Il reportage

Viaggio nella provincia americana, dove si deciderà il futuro del Paese

Siamo stati a Wilson, in North Carolina, per una tappa della campagna di Bill Clinton - L'ex presidente ha lanciato l'allarme: misoginia e disinformazione potrebbero influenzare le scelte dell'elettorato, specialmente quello maschile, anche tra le minoranze
© Steve Helber
Davide Mamone
22.10.2024 06:00

Per rendersi conto che il North Carolina sia uno degli stati più in bilico di queste elezioni 2024 e, potenzialmente, un gettone d’emergenza su cui Kamala Harris potrebbe sperare a sud se dovesse crollare il muro democratico del Midwest a novembre in Wisconsin, Michigan o Pennsylvania, basta guidare dieci minuti da Johnston County a Wilson County. Ai bordi delle strade della prima, saldamente nelle mani di Donald Trump nel 2020, i banner elettorali del ticket dem sono praticamente inesistenti. Ma basta attraversare il confine della contea in direzione nord-est, appena qualche manciata di chilometri, e tutto cambia: Harris e Tim Walz, a un tratto, sembrano gli unici candidati digeriti dalla popolazione locale. E più si procede verso il centro di Wilson, una cittadina di 47.606 abitanti a 350 chilometri a est di Charlotte, più i nomi Trump e JD Vance spariscono dalla circolazione. È proprio qui che l’ex presidente Bill Clinton ha scelto di fermarsi per uno degli appuntamenti del suo bus tour elettorale nel sud del Paese, iniziato in Georgia la settimana scorsa e culminato domenica a Raleigh, la capitale del North Carolina. In una serie di conversazioni con il Corriere del Ticino a margine dei suoi stop elettorali lo scorso weekend, in giro per lo stato, il 77.enne ex presidente degli Stati Uniti ha suonato il campanello d’allarme sul ruolo che misoginia e disinformazione potrebbero avere sulle scelte dell’elettorato, specialmente maschile, soprattutto al sud, anche tra le minoranze.

Country roads

Già, ma cosa è stato mandato a fare Clinton lontano dalle grandi città? A spiegarlo è lui stesso: «Sono le aree meno servite e troppo spesso dimenticate, dove tutti però si conoscono e il senso di comunità è forte: nelle zone rurali, si deciderà tutto», ha ripetuto al pubblico, poche centinaia di persone ad ascoltarlo a ogni stop. Pubblico che ha quasi pregato di andare a votare per «non veder svanire la democrazia dalle nostre mani». L’impegno dell’ex presidente fa parte di una strategia più ampia della campagna di Harris, applicata in altri stati in bilico, simile a quella usata dal senatore dem John Fetterman per vincere il seggio in Pennsylvania nel 2022: non solo puntando tutto sulle grandi città già tendenzialmente progressiste, ma cercando di sgranocchiare voti ai conservatori là dove la maggioranza dem è più risicata o, spesso, totalmente inesistente. E dove il voto degli uomini, specialmente tra le comunità afroamericane e ispaniche, potrebbe risultare decisivo. Secondo diversi sondaggi, il prossimo 5 novembre, Trump sembra destinato a diventare il candidato presidente repubblicano con il maggior numero di preferenze tra le minoranze della storia recente del Paese. E su questo, a incidere, potrebbe essere un numero inusualmente alto di giovani ragazzi a suo supporto. Come se lo spiega, Clinton? «Perché sono travolti da un vortice di disinformazione che racconta loro realtà parallele su chi lui (Trump, ndr) sia e racconta finte verità», dice al CdT. «E soprattutto, influenza i più giovani con meno memoria storica».

Divisi da binari

Basta in effetti parlare con il pubblico che ha ascoltato Clinton a Wilson, una vasta maggioranza dei presenti era afroamericano, per capire che l’ex presidente non sia il solo a pensarla così. Maurice Barnes è il reverendo della Calvary Presbyterian Church, a poche decine di metri dal luogo in cui Clinton è intervenuto. E nello spiegare quali siano le necessità della comunità che serve – «sviluppo economico, senza alcun dubbio» – parla dell’istruzione e della conoscenza del passato come strumento di voto. «Se i più giovani tornassero indietro e leggessero cosa la nostra comunità ha dovuto affrontare e i progressi che abbiamo fatto grazie ai democratici, queste sacche di preferenze per Trump non ci sarebbero», dice. «Dobbiamo lavorare in questo senso e abbiamo poco tempo». La zona della città da cui Clinton parla non è casuale: Wilson, come tante altre località d’America, è stata vittima dell’epoca in cui il razzismo lo si praticava tramite le infrastrutture, usando la costruzione di ferrovie e strade statali nel mezzo delle città per separare la comunità bianca da quella afroamericana e sviluppando tutti i progetti più innovativi – parchi, scuole, servizi – solo nelle aree vissute dalla prima. La chiesa di Barnes si trova proprio al di là dei binari che hanno tranciato in due Wilson, nella parte più povera e spesso dimenticata dalla storia. Ed è qui che Clinton si è presentato. «Il messaggio è che siamo tutti parte della stessa comunità», dice il reverendo, riprendendo proprio la retorica dell’ex presidente. «Tutti hanno diritto a un’opportunità».

Fattore misoginia?

C’è un altro aspetto di cui si parla meno del 2016, che però potrebbe essere ancora decisivo a novembre, specialmente in stati tendenzialmente più moderati come il North Carolina: la misoginia nei confronti di Kamala Harris. Quando il CdT ne chiede conto a Bill Clinton, l’ex presidente ha appena finito un altro stop elettorale a Fayetteville, questa volta in un’area tendenzialmente più progressista a un’ora da Wilson, dove il confine tra contesto urbano e rurale è sottilissimo. Quando si menziona il nome Hillary, Clinton cambia volto. Si irrigidisce. Possibile che Harris perda voti a destra e a sinistra solo perché donna? «In una certo modo sì – dice – anche se contro Hillary era più diretta e cattiva, mentre la misoginia verso Kamala è più subdola». Poi all’attacco va lui: «Te la ricordi la faccenda delle mail? Si è rivelata tutta una ciarlatana falsità ma lo si sapeva: serviva solo per attirare l’attenzione contro Hillary. Con Harris manca un episodio così eclatante ma le sfumature persistono». Lucy, una donna sulla settantina che aiuta i dem a coordinare gli eventi elettorali in questa zona, da poco trasferitasi in North Carolina dalla Virginia, concorda. «Non riesco a tenere il conto di quanti gruppi ‘‘donne per Kamala’’ ci siano anche qui nello stato ma non so se tutto questo basti», spiega. «C’è entusiasmo ma non abbiamo un’idea di come questo possa tradursi in voto». Per capire meglio lo stato della corsa elettorale quindi, qui dove solamente Barack Obama è riuscito nell’impresa di vincere negli ultimi quarant’anni da candidato dem, nel 2008, forse bisogna tornare proprio a Wilson, dal reverendo Barnes. Che dice: «C’è una crescente sensazione che Kamala abbia un’opportunità di vincere ma le vibrazioni non sono ancora le stesse di allora, con Barack». Una cosa però sembra certa: «Ci crediamo certamente un po’ più di quattro anni fa».

Il voto anticipato sorride ai repubblicani

Non solo la battaglia dei poster elettorali: che il North Carolina possa decidersi sul filo del rasoio emerge anche dai sondaggi. Secondo le medie FiveThirtyEight, Trump è avanti a Harris di appena 0,5%, ben al di sotto di qualsiasi margine d’errore. E le ultime rilevazioni AtlasIntel e Quinnipiac University mostrano Harris in vantaggio, di 2 e 3 punti rispettivamente. Sembrerebbe esserci un motivo per cui Harris appaia così competitiva: l’influenza della campagna elettorale per eleggere il nuovo governatore dello stato, in cui il democratico Josh Stein sta dominando sul candidato repubblicano Mark Robinson. Attuale vicegovernatore, afroamericano, Robinson è stato abbandonato da molti nell’apparato repubblicano locale dopo una serie di scandali. Per ultimo, avrebbe postato su un sito pornografico commenti e post razzisti ed estremi, tra cui «I’m a black NAZI» e auspicando il ritorno della schiavitù. Molti membri del suo staff si sono dimessi in segno di protesta ma lui ha resistito a un passo indietro, aprendo praterie elettorali potenzialmente enormi per i democratici. Dovesse il voto disgiunto non essere così significativo, Harris ne uscirebbe favorita. E con il Michigan in bilico, i 16 grandi elettori del North Carolina potrebbero diventare sua áncora di salvezza.

Partecipazione record

Anche Donald Trump ha da sorridere, però. Le procedure di voto anticipato si sono aperte la settimana scorsa nello stato e un numero record di elettori si è presentato alle urne, anche nell’area occidentale strapazzata dall’uragano Helene qualche settimana fa. I numeri del voto anticipato per i repubblicani, in questa prima fase, sembrano essere molto, molto più positivi del 2020 in termini di partecipazione, non solo in North Carolina ma in tutti gli stati chiave. Dovessero confermarsi da qui a novembre, Trump potrebbe finire davanti anche con margini più ampi dei sondaggi oggi in circolazione.