Il personaggio

«Vi spiego l’uso politico del mentalismo»

Lo scrittore e illusionista Mariano Tomatis ci parla di questa branca dell’illusionismo che ha anche applicazioni mediche e filosofiche
Carlo Silini
02.01.2019 19:00

Spaparanzato nel divano, guardi una puntata di Mentalist e scrollando la testa ti dici: «Eh, sarebbe bello». Sarebbe bello, s’intende, leggere nel pensiero delle altre persone per risolvere i misteri profondi del crimine. Non sappiamo quanto di vero ci sia nell’ipotesi che si possa indagare in modo efficace tra le malefatte dell’umanità utilizzando le tecniche dei mentalisti. Ma sappiamo che dal cappello magico dei nuovi prestigiatori possono uscire meraviglie anche più utili della lotta contro i delitti: per esempio per guarire disturbi o malattie. Ma anche meraviglie controverse, come la capacità di manipolare gli elettori per convincerli a votare per te. Proprio di questo uso «alternativo» del mentalismo ne parliamo con un grande esperto dell’argomento: lo scrittore e illusionista Mariano Tomatis, curatore del «progetto Mesmer» e organizzatore di veri e propri corsi di mentalismo in Italia.

Mariano Tomatis, lei non è propriamente un mentalista, ma si occupa in modo culturale del mentalismo. Cioè?
«Da anni mi occupo di mentalismo, che è una branca dei giochi di prestigio che in sostanza ha smaterializzato l’illusionismo, perché invece di occuparsi di palline, corde, conigli e donne segate in due utilizza una serie di concetti. In altre parole fa a meno degli oggetti per proporre esperienze teatrali affascinanti in quanto smaterializzate. Per questo la considero la branca più affascinante dell’illusionismo. E mi sono accorto che non è mai stata affrontata a 360 gradi con un progetto culturale specifico, ma come una disciplina minore dell’illusionismo, buona per quanti amano fare elucubrazioni mentali. Invece ha una sua importanza non soltanto a scopo di intrattenimento, ma anche nel dibattito culturale, perché ha contenuti filosofici e politici notevoli».
Contenuti su cui poi torneremo, ma prima ci spiega che cos’è il «progetto Mesmer» da lei creato?
«Occupandomi di meraviglia, il fatto che la gente rimanga “mesmerizzata” di fronte a qualcosa che stupisce mi colpisce molto. Per questo ho scelto il nome “progetto Mesmer”: Franz Anton Mesmer era un medico tedesco (nato nel 1734 e morto nel 1815 – ndr) che per primo ha in un qualche modo smaterializzato la medicina. Prima si curavano i malati con salassi o con intrugli vari. Lui, invece, ha ipotizzato che si potesse fare a meno di tutto questo e si potessero curare le persone soltanto con l’imposizione delle mani basandosi su una sorta di magnetismo emanato dal corpo umano. Ha, insomma, inventato il cosiddetto magnetismo animale».

Maghi e leader puntano sull’effetto, non sulla verità dei fatti. Ecco cosa li accomuna

Una realtà che, se non sbaglio, la scienza non riconosce.
«Diciamo che Mesmer ha scoperto un modo per manipolare l’effetto placebo utilizzando opportunamente il linguaggio e i rituali. Tant’è che di quello che ha fatto non c’è nessuna eredità nella medicina ufficiale, quanto invece nella psicoterapia e soprattutto nell’ipnoterapia. È stato, suo malgrado e senza saperlo, lo scopritore dell’ipnosi. Quello in sostanza faceva: ipnotizzava i malati per stimolare in loro la guarigione manipolando le loro percezioni».
Dal punto di vista dell’effetto, anche se non c’è nulla di scientifico, l’operazione a volte funziona...
«Mesmer è riuscito a manipolare e potenziare l’effetto placebo. Tant’è che l’ipnoterapia può funzionare, per esempio, nei soggetti che cercano di smettere di fumare. Non viene data loro alcuna sostanza chimica o pillola, ma si manipola la loro percezione della realtà. Si riesce per esempio ad associare al fumo sensazioni negative. Con queste tecniche si può anche arrivare ad anestetizzare. Sembra incredibile, ma si riesce ad attirare l’attenzione lontano dal dolore. Così facendo si possono fare delle operazioni su pazienti che non sarebbero anestetizzabili con la medicina. Invece li si può anestetizzare soltanto con il discorso, con la parola».
E tutto questo parte da Mesmer...
«È forse più corretto dire che ho capito che dal Settecento partono diverse applicazioni del suo pensiero. Durante tutto l’Ottocento i mentalisti si facevano chiamare magnetizzatori. E nei teatri facevano esattamente quello che oggi fanno i mentalisti. Mettevano in ipnosi la propria compagna – che si trovava in stato di sonnambulismo – e le facevano compiere le più disparate attività: leggere nei libri chiusi, indovinare le carte pensate, trovare uno spillo da qualche parte in mezzo al pubblico. Tutto parte da lì, ed è per questo che ho scelto l’espressione “progetto Mesmer”».

Il medico tedesco Franz Anton Mesmer (1734-1815), pioniere  dell’ipnotismo a livello terapeutico.
Il medico tedesco Franz Anton Mesmer (1734-1815), pioniere dell’ipnotismo a livello terapeutico.

Tutto parte da lì, e dove arriva?
«A me interessa molto utilizzare il mentalismo per fare una lettura del presente, soprattutto per quanto riguarda la situazione politica».
Cioè?
«Mi chiedo in che modo la nascita delle “fake news” venga manipolata usando gli stessi meccanismi con cui alcuni mentalisti del passato costruivano la propria carriera, raccontando di sé cose mirabolanti e sfruttando alcune falle del ragionamento e della percezione. O approfittando del passaparola e indirizzandolo opportunamente».
Sta stabilendo un parallelismo tra politica e mentalismo?

«Beh, sono gli stessi meccanismi che vedo in atto nei vari populismi. Le retoriche utilizzate da tanti illusionisti e mentalisti del passato pescano dallo stesso identico repertorio. Non è un caso che spesso si sente dire di questo o quel politico che “fa il prestigiatore”, che “magheggia”. Questi magheggi non hanno niente a che vedere coi cappelli o coi conigli, sono magheggi percettivi».

«Donald Trump ha più volte utilizzato informazioni non vere semplicemente per suscitare un determinato effetto sul suo elettorato. Una tecnica che è alla base di buona parte dei giochi di prestigio»

A questo punto, però devo chiederle un esempio di questo marketing politico mentalista...
«In uno dei miei ultimi spettacoli faccio l’esempio di Donald Trump che durante la sua campagna elettorale, affermò che Obama aveva riempito di cimici la Trump Tower. Dopo pochi giorni, dimostrato che si trattava di una pura invenzione, la reazione di Trump fu interessantissima. Lui disse infatti: anche se la cosa non è vera, rivela comunque quanto Obama sia un personaggio losco. È stupefacente, perché se una cosa non è vera il discorso dovrebbe chiudersi lì e basta. In realtà, analizzando più da vicino la faccenda, si capisce come Trump con la prima affermazione (falsa) sia interessato solo al suo effetto. Il fatto che la notizia sia vera o meno, passa poi in secondo piano. Ciò che conta è l’effetto della prima affermazione che induce la gente ad avere una certa percezione di Obama. Quando poi la cosa non si rivela vera, Trump ha modo di dire che la cosa ha scarsa importanza e risottolinea l’effetto che vuole ottenere, ripetendo che Obama è comunque un poco di buono. Insomma, la verità dell’affermazione passa in secondo piano, l’effetto è quello che conta. E l’effetto sul pubblico è il capitolo centrale di ciascun gioco di prestigio spiegato nelle antologie per i maghi».
Centrale ma non unico.
«No, ovviamente si spiegano anche le tecniche per ottenere l’effetto sperato sul pubblico, per fargli credere che violi le leggi naturali. Ma per arrivare lì, all’effetto, il mago deve dire bugie, deve manipolare alcune persone, deve tenere delle cose nascoste nella manica. La verità di quello che succede in scena non conta niente sul palco. Se io faccio levitare un oggetto, lo spettatore deve vedere proprio quello: qualcosa che fluttua nell’aria. Ma la verità è che c’è un filo che solleva l’oggetto. E, come prestigiatore, devo fare in modo che quella verità non arrivi. Come prestigiatore devo distrarre dalla verità, altrimenti l’effetto magico svanisce. Questa centralità dell’effetto, purtroppo, ha assunto sempre più importanza anche nella comunicazione politica».
Del resto, come recita il vecchio adagio, «il trucco c’è ma non si vede»?
«L’illusionismo da secoli si occupa di manipolare la verità per fare in modo che quello che si vede sia altro. È quindi uno studio che genera le prassi e le tecniche che fanno sì che una cosa possa essere illusoria: maghi che volano, donne tagliate in due e ricomposte, eccetera. Solo che quando si vede un mago che divide in due una persona tutti sanno che non è vero, mentre oggi c’è una buona metà del pubblico che è convinta che davvero il mentalista sia davvero dotato di capacità superiori. È quindi la branca dell’illusionismo più vicina alla realtà per quanto riguarda la percezione del pubblico».

IL VECCHIO TRUCCO DEI CUCCHIAINI PIEGATI

L’illusionista israeliano Uri Geller, cemebre per la sua presunta abilità di piegare oggetti a distanza.
L’illusionista israeliano Uri Geller, cemebre per la sua presunta abilità di piegare oggetti a distanza.

Mariano Tomatis: lei dà anche dei corsi di mentalismo. Cosa si insegna?
«Lo faccio insieme ad un mentalista professionista, Francesco Lusani. Nei corsi accompagniamo dietro le quinte di quest’arte svelando quali sono i principi su cui si basa. Sono seminari di vari livelli. Francesco insegna la pratica, io invece parlo di storia mostrando l’evoluzione di questi metodi nel tempo. Infatti il mentalismo ha seguito i cambiamenti tecnologici. Ricorderete i primi maghi che apparivano in televisione, i quali si esibivano piegando i cucchiaini e dialogando dallo schermo coi telespettatori per coinvolgerli nelle loro magie. Bene, il mentalismo, ha seguito il percorso del progresso scientifico e tecnologico».
In che modo?
«Una cosa che trovo interessante del mentalismo odierno – ma che è in continuità con quello del passato – è il fatto di essersi sempre piazzato ai margini della scienza nota. Per esempio all’epoca di Marconi, quando la radio stupiva tutti e ci si chiedeva come facesse a trasmettere parole e pensieri senza fili, i mentalisti si presentavano come “radio umane’” perché quella era la scienza che stupiva e nessuno sapeva interpretare».
E oggi?
«Oggi c’è internet, una comunicazione sempre più virtuale. E il mentalismo odierno è tutto basato sulla psicologia, Un bravo mentalista ci dice che è in grado, dall’espressione del nostro sguardo, da un micro movimento del ciglio, di capire se stiamo dicendo la verità o meno. È un modo per resistere alla standardizzazione delle faccine su WhatsApp. Perché quando mandiamo una faccina chissà quante cose ci stiamo perdendo nella comunicazione. Il mentalismo ci dice invece che nelle nostre microespressioni facciali c’è una ricchezza di contenuti che è preziosa. Per cui niente sostituisce l’incontro dal vivo. E io, con la mia arte di mentalista, riesco addirittura a dirti se stai mentendo o meno perché hai piegato a destra o a sinistra un sopracciglio».

Mariano Tomatis durante uno dei suoi spettacoli. (Fotografia di Franco Giove).
Mariano Tomatis durante uno dei suoi spettacoli. (Fotografia di Franco Giove).

Ed è vero?
«No, i mentalisti non usano quel metodo per capire le emozioni, ma usano quella storia perché funziona col pubblico».
Mi ha messo la pulce nell’orecchio. Ma come si fa a far piegare i cucchiaini dei telespettatori dalla tv?
«Si tratta di un trucco molto sofisticato. Si basa in particolare sulla statistica. Una cosa che pochi sanno è che tanti cucchiaini sono già piegati e sono piegati dall’uso. Anche nei ristoranti a volte ti danno il cucchiaino del caffè già piegato. Solo che, quando succede, non fai nessun collegamento col paranormale. Se però sei un bravo mentalista che ha capito questa cosa e sai che il giusto racconto può suggestionare il telespettatore cosa fai? Eviti di raccontare questa prima parte sulla metà dei cucchiaini già piegati di suo. Poi dici: “di sicuro avete vicino a voi dei cucchiaini, non toccateli, lasciateli dove sono perché adesso, con le mie energie mentali cercherò di piegarli. Ecco, l’ho fatto. E adesso controllate”. Così facendo si crea un collegamento tra i cucchiaini e le tue doti mentali. Quando qualcuno, aprendo i cassetti troverà dei cucchiaini piegati penserà che sono opera tua. Cosa faceva Uri Geller quando faceva questi esperimenti? Diceva: “mi raccomando, se succede qualcosa telefonate”. Su un milioni di persone che seguivano la trasmissione se anche solo cento trovavano i cucchiaini piegati e se anche solo dieci telefonavano, bastava mandarne due in onda e il gioco era fatto».

CURIOSITÀ - La serie tv

A dare un’incredibile visibilità all’arte del mentalismo, più ancora dei numerosi spettacoli di magia contemporanei, ha contribuito la fortunata serie televisiva americana The mentalist. Il protagonista, Patrick Jane, interpretato da Simon Baker (nella foto) è un consulente del California Bureau of Investigation (CBI), assegnato alla squadra investigativa coordinata da Teresa Lisbon (interpretata da Robin Tunney) per utilizzare il suo talento di mentalista. Una dote che gli permette di notare ogni dettaglio o particolare, apparentemente insignificante, che in realtà si rivela determinante per risolvere i casi.

«Credibile ma...»

Ma cosa c’è di vero, o di verosimile nell’ipotesi di sventare il crimine grazie alle doti dei mentalisti? «La cosa – commenta Tomatis – è credibile in superficie, nel senso che esistono studi serissimi sulla possibilità di usare tecniche manipolatorie durante gli interrogatori, oppure per utilizzare la psicologia dei criminali e in un qualche modo prevedere le loro mosse. Io stesso ho pubblicato un libro, dal titolo Numeri assassini, nel quale mostro che la matematica è stata usata in tante situazioni per costruire modelli in grado di prevedere crimini e risolvere misfatti». Ma c’è un ma. «Sì. Il punto è che, un po’ come nei cartoni animati, si tratta di una realtà rappresentata in maniera esagerata. Se ci si pensa, però, è la versione moderna dello Sherlock Holmes. La forza della serie tv, insomma, è esagerare un elemento, creando un personaggio con delle doti che non possono che affascinare. In conclusione: se la si guarda per motivarsi e dire “da grande voglio fare quella cosa anch’io” va benissimo. Se lo si guarda come se fosse un documentario, no».