Diritti

Università, una lenta parità

Negli atenei svizzeri, stando ai nuovi dati dell'Ufficio federale di statistica, qualcosa nel confronto tra generi si sta muovendo – Ma come conferma anche Luisa Lambertini, c'è ancora molto lavoro da fare
Paolo Galli
12.08.2024 06:00

Nel 1996, all’USI, i professori di ruolo di sesso maschile erano 35, a fronte di una sola presenza femminile. Una! Nel 2023, siamo invece a 108 uomini e 31 donne. Al di là dell’aumento di personale, possiamo dire che resta sì una forte disparità, ma anche che qualcosa si sta comunque muovendo. Nei nuovi dati pubblicati dall’Ufficio federale di statistica, la situazione nelle università svizzere e nei politecnici federali sembra in fase di aggiustamento. Va considerato che, nel 2023, in Svizzera, nelle alte scuole universitarie hanno lavorato 72.265 persone, pari a un totale di 48.565 posti di lavoro a tempo pieno. Per il resto, la tabella a lato è piuttosto chiara. Per analizzarla, abbiamo contattato la rettrice dell’Università della Svizzera italiana, Luisa Lambertini. Il primo dato che balza agli occhi, sottolineiamo, è che c’è ancora molto lavoro da fare. È così? «Certamente, c’è da fare. E siamo intenzionati a proseguire i nostri sforzi sia a livello svizzero, sia all’USI. Purtroppo, per quanto si siano fatti progressi, la tendenza positiva osservata nel corso degli ultimi dieci anni non ha ancora posto rimedio a una situazione che tutt’oggi resta chiaramente sbilanciata. Di qui la necessità di proseguire con questo processo con misure concrete».

«Un certo tipo di mentalità»

Gli ambiti di intervento sono molteplici. A partire da quella che Luisa Lambertini definisce come «esigenza di rimodellare un certo tipo di mentalità». Una mentalità «che ha perdurato per decenni». E allora va rimodellata «al fine di favorire la parità e - di riflesso - maggiore equilibrio nella ripartizione delle cattedre. Un processo che però necessita di essere accompagnato da misure più incisive per accelerarne gli effetti. Per quanto concerne l’USI, nell’ultimo anno, da quando sono rettrice, su un totale di quattro nomine tre sono state di professoresse». Un inizio che la stessa rettrice definisce «molto promettente». E per raggiungere questi numeri, «seguendo le migliori pratiche adottate anche in altri atenei, abbiamo deciso che almeno due donne facciano parte delle commissioni di preavviso. Inoltre abbiamo deciso che il 50% delle posizioni nella short list delle commissioni di preavviso debba essere composto da candidate di genere femminile. Il rettorato si è inoltre impegnato a valutare queste liste e a prendere decisioni appropriate se non compatibili con gli obiettivi di genere dell’Università. Per attrarre personale accademico di genere femminile, le migliori pratiche suggeriscono anche di individuare potenziali candidate prima dell’avvio delle commissioni di preavviso. Questo significa sviluppare e coltivare una rete di contatti popolata da postdoc, studentesse di dottorato e professoresse assistenti, attraverso inviti per le candidate per visite di breve periodo, sabbatici o seminari. L’USI vuole anche diventare un’università dove colleghe e colleghi lavorano volentieri e possono conciliare vita familiare e carriera: nel prossimo quadriennio quindi ci siamo impegnati a rafforzare l’offerta di servizi volti a renderla un posto di lavoro accogliente».

«L’USI era penultima»

Tra i dati proposti dall’UST, scorgiamo due note incoraggianti. La prima: la crescita del numero di donne rispetto al 2014. Una crescita «sicuramente dovuta alle misure di settore, che hanno già portato effetti benefici nell’ottica della parità di genere. E poi alla volontà dei singoli individui di invertire una tendenza che ha perdurato troppo a lungo. D’altronde soltanto attraverso azioni concrete, nonché significative, è possibile tagliare determinati traguardi. E il fatto di avere sempre più rettrici donne ai vertici delle università svizzere aiuta».

La seconda nota incoraggiante: il fatto che più si abbassa l’età, più si intravede un’idea di reale parità. Già, ma ci viene un dubbio: questa idea è rispettata anche a livello di salari e di ruoli? Risponde sempre Luisa Lambertini: «Sì, i dati mostrano che più si abbassa l’età, più ci si avvicina alla parità. Alcuni processi aiutano: normalmente le università sostituiscono i professori ordinari a fine carriera con una combinazione di professoresse/professori assistenti e/o associate/i sufficientemente lontani dall’età pensionabile. Questo ricambio, caratterizzato appunto da un ringiovanimento, offre altresì la possibilità - a chi è intenzionato a coglierla - di intervenire sul disequilibrio di genere e salariale. È sicuramente il caso dell’USI, che tra le università e i politecnici svizzeri risultava penultima in termini di percentuale di posizioni professorali occupate da donne». In questo senso, per monitorare le eventuali altre disparità, tra cui quelle salariali, all’USI è stato introdotto dallo scorso anno lo strumento del “Bilancio di genere”, che misura la parità nelle sue diverse manifestazioni per capire dove è urgente intervenire e per monitorare i progressi fatti. «L’USI è stata una delle prime università in Svizzera e una delle poche istituzioni in Ticino a introdurre questo strumento». E la rettrice ammette: «Alcuni divari di genere, difficilmente comprensibili alla luce dei dati disponibili, sono effettivamente emersi, mentre in altri settori dell’USI essi si attenuano, o si annullano. Si è proceduto quindi a fare a ulteriori verifiche e si è ritenuto auspicabile completare il processo di istituzionalizzazione della parità di genere, ampliare la gamma dei parametri di misurazione, così da poter approfondire e comprendere le molte sfaccettature del problema».