Willem Dafoe: «Fare Dio è davvero molto faticoso»

Occhi azzurri, la mascella quadrata e un viso spigoloso, ma sensibile, da soldato, o da santo, Willem Dafoe, attore americano di teatro approdato al cinema, si è fatto onore negli anni’80, prima con Platoon di Oliver Stone, sergente nelle jungle del Vietnam; poi nei panni di Gesù in L’ultima tentazione di Cristo di Martin Scorsese e da quel momento in poi, con quella sua «faccia un po’ così» lo abbiamo visto calarsi nei ruoli più iconici e interessanti del cinema americano ed europeo: dal super eroe cattivo, a Van Gogh, dal poliziotto, al vampiro, al detective sino ad arrivare, in Povere Creature! di Yorgos Lanthimos (2023) ed interpretare «God», Dio, ossia il dottor Godwin Baxter, lo scienziato, creatore di Bella, la protagonista. E mentre la sua stella brilla già a Los Angeles sulla Hollywood Walk of Fame, lo abbiamo incontrato di nuovo, sempre newyorkese nell’anima, ma con cittadinanza italiana e una casa nella campagna romana e, Willem Dafoe, sessantotto anni, si è raccontato con la solita grazia e ironia durante la presentazione di Povere Creature! che dopo aver mietuto consensi alla cerimonia per i Golden Globes ed essersi candidato ad un ruolo daprotagonista alla prossima assegnazione degli Oscar (11 le «nomination» raccolte), in questi giorni è arrivato sugli schermi ticinesi.
«Fare “Dio” è sicuramente faticoso», ha esordito scherzando Dafoe. «Infatti dovevo alzarmi alle tre di notte per affrontare le quattro ore di trucco necessarie per essere trasformato, con tanto di protesi e cicatrici, in questo geniale scienziato aperto e generoso creato da Yorgos Lanthimos. Ma questa lunga preparazione mi aiutava enormemente ad entrare nel personaggio. Infatti mentre vedevo nello specchio i miei tratti sparire e il Dottor Godwin cominciare a palesarsi, mi sentivo libero di assumere la sua identità, diventavo l’uomo immaginato dal regista senza remore e con grande soddisfazione. Inoltre la sera mi ci volevano altre due ore per spogliarmi di quel trucco, e lasciare “God” nel camerino per il giorno dopo».
Ma come Dafoe ci ha spiegato, girare Povere Creature! è stata un’esperienza affascinante, infatti i set erano stati disegnati e costruiti in ogni dettaglio: «Nelle pause di lavorazione di solito vado nella mia roulotte, ma stavolta mi piaceva rimanere a curiosare in casa Baxter, la “mia” casa – ci ha confessato – perché era perfetta, comoda e bellissima, come la si vede nel film. Ad esempio i cassetti degli armadi, tutti i mobili contenevano le cose che per il Dottor Godwin erano importanti; la libreria era piena di libri veri e se ne prendevi in mano uno a caso, ti ritrovavi a leggere brani di trattati medici che parlavano di operazioni, o teorie scientifiche legate alla storia del film».
Yorgos Lanthimos aveva iniziato a lavorare al progetto di Poor Things prima ancora di girare La Favorita (2018) con Emma Stone che, quando venne a sapere di Bella e delle sue avventure, decise d’interpretarla e di diventare produttrice del film. «Emma è stata fantastica. Lavorando con lei ci si rendeva conto quanto il progetto di “Povere Creature” fosse stato studiato nei minimi particolari da Yorgos e portato avanti con intelligenza e determinazione da Emma che ha un rapporto speciale con Yorgos: non è solo una sorta di musa, ma anche una performer straordinaria. Grazie al suo talento il film è così coinvolgente», continua Dafoe. «Noi nelle varie scene, seguiamo il suo ritmo, giriamo intorno a Bella sostenendola, ma è lei che conduce la danza!».
Dopo quest’esperienza Willem Dafoe e Emma Stone si sono ritrovati anche sul set del nuovo film di Yorgos Lanthimos, dal titolo Kind of Kindness, una storia ad episodi, appena finita di girare e allora viene spontaneo chiedergli come sia questo regista di film brillanti, dove s’intrecciano femminilità e psicologia: «È una persona molto riservata, parla poco e ha un modo di preparare il film che mi ricorda quando ero a teatro», confessa l’attore. «Ad esempio una settimana prima di girare Povere Creature! ci ha riunito per leggere il copione. Tuttavia era soprattutto un modo per vederci insieme: Mark Ruffalo, Raimy Youssef, Emma Stone ed io, perché si creasse tra di noi una certa complicità e per questo mentre noi leggevamo lui ci prendeva in giro, ci punzecchiava con commenti ironici. Ma in effetti ha funzionato e senza tanti discorsi abbiamo assorbito la personalità del film e quella giocosità che è la chiave con la quale racconta anche concetti molto seri».
Interpellato su quale fosse il segreto della sua lunga e sempre più impegnata carriera che, ad oggi, conta più di centocinquanta film e lo porta spesso a lavorare più volte con uno stesso regista – da Oliver Stone, a Sam Raimi, Paul Schrader, Abel Ferrara, Wes Anderson, solo per citarne alcuni – Willem Dafoe risponde ridendo: «Roma è al centro del mondo ed io sono facile da raggiungere!». Sarà per questo che lo rivedremo anche nell’atteso Beetlejuice 2 di Tim Burton, nei panni di un detective dell’aldilà dove userà al meglio il suo talento trasformista e quel suo viso, così particolare che, come ci confidò anni fa ridendo: «Ho solo io! L’ho scoperto alla metà degli anni ’90, una notte nella metropolitana di New York, accompagnando mio figlio a casa. Era tardi, speravo di non fare brutti incontri, ma un gruppo di ragazzi prese a fissarci sempre meno amichevole. Ero preoccupato. Finché sentii uno di loro sussurrare a quello che gli stava accanto: “Pensi che sia lui?” E l’altro senza togliermi gli occhi di dosso: “Con quella faccia, chi altri vuoi che sia?”».