danno di alcuni politici, abili a cavalcare l’onda della disinformazione per meri scopi elettorali? «È difficile sottolineare un legame evidente, ma la disinformazione sui vaccini e quella sull’11 settembre condividono innanzitutto i presupposti teorici: sfiducia per la politica e per l’informazione, volontà di proporre una verità alternativa a fatti complessi. E poi ci sono i diffusori di disinformazione, che negli ultimi 20 anni hanno fatto di questa propensione un business: alcuni influencer e alcuni siti web sono diventati dei professionisti del complotto, cercando di guadagnare sulle paure profonde dei lettori. E poco importa se queste paure abbiano a che fare con un attacco terroristico o con il vaccino contro la COVID-19». Quanto al danno creato dalla politica, Facta.news chiosa così: «Lo vediamo anche in questi giorni, sul tema dei vaccini parte della politica ha scelto di sposare un approccio scettico e distante dalle evidenze offerte dalla scienza. Nell’ultimo anno abbiamo spesso assistito a interventi di parlamentari (in Italia e all’estero) che ipotizzano un complotto alla base della pandemia. La paura è un carburante formidabile, purtroppo questo vale anche in politica».

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