«Violenza domestica, necessario un cambiamento culturale»
La cronaca di questi giorni ce lo ha ricordato in tutta la sua drammaticità: la violenza domestica, in particolare quella sulle donne, è un problema individuale ma anche sociale. Non si potrebbero spiegare altrimenti, certi numeri. Il Cantone prova, di fronte a questo scenario, a fare quadrato e a offrire alcune risposte. Questa mattina, a Bellinzona, è stato presentato il bilancio annuale del Piano d'azione cantonale sulla violenza domestica. «Insieme contro la violenza domestica». Quel concetto, «insieme», è stato ribadito più volte, da Norman Gobbi, ma anche dagli altri relatori, nell'occasione Frida Andreotti, direttrice della Divisione della giustizia, Monica Bucci, aggiunta alla direttrice, e Mattia Lepori, in rappresentanza dell'EOC, di cui è vice capo dell'area medica.
Lo stesso consigliere di Stato lo ha detto chiaramente: «La violenza domestica è un fenomeno preoccupante, strutturale e trasversale che riguarda tutta la società». Da qui, l'intervento accresciuto da parte delle autorità. Una risposta, insomma, a un problema che esiste e che viene riconosciuto nella sua complessità. Tornando alla cronaca, è facile capire da dove proviene questa complessità. È facile spiegarla, ma non affrontarla. In questo senso, Gobbi ha insistito sul concetto di «consapevolezza». Accrescere la consapevolezza proprio per riconoscere i rischi, i pericoli. Da noi interrogato, ha parlato della necessità di un «cambiamento culturale». «Va cambiato il rapporto interpersonale, tra generi. Ed è importante veicolare il cambiamento culturale sin dalla scuola. Ecco perché il progetto coinvolge anche il DECS. C'è un problema, ma le istituzioni ci sono, sono pronte a rispondere e a supportare le vittime».
Sono stati presentati anche i numeri del 2022. Numeri drammatici, è chiaro. Ma numeri che non siamo mai pronti ad ascoltare, e infatti ci sorprendono ogni volta. In Svizzera sono stati commessi, lo scorso anno, 19.978 reati in ambito di violenza domestica: 25 omicidi (il 59,5% degli omicidi consumati registrati dalla polizia), 61 tentati omicidi, 123 lesioni gravi, 2.167 lesioni semplici, 6.497 vie di fatto. Circa il 40% di tutti i reati di violenza registrati dalla polizia è classificato come violenza domestica. Nel 70,2% dei casi la vittima è donna, nel 29,8% dei casi è uomo, «perché spesso in questi casi le figure si confondono», come sottolineato da Frida Andreotti. E in Ticino la musica non cambia: 652 infrazioni in ambito familiare, in massima parte lesioni semplici, minacce o ingiurie, 983 interventi di polizia per arginare episodi di violenza domestica e proteggerne le vittime.
Il piano d'azione cantonale però offre risposte giudicate efficaci e convincenti, a partire dalla sua attuazione, due anni fa (era il novembre del 2021). Si basa, come già stato spiegato, su quattro assi d'intervento: prevenzione, protezione, perseguimento e politiche coordinate. Si parla di 80 misure previste, 60 delle quali già attivate e divenute strutturali, mentre le restanti 20 sono in fase di sviluppo. Molto fa l'informazione. E allora, dal 25 novembre al 10 dicembre si terrà, per la seconda volta nel cantone, la campagna mondiale denominata «16 giorni di attivismo contro la violenza di genere», coordinata dalla Divisione della giustizia. Sabato, appunto il 25 novembre, a Bellinzona è prevista la giornata cantonale per la lotta alla violenza domestica, dalle 8.30 alle 18 in Piazza Nosetto, nella corte del Palazzo civico e a Palazzo delle orsoline.
Ma alla conferenza stampa era presente anche Mattia Lepori, un dottore. Una presenza che si spiega con il coinvolgimento diretto del personale medico, il quale spesso si trova coinvolto in prima linea nel riconoscere episodi di violenza domestica. Purtroppo però, come sottolineato proprio da Lepori, l'articolo 68 della Legge sulla promozione della salute e il coordinamento sanitario è recentemente stato depotenziato. Ogni operatore era tenuto (obbligato!) a informare il dipartimento e il medico cantonale di qualunque fatto che potesse mettere in pericolo la salute pubblica. Ora tutto passa dal consenso della vittima di violenza. Da quando è cambiato questo passaggio, solo il 35% dei casi ha potuto essere segnalato alla Magistratura. Un numero che risulta comunque più alto rispetto alla media degli altri cantoni, ma inferiore - e di gran lunga - al 95% che si registrava prima della modifica dell'articolo in questione. Ecco perché il cambiamento culturale, pur frenato da astruse complicazioni legali, deve rimanere una priorità. Una necessità.