Violenza domestica, la terapia al posto della detenzione preventiva

«Non me la sono sentita di separarmi da mio marito per paura che mi portasse via i bambini». È la spiegazione di una mamma 32.enne vittima di violenza domestica rivoltasi al consultorio per donne BIF («Beratungsstelle für Frauen») di Zurigo. Di ragioni come questa sia le organizzazioni di aiuto a chi subisce maltrattamenti dal partner sia le autorità cantonali ne sentono parecchie. Di casi di violenza fra coniugi ne emergono sempre di più. Eppure la metà delle volte la vittima sceglie di ritirare la denuncia. Per risolvere la situazione il Cantone ha deciso di cambiare strategia, puntando sulla terapia preventiva, piuttosto che sulla repressione.
Tredici interventi al giorno
Ogni giorno i corpi di Polizia del cantone devono intervenire in media 13 volte per casi di violenza domestica. E il numero di vittime che cercano sostegno presso i consultori zurighesi stanno aumentando: dalle cifre fornite dal BIF, nel 2018 nel cantone ne sono state registrate 10.890, 2.000 in più rispetto al 2015. Una tendenza confermata peraltro in tutta la Svizzera (dalle circa 34.000 consultazioni del 2015 si è passati alle quasi 39.000 del 2017).
Eppure nel cantone le persone (la maggioranza delle vittime sono appunto donne) che scelgono di ritirare le accuse nei confronti dei partner violenti prima che la giustizia possa intervenire con una sanzione sono molte. Per la precisione la metà di quelle che hanno posto denuncia, come mostra uno studio presentato a fine gennaio. «La maggior parte delle donne non vuole che gli uomini siano puniti. Vogliono semplicemente che la violenza si fermi», spiega Jaqueline Fehr, direttrice del Dipartimento zurighese di giustizia. Questo soprattutto per paura delle conseguenze finanziare e familiari di una sanzione o di una separazione. In realtà queste vittime finiscono poi spesso per venire maltrattate nuovamente: nel giro di un anno ogni quarto aggressore si confronta di nuovo con la Polizia. Il 61% di questi già entro tre mesi dall’ultimo alterco.
Cambio di paradigma
Ma visto che l’obiettivo finale non è punire il più possibile - benché resti una misura fondamentale -, ma è diminuire le aggressioni, «il nuovo mezzo per raggiungere lo scopo è un programma terapeutico». Un programma chiamato «Unione domestica senza violenza» («Partnerschaft ohne Gewalt»), con cui gli autori delle violenze vengono obbligati a svolgere un lavoro su loro stessi «per uscire dalla spirale negativa in cui si trovano». Si tratta, più concretamente, di «una terapia comportamentale tramite la quale gli aggressori vengono aiutati a riconoscere quando rischiano di diventare violenti e quindi a trovare metodi per fermarsi in tempo e sfogare la propria rabbia in altri modi. Ad esempio uscendo di casa».
Una prassi collaudata
Tali tecniche, ci spiega la procuratrice Corinne Kauf, si sono già dimostrate efficaci nelle carceri. Uno studio di valutazione sull’utilità di questo approccio sta per essere pubblicato. «Ora la novità sta nel proporle non solo alla fine di un periodo di detenzione, bensì al posto della custodia cautelare nell’ambito di un’indagine per violenza domestica». Le misure, beninteso, sono obbligatorie. L’alternativa è, appunto, il carcere preventivo. «Di bacchette magiche non ne esistono», aggiunge ancora Jaqueline Fehr, «ma anche i consultori per le vittime sostengono questo strumento».
Le nuove disposizioni, aggiunge Kauf, sono legate all’entrata in vigore, nell’aprile dell’anno scorso, della Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica (o Convenzione di Istanbul, il primo strumento vincolante a livello europeo per tutelare le donne da qualsiasi forma di violenza, compresa quella domestica). Anche se, dice la procuratrice, il risultato dello studio cantonale avrebbe probabilmente portato alle stesse nuove disposizioni.
Altri sostegni in arrivo
Che il numero di segnalazioni ai consultori aumenti è anche un segnale che il lavoro di sensibilizzazione degli ultimi anni sta dando i suoi frutti, e che la violenza domestica viene sempre meno tollerata, aggiunge Fehr. Nell’ambito della Convenzione di Istanbul il Cantone ha previsto anche un maggiore sostegno finanziario alle organizzazioni che aiutano le vittime (dagli attuali 6 milioni all’anno si passerebbe a 7,5). In questo modo sarebbe possibile professionalizzare ulteriormente i consultori che si devono appoggiare a volontari e donatori. Non da ultimo, l’Esecutivo zurighese ha deciso di proteggere meglio le vittime di stalking: con una nuova norma che sarà proposta in primavera al Parlamento cantonale, l’Esecutivo vorrebbe un divieto di contatto o avvicinamento della vittima anche se questa non è o non è mai stata in una relazione con il suo persecutore. Attualmente le vittime di stalking possono contare su misure di questo tipo solo in caso di rapporto presente o passato con la persona che le insegue.