Territorio

Un'esercitazione per capire come affrontare la peste suina

La malattia è ormai a ridosso del confine fra Ticino e Italia: settimana prossima, nei comuni di Porza, Vezia, Savosa e Comano, si svolgeranno due prove per contenere il virus organizzate dall’Ufficio del veterinario cantonale - «Fondamentale il rispetto delle regole»
Giona Carcano
12.10.2024 06:00

Nei capolavori di letteratura fantasy di George R. R. Martin, l’affermazione «l’inverno sta arrivando» è il simbolo della costante minaccia dell’ignoto nemico che permea l’intera serie. Trasportando quel concetto contenuto ne «Il trono di spade» nella nostra realtà, in Ticino, si potrebbe quindi dire che «la peste suina sta arrivando». Una minaccia invisibile ma capace di creare danni di vasta portata agli animali selvatici, nello specifico ai cinghiali, ma anche ai suini negli allevamenti. E che, appunto, «sta arrivando». Ad oggi, la malattia è giusto al di là del confine, in Lombardia e in Piemonte. Presto, si affaccerà anche sul territorio cantonale. Non è una questione di «se», ma di quando accadrà.

Per l’uomo è innocua

In Ticino ci si sta dunque preparando per far fronte alla malattia. Una malattia per fortuna totalmente innocua per l’uomo. Semmai, l’essere umano è un semplice vettore della stessa, come vedremo più avanti. Da anni, ormai, l’Ufficio del veterinario cantonale, assieme ad altri enti, si esercita in vista del giorno X in cui l’epizoozia farà capolino nella nostra regione. Ma quest’anno ci sarà una novità in più, o se preferite un test ulteriore: l’esercitazione si svolgerà anche in un bosco, e non solo in un’azienda agricola come accadeva in passato. Quattro i comuni coinvolti: Porza, Vezia, Savosa e Comano. È nel comprensorio di quei paesi che– giovedì 17 ottobre – saranno svolte le simulazioni. Il programma prevede di testare due scenari: la presenza della malattia all’interno di un allevamento di maiali e la scoperta di cinghiali infetti in un bosco. Per questa seconda parte dei lavori – che si svolgerà nella zona dell’Oratorio di San Rocco a Porza – saranno collocate alcune carcasse di cinghiale. Assieme a Luca Bacciarini, veterinario cantonale, andiamo dunque a scoprire i dettagli dell’operazione.

Due squadre al lavoro

La prima parte dell’esercitazione si svolgerà nell’azienda agricola Malombra di Vezia, con tutta una serie di enti coinvolti come la Sezione del militare e della protezione della popolazione e la PCi di Lugano. La successiva operazione, come visto, avverrà nei boschi di Porza, e vedrà anche il coinvolgimento dei cacciatori e del personale dell’OTR del Mendrisiotto. «Verranno attivate due squadre», spiega Bacciarini. «La prima si occuperà della ricerca e della segnalazione tramite dati GPS delle carcasse di cinghiale, ma senza avvicinarsi. La seconda, invece, provvederà alla rimozione degli animali». Un test nuovo, se vogliamo, perché finora l’epizoozia è sempre stata studiata a livello teorico. Ora, invece, si fa sul serio. «Con tutte le attrezzature necessarie», aggiunge il veterinario. L’Ufficio ha acquistato di recente il materiale necessario per far fronte alla peste suina. Tute complete di protezione, così come appositi «zaini» per trasportare fuori dal bosco i cinghiali. «Operiamo con procedure standard per ogni fase dell’esercitazione: ricerca, prelevamento del campione per le analisi, trasporto, smaltimento». Una volta recuperata, la carcassa infetta verrà in seguito trasferita nel canton San Gallo, in una delle due ditte svizzere abilitate allo smaltimento.

Contagiosità molto elevata

La contagiosità della peste suina è una delle principali preoccupazioni degli specialisti. È per questo che le procedure che verranno testate la prossima settimana nel Luganese dovranno seguire un protocollo molto rigido. La carcassa verrà ad esempio inserita in due sacchi distinti chiusi, che saranno poi disinfettati. La persona a contatto con l’animale, invece, dovrà togliersi la tuta contaminata e inserirla in un apposito sacco, che sarà successivamente portato a Giubiasco per l’incenerimento. L’obiettivo finale è quello di diminuire il più possibile la carica virale all’interno dei boschi, cercando allo stesso tempo di non trasportare il virus in altre zone.

Non a tutti i costi

Le prove, va da sé, verranno eseguite in un contesto realistico. Un bosco, appunto. Il problema, però, si porrà più avanti, ovvero quando la malattia farà la sua comparsa in Ticino. Il territorio di ricerca sarà molto più complesso da battere rispetto allo scenario previsto dall’esercitazione. «A dipendenza di dove si troveranno le carcasse, dovremo fare una ponderazione che tenga al primo posto la sicurezza dell’operatore», spiega a questo proposito Bacciarini. «Se l’animale si troverà in una zona impervia, in fondo a un dirupo, non metteremo a rischio l’incolumità della persona. Del resto, sarebbe impossibile trovare tutti i cinghiali morti nella zona colpita dal virus. La strategia è quella di entrare nel bosco e asportare più carcasse possibili, rispettando però la sicurezza del personale. In questo modo, riusciremo ad abbassare la carica virale presente, anche se non potremo azzerarla».

Prove di dialogo con Berna

Per combattere la diffusione della peste suina non basterà certo il lavoro degli specialisti o delle squadre di recupero. Serve anche la collaborazione della popolazione e delle persone che lavorano nei boschi, come i forestali. «Gli operai delle aziende forestali sanno già come comportarsi», premette il veterinario cantonale. «Infatti, la peste suina non è l’unica malattia che colpisce gli animali selvatici. Stiamo però collaborando con queste aziende per migliorare l’aspetto della biosicurezza». La popolazione, invece, andrà sensibilizzata. «Se il virus arrivasse nella stagione autunnale, con molte persone presenti nei boschi a cercare funghi o castagne, dovremo anche valutare la necessità di un divieto di accesso all’area», avverte Bacciarini. «Per contenere il virus serve la collaborazione di tutti. Più si diffonde, e più saremo costretti a delimitare le aree contagiate». In linea di conto, entrano anche i cacciatori che possono svolgere un ruolo importante per la riduzione della densità dei cinghiali. Attorno al perimetro contaminato, infatti, le autorità cantonali intendono intensificare la caccia. Tutte le prede catturate dovranno però essere esaminate per scongiurare la presenza del virus. Sul tavolo c’è pure una richiesta ufficiale da parte del Consiglio di Stato all’Ufficio federale dell’ambiente per ridurre drasticamente il periodo di protezione dei cinghiali in Ticino. Da febbraio a giugno, solitamente, non è possibile cacciare l’animale. L’intento del Governo è invece quello di permetterne l’abbattimento per più settimane, in modo da contribuire a ridurre i capi. Al momento, però, Berna sembra temporeggiare.

Solo questione di tempo

Ma quanto è distante la malattia dal Ticino? Come detto in precedenza, non molto. In settimana, da una riunione della Comunità di lavoro Regio insubrica, è emerso che i focolai di cinghiali infetti restano confinati a sud dell’autostrada A4 Milano-Torino. E questo anche grazie al vasto dispositivo messo in campo negli scorsi mesi dalle autorità italiane. È infatti stato messo in campo anche l’esercito per le attività di abbattimento e di ricerca delle carcasse. Diverso, purtroppo, il discorso del virus nei suini. «In alcuni allevamenti la malattia ha superato la barriera dell’autostrada», spiega Bacciarini. «Ho parlato con alcuni colleghi delle zone interessate ed erano un po’ demoralizzati. Diversi allevatori non hanno rispettato al 100% le misure di sicurezza e la malattia si è diffusa. Nel frattempo tutti gli animali di queste aziende sono stati abbattuti». Al veterinario cantonale, infine, chiediamo una previsione su quando la malattia «entrerà» in Ticino. «La scorsa primavera sembrava che il virus dovesse espandersi rapidamente», dice. «Invece, grazie alle misure messe campo, si è in qualche modo riusciti a contenerlo». Eppure, nonostante gli sforzi, non basta: il virus è destinato ad arrivare anche in Ticino. È solo questione di tempo.