Università svizzere, donne (finalmente) ai vertici

Anna Fontcuberta i Morral ha quarantanove anni. È professoressa di scienza dei materiali e fisica al Politecnico di Losanna. È descritta dal Consiglio federale come «una ricercatrice di grande fama e talento». Il suo curriculum, tra ricerca, insegnamento, premi internazionali e cariche, parla per lei. A partire dal 1. gennaio 2025 sarà la nuova presidente dello stesso EPFL. La prima donna nominata - dall’Esecutivo nazionale, è il caso di ricordarlo - in questa carica. «Finalmente!»
Il mondo che cambia
L’esclamazione è di Luciana Vaccaro, fisica, rettrice dell’Haute école spécialisée de Suisse Occidentale (HES-SO, la SUPdella Svizzera occidentale, per intenderci) e presidente - dal febbraio del 2023 - di swissuniversities. «Finalmente, sì», ribadisce. E poi entra nel merito: «Io stessa faccio parte della generazione di Anna Fontcuberta i Morral. È una generazione che, in sostanza, ha dato avvio al cambiamento per le donne nelle alte sfere dirigenziali, in ogni ambito, compreso quello universitario. È una generazione che ha fatto da apripista, entrando nel mondo accademico 20-25 anni fa. Oggi siamo donne e professioniste cresciute, e dimostriamo di poter occupare questi ruoli». Il Consiglio federale, nel suo comunicato, ha pure sottolineato la dimensione inedita di questa nomina, il fatto che si tratti della prima donna nella carica di presidente. Certo, ma la politica svizzera si è mossa in ritardo, rispetto alla parità di genere, nelle accademie? Luciana Vaccaro: «La politica ha preso coscienza di questi aspetti, a cominciare dalla potenziale - ed effettiva - perdita di talenti. Oggi, infatti, troviamo molte donne che possono occupare questi ruoli. Ma, certo, il ruolo della politica è di avere coscienza di questo cambiamento sociale e di dare questo tipo di possibilità alle donne più competenti. Perché dobbiamo ricordarlo: non parliamo semplicemente di donne, con il solo scopo di raggiungere una parità numerica, ma di donne competenti».
Le materie scientifiche
La nomina di Anna Fontcuberta i Morral ha un peso ancora maggiore, trattandosi di un politecnico. Sappiamo - lo dicono i numeri - che le materie scientifiche restano preda dei soliti pregiudizi, e i giovani che vi si affacciano sono ancora in gran parte di sesso maschile. «Sì, il problema esiste ancora. Sicuramente l’EPFL ha fatto moltissimo in questo senso per favorire le carriere femminili. Anna è arrivata in Svizzera come professoressa assistente tenure-track (ruolo simile a quello di ricercatrice, offerto in vista di un incarico da professore associato, ndr) presso l’Istituto dei materiali del Politecnico di Losanna. Questo genere di percorso ha aiutato molte donne a inserirsi anche in ambiti scientifici». Ma Luciana Vaccaro allarga il discorso, e pone sul tavolo un argomento interessante: «Anna ha origini spagnole, io italiane. Nel Sud dell’Europa le donne si sono profilate prima nei campi scientifici, rispetto ad altre aree del continente. E poi sono emerse anche in Svizzera, un Paese che offre prospettive anche a persone non per forza indigene. Ma il Sud, di fatto, ci ha insegnato che un’evoluzione, nell’ambito delle carriere femminili, era possibile». Il tema della disparità, a livello numerico, di iscritti e iscritte alle facoltà scientifiche, però, rimane. «Anche se noi ci impegniamo a far emergere pure le figure femminili». Sottolineare questi traguardi può essere importante anche come motivazione. E Luciana Vaccaro segnala un altro profilo, un’altra storia interessante. La storia di Anna Valente. «La professoressa Valente è stata recentemente nominata (sempre dal Consiglio federale, ndr) nel Consiglio d’amministrazione di Innosuisse. Anche lei arriva dalle scienze esatte ed è professoressa alla SUPSI in robotica industriale, oltre che responsabile del laboratorio automazione, robotica e macchine. Penso allora che ci sia davvero la volontà di far emergere donne competenti in questi campi. Certo, rimane un deficit nel reclutamento di studentesse, mentre è tuttora sproporzionato nell’altro senso l’equilibrio in ambito sociale e sanitario».
I numeri del divario
Luisa Lambertini, nella prima intervista concessaci una volta entrata in carica quale rettrice dell’Università della Svizzera italiana, aveva affermato: «A me piace guardare i numeri. Sicuramente all’USI la percentuale di posizioni di docenti accademici occupate da donne non è al livello cui vorrei che fosse; chiaramente, l’USI non è l’unica ad avere questo problema che riguarda molte altre università, ma passi avanti sono necessari. Il mio desiderio, così come ho detto nel discorso di nomina, è che tra i docenti accademici nuovi assunti, il 40-50% siano donne». Sì, ma come si fa concretamente? Lei aveva risposto citando lo stesso EPFL: «Insisti e persisti. Bisogna individuare le docenti donne da chiamare, avere flessibilità nelle assunzioni, affrontare le varie situazioni in maniera razionale. Ci vorranno anni per arrivare a un livello di parità di offerte per le donne, ma si può fare. Al Politecnico di Losanna ci siamo riusciti. È chiaro che servirà l’aiuto di tutti». Anche Luciana Vaccaro cita alcuni numeri: «Quando arrivai in Svizzera, nel 1996, le donne occupavano il 4% dei ruoli accademici. Oggi, come media nazionale, questa percentuale è salita al 25%. Allora c’è ancora molto da fare, perché questi dati ci dicono che resta un 25% di donne da trovare e valorizzare. Gli strumenti per far emergere questi profili ci sono, a cominciare proprio dal ruolo di professori assistenti, utile per “catturare” le donne valide e competenti prima che decidano di percorrere altre strade, in altri ambiti, o che facciano altre scelte di tipo familiare. Chiaramente c’è un discorso di bias, di stereotipi, molto forte all’inizio degli studi, e questo ha ripercussioni sul prosieguo. E alcuni stereotipi resistono anche nei processi di selezione, in ogni ambito professionale. Ancora c’è chi chiede alle candidate se hanno figli o intendono averne».
Finito il tempo dei segnali
Alla stessa professoressa Vaccaro vennero fatte queste domande, a inizio carriera. Certo, a questo punto dovrebbero risultare superate. «Il momento, nel mondo universitario, mi sembra favorevole. C’è stata una chiara presa di coscienza, a partire dai primi anni Duemila; poi c’è ancora della strada da fare, in tanti ambiti, in particolare nel privato». È finito il tempo dei segnali, occorrono cambiamenti che segnino i tempi. «Sì, bisogna fare di più in termini di aiuti alle famiglie, parlo di asili nido, di diversi orari scolastici, di congedi, fattori che accompagnino il cambiamento. C’è ancora una certa resistenza, e lo Stato è chiamato a impegnarsi con forza su questo fronte».
Una serie di «prime volte» dal 1864 a oggi
Tra i documenti pubblicati dalla Commissione federale per le questioni femminili, abbiamo ritrovato un’interessante ricostruzione del rapporto tra donne e studi universitari in Svizzera. Una ricostruzione che parte dal 1867. È allora che la prima donna, la russa Nadejda Souslova, ottenne a Zurigo il suo dottorato in medicina (mentre la prima studentessa ammessa fu un’altra russa - la spinta rivoluzionaria di allora -, Maria Knajnina, nel 1864). Zurigo veniva descritta come una pioniera, al pari di Parigi, sotto questo aspetto. Seguirono Berna, Ginevra, Losanna, rendendo la Svizzera ideale approdo per molte studentesse straniere. Nel 1906 le donne raggiunsero un quarto della popolazione studentesca. Ma va detto che al 90% erano straniere. Le due guerre frenarono drammaticamente questa crescita, al punto che per tornare al 25% si è poi dovuto aspettare il 1973 (in questo caso al 70% le studentesse erano svizzere). A livello di corpo docenti, la prima donna nominata professoressa straordinaria in una università svizzera - a Berna - fu la filosofa Anna Tumarkin. Era il 1900. Nella Svizzera francese, l’attesa di una professoressa si spinse fino al 1918, con Lina Stern, a Ginevra, in fisiologia. Per quanto concerne una scuola politecnica, la prima professoressa fu invece Erna Hamburger, a Losanna. Ma a quel punto eravamo già nel 1957. Successivamente arrivarono le prime professoresse ordinarie. E anche la prima rettrice, la fisica Verena Meyer, all’Università di Zurigo, nel 1982. Una lunga serie di «prime volte», che tocca anche una ticinese, Flora Ruchat-Roncati - nota architetta, classe 1937 -, prima professoressa ordinaria all’ETH di Zurigo. Attualmente, all’Università della Svizzera italiana, secondo i dati aggiornati al semestre autunnale 2023/2024, figurano 4.309 studenti, di cui il 46,8% sono donne (2.008). Per quanto riguarda il corpo accademico, ci riferiamo al piano d’azione per le pari opportunità 2021-2024. Al termine del quadriennio precedente (dicembre 2020), dei 650 collaboratori dell’USI, solo il 33,6% era costituito da personale accademico femminile, con «importanti differenze a seconda della tipologia contrattuale e del livello di avanzamento di carriera». Presto sarà comunque tempo di nuovi bilanci. E gli obiettivi di Luisa Lambertini sono sembrati chiari.