Violenze in corsia, in Ticino ci sono 30 casi al mese

Pazienti che si scagliano contro medici e infermieri, familiari che pretendono informazioni e non disdegnano le maniere brusche. Impiegati presi a male parole. Gli ospedali e le strutture sanitarie sono ormai sempre più spesso teatro di situazioni al limite. Anche in Ticino. Dove sono in costante crescita le violenze in corsia, espressione che - forse in modo sommario, ma efficace - riassume ciò di cui stiamo parlando.
Nei soli presìdi dell’Ente ospedaliero cantonale (EOC), conferma al Corriere del Ticino la capo area di supporto, Adriana Degiorgi, si registra «una media di 25-30 casi ogni mese, di gravità differente».
In gran parte, spiega la dirigente dell’EOC, si tratta di «violenze verbali, di cui sono vittime sia gli operatori sanitari sia il personale amministrativo a contatto con il pubblico». Ma non mancano vere e proprie aggressioni, «soprattutto nei pronto soccorso e in alcuni reparti come geriatria. Un fenomeno - dice Degiorgi - che noi comunque monitoriamo costantemente».
Tendenza sociale
La maggiore aggressività è una tendenza sociale alla quale gli ospedali ticinesi, quindi, non riescono a sfuggire. Le proporzioni di questa tendenza non sono forse allarmanti come in altri contesti e in altri Paesi, ma non possono nemmeno essere sottovalutate. Anche perché, come detto - soprattutto dopo la pandemia - appaiono in aumento. Proprio in conseguenza di questa accresciuta violenza, dice ancora Adriana Degiorgi, «abbiamo messo in atto alcune iniziative. Tra queste, corsi di formazione continua, organizzati ormai da un anno e finalizzati a dare ai nostri collaboratori strumenti per affrontare meglio i momenti di rischio. Il focus è puntato sulla capacità di riconoscere immediatamente le situazioni che stanno per degenerare, e agire di conseguenza».
Una volta finita l’emergenza Covid, dice ancora la dirigente dell’EOC, «abbiamo prediletto l’approccio di ospedale aperto non limitando l’ingresso alle strutture, considerando una maggiore regolamentazione degli accessi, che potrebbe essere percepita come limitazione delle libertà individuali, quale eventuale ultima ratio. A tutela della sicurezza degli operatori, dalla fine del 2022 sono state avviate altre azioni: il rafforzamento dei servizi di vigilanza esterna con la presenza di addetti alla sicurezza nei pronto soccorso dei due ospedali più grandi e la messa in funzione di un sistema rapido ed efficace per la richiesta di aiuto in reparto» (dal punto di vista operativo, nelle varie strutture dell’EOC gli operatori sanitari che si trovano a dover gestire situazioni complesse o a rischio, possono chiamare un numero di emergenza interno attivo 24 ore al giorno, 7 giorni su 7, ndr). Non solo: «Quando abbiamo pazienti o degenti particolarmente problematici, viene garantita sempre la presenza di personale addetto alla sicurezza in reparto».
Campagne verso gli utenti
Forte sostegno ai propri collaboratori, quindi, ma anche campagne di sensibilizzazione rivolte ai pazienti e ai loro familiari. «Sul solco dell’iniziativa pilota “ospedale gentile”, che da Locarno si sta estendendo a tutto l’EOC, siamo partiti con una campagna specifica al San Giovanni di Bellinzona - dice ancora Adriana Degiorgi - sono previste iniziative anche nelle altre strutture acute. Il nostro è un invito al dialogo, alla gentilezza». L’obiettivo, ancora una volta, è favorire un clima di collaborazione, creare insomma le migliori condizioni possibili di lavoro.
Altre due questioni, in ogni caso, restano aperte. Due temi dei quali, forse, non si discute abbastanza. Il primo, spiega la dirigente dell’EOC, è «la violenza mediatica. Osserviamo che sui social sono pubblicati sempre più spesso insulti e offese rivolte ai nostri collaboratori e alle strutture nel loro insieme. Non mancano post in cui si fanno nomi e cognomi, situazioni che talvolta ci hanno spinto a fare segnalazioni specifiche alle piattaforme social».
Il secondo è il delicato aspetto della querela penale. Nei casi di violenza, in particolare fisica, e quando non ci sono i presupposti per la procedura d’ufficio, spetta sempre alla vittima adire l’azione di fronte al magistrato. «I nostri collaboratori sanno che, in situazioni del genere, siamo pronti a dare loro sostegno psicologico e anche supporto negli eventuali passi formali - conclude Degiorgi - Lo facciamo pure nella consapevolezza che l’impatto emotivo delle violenze è sempre molto forte. È già successo. E continueremo a farlo».
L’argine della formazione
Il tema delle violenze in corsia non tocca soltanto le strutture pubbliche. Lo conferma al CdT il direttore sanitario delle cliniche Moncucco, Christian Camponovo, secondo il quale «una tendenza generalizzata a una maggiore aggressività sociale si riscontra, purtroppo, anche nei pazienti o nei loro familiari. Le aggressioni fisiche, in realtà sono eccezioni abbastanza rare, prevalgono l’insulto, la veemenza verbale e caratteriale».
Come nel pubblico, così nel privato l’argine iniziale a situazioni di rischio è la formazione specifica del personale. «Noi abbiamo sempre deciso di evitare l’introduzione di altre misure, che potrebbero rivelarsi controproducenti o essere motivo ulteriore di tensione - sottolinea Camponovo - Non abbiamo quindi una presenza regolare di addetti alla sicurezza, puntiamo soprattutto sulla prevalenza del buon senso».
Sicuramente, dice ancora il direttore sanitario delle cliniche Moncucco, «sembra evidente come le persone siano meno pronte o disposte ad accettare che qualcosa non funzioni come si vorrebbe. Di fronte a un intoppo, a qualcosa che contraddice le attese, scatta una reazione, talvolta non controllata. Non so perché, ma dopo il Covid questa situazione mi sembra sia peggiorata». E a motivo di ciò, dice ancora Camponovo, «si fa anche più fatica a trovare il personale chiamato a stare a contatto stretto con i pazienti. Non deve quindi stupire se ci sono sempre meno giovani disponibili a fare l’infermiere o l’operatore socio-sanitario».
Nel Comasco quest’anno 440 segnalazioni
E oltrefrontiera? Come se la passano gli ospedali delle province italiane limitrofe? Piuttosto male, a quanto sembra. Nel 2024, nelle sole strutture sanitarie dell’ASST Lariana, i casi di violenza in corsia sono stati quasi 440. Di questi, ben 75 sono poi sfociati in un’azione penale.
A confermare il dato è Giuseppe Callisto, segretario generale della CGIL Funzione pubblica di Como. «A livello territoriale - dice Callisto al CdT - è attivo un tavolo tecnico sulla sicurezza che però, dall’inizio dell’anno a oggi, si è riunito una sola volta. A conferma del fatto che il problema, pure riconosciuto, non viene affrontato come si dovrebbe da parte delle autorità sanitarie». Le cause di questa esplosione di casi, secondo il dirigente sindacale comasco, sono molteplici. «Sicuramente - dice - pesano le carenze d’organico, le quali incidono inevitabilmente sul ritardo nelle risposte ai pazienti o ai familiari». Il fatto che si sia arrivati a numeri così elevati, insiste Giuseppe Callisto, «è la conseguenza dei sempre minori investimenti nella sanità. Troppo a lungo i pronto soccorso sono stati considerati quasi superflui, così come i medici di base. Oggi in questi reparti non c’è sufficiente personale, per coprire i turni si ricorre ai cosiddetti “gettonisti”. Il risultato è una inevitabile mancanza di continuità assistenziale. Il dato più triste è che la politica ha scelto di perseguire il modello della finanziarizzazione della sanità, finendo con lo smantellare e rendere inefficiente un intero sistema».