Unione europea, così PIL e debiti determinano i rapporti di forza

L’Unione europea a 27, senza il Regno Unito, rimane un’area economica di chiaro rilievo, la seconda a livello mondiale in termini di Prodotto interno lordo (PIL), alle spalle degli USA e davanti alla Cina. Un’area che resta il maggior partner economico per la Svizzera, nonostante l’ampliamento della diversificazione elvetica dei mercati di sbocco. Gli accordi e i contrasti che di volta in volta si registrano all’interno dell’UE sono il frutto di diverse visioni politiche, certo, ma anche di differenti posizioni economiche dei vari Paesi che la compongono. Vale la pena di vedere alcuni dei punti principali degli assetti economici dell’UE, anche per cercare di capire meglio le dinamiche dell’area.
I conti dei Paesi
Il PIL dell’Unione europea a 27 a fine 2019 era pari, secondo Eurostat, a circa 13.900 miliardi di euro (circa 15.000 miliardi di franchi al cambio attuale). Le prime cinque economie dell’UE rappresentano circa il 70% del PIL complessivo, in questo modo: Germania 24,7%, Francia 17,4%, Italia 12,8%, Spagna 8,9%, Olanda 5,8%. A completare il gruppo dei primi dieci Paesi sono, nell’ordine: Polonia 3,8%, Belgio 3,4%, Svezia 3,4%, Austria 2,9%, Irlanda 2,5%. Subito dopo i primi dieci ci sono la Danimarca con il 2,2% e la Finlandia con l’1,7%.
Il debito pubblico per l’intera area a fine 2019 era pari a circa 10.800 miliardi di euro (circa 11.650 miliardi di franchi), cioè il 77% del PIL dell’UE. Su questo versante ci sono differenze molto accentuate tra i vari Paesi e uno sguardo alle prime cinque economie può già dare un assaggio significativo: per la Germania debito pubblico di 2.053 miliardi di euro, pari al 59% del PIL; per la Francia 2.380 miliardi e 98%; per l’Italia 2.409 miliardi e 134%; per la Spagna 1.188 miliardi e 95%; per l’Olanda 394 miliardi e 48%. Germania e Olanda fanno parte dei Paesi che hanno attuato il rigore per i conti pubblici, Francia e Spagna sono state chiaramente meno rigorose, l’Italia ha mantenuto il primato negativo con il suo maxi debito pubblico, preceduta nell’UE solo dalla Grecia (176%) e seguita dal Portogallo (117%).
I poli opposti e Berlino
Nel vertice UE previsto per oggi e domani la Germania, presidente di turno, cercherà un compromesso sul Recovery Fund (Fondo per la ripresa) e sulle linee per contrastare gli effetti economici del coronavirus. È chiaro che occorrono piani straordinari anti crisi, in parte peraltro già varati, ed è evidente che l’indebitamento pubblico in questa fase sta nuovamente aumentando. Ma per i Paesi del rigore è altrettanto chiaro che dopo l’emergenza bisognerà tornare a ridurre i debiti eccessivi e che sussidi e prestiti per i Paesi in maggior difficoltà vanno collegati a misure precise anti crisi e a riforme economiche.
I contrasti sull’entità del Recovery Fund e sulla ripartizione tra sussidi e prestiti sono per alcuni aspetti l’emblema delle differenze economiche nell’UE. Ai due poli opposti ci sono da una parte i Paesi del Nord cosiddetti frugali (Olanda, Svezia, Austria, Danimarca), che puntano a contenere sussidi e prestiti UE e ad avere maggiori garanzie sull’impiego dei fondi da parte dei Paesi più in difficoltà; dall’altra parte alcuni Paesi soprattutto del Sud (Italia anzitutto, poi Spagna, Portogallo, Grecia) che sottolineano la necessità di una solidarietà più ampia da parte degli altri Paesi UE, visto l’impatto del coronavirus. La Germania, più vicina ai Paesi frugali, e la Francia, più vicina ai Paesi del Sud, puntano entrambe a un compromesso. La Finlandia, pure vicina ai frugali, probabilmente affiancherà ancora la Germania.
Contributori e beneficiari
Le diversità delle posizioni espresse dai Paesi frugali e dal gruppo del Sud si può comprendere meglio anche guardando ancora i dati sul PIL e sul debito pubblico. I quattro Paesi frugali rappresentavano a fine 2019 il 14% del PIL dell’UE e solo l’8% del debito pubblico dell’area; i quattro Paesi citati del Sud dell’UE rappresentavano invece alla stessa data il 24% del PIL e ben il 38% del debito pubblico dell’area. I quattro frugali sono inoltre, secondi i dati Eurostat riferiti al 2018, tutti contributori netti, versano cioè all’UE più soldi di quanti ne ricevano; dall’altra parte, solo l’Italia è contributore netto, mentre gli altri tre Paesi del Sud sono beneficiari. Ancor più beneficiari di loro sono poi i Paesi dell’Est Europa che hanno aderito all’UE, a cominciare dalla Polonia e dall’Ungheria. Vantaggi e svantaggi economici non si possono misurare solo sulla base dei contributi – il mercato integrato UE e gli scambi danno vantaggi ben più consistenti – ma l’argomento da tempo si presta a polemiche e malumori interni. La mediazione della Germania, che è il contributore netto di più ampia taglia, è a maggior ragione necessaria.
