L'editoriale

A Lugano basi solide per la rinascita di Kiev

Il segnale indiretto lanciato dalla Conferenza di Lugano alla Russia è chiaro: la comunità degli Stati democratici non abbandonerà l’Ucraina al suo destino
Osvaldo Migotto
06.07.2022 06:00

A Lugano il sipario si è chiuso sulla conferenza internazionale di due giorni dedicata alla ricostruzione dell’Ucraina. Alla fine, come ha notato qualche voce critica, sulle rive del Ceresio non è stato annunciato nessun piano Marshall per la ricostruzione dell’ex Repubblica sovietica. Tuttavia alle persone dalla critica facile e gratuita va ricordato che non era questo lo scopo della conferenza. Lo scorso 20 giugno, presentando gli obiettivi del summit internazionale sull’Ucraina, il presidente della Confederazione Ignazio Cassis aveva precisato che «sarà un successo se gli Stati e le istituzioni internazionali riusciranno a condividere un piano di ripartenza con principi vincolanti». E così alla fine è stato. I numerosi protagonisti della comunità internazionale intervenuti all’importante evento hanno infatti condiviso i sette punti (si vedano i dettagli a pagina 2) che fungeranno da solida base per la rinascita dell’Ucraina una volta terminata la guerra. Al Governo di Kiev viene assicurata la guida dei lavori di ricostruzione e ammodernamento del Paese devastato dall’invasione russa, ma nella Dichiarazione di Lugano viene anche sottolineato che gli Stati e le istituzioni che contribuiranno al finanziamento dell’imponente opera di rilancio dell’Ucraina avranno un ruolo di monitoraggio per assicurarsi che gli aiuti internazionali vadano a buon fine. Per dirla in soldoni, il Governo Zelensky che finora ha mostrato di saper gestire al meglio le limitate forze e mezzi a disposizione per contrastare l’invasione russa, al termine del conflitto dovrà fare in modo che il suo Paese prosegua sulla via della lotta alla corruzione e del rispetto dello stato di diritto. Solo in questo modo gli aiuti e gli investimenti della comunità internazionale potranno dare risultati tangibili per l’intera popolazione ucraina. Quanto territorio ucraino resterà sotto il controllo di Kiev al termine del conflitto non è dato sapere. Ad ogni modo il segnale indiretto lanciato dalla Conferenza di Lugano alla Russia è chiaro: la comunità degli Stati democratici non abbandonerà l’Ucraina al suo destino. Se Mosca sta devastando intere città senza risparmiare civili, edifici scolastici e ospedali i Paesi che credono nel rispetto dei diritti umani e del diritto internazionale non guarderanno da un’altra parte. Al contrario, esprimeranno tutta la loro solidarietà allo Stato aggredito, sia nell’immediato che nel futuro. 

Onore dunque alla Svizzera e al presidente della Confederazione per aver mantenuto la Conferenza sull’Ucraina, già programmata prima che la Russia lanciasse la sua folle invasione del Paese «fratello». Va infatti ricordato che tale impegno internazionale era già stato messo in agenda nell’ambito delle «Conferenze sulle riforme in Ucraina». Un appuntamento annuale che consente al Governo di Kiev di presentare un bilancio delle riforme avviate nel Paese. Con lo scoppio della guerra, però, come ha ricordato Cassis, la Conferenza ha preso tutta un’altra ampiezza. Berna e anche Lugano hanno mostrato un grande impegno nel garantire la sicurezza e la riuscita dell’incontro internazionale. I sette punti della Dichiarazione di Lugano fissano chiari paletti per un lungo percorso costellato da numerose incognite, a cominciare dall’esito e dalla durata del conflitto. Sappia il Cremlino che mentre a Mosca vi è chi pianifica invasioni e distruzioni inseguendo sogni imperiali, in Europa vi è chi non è disposto a mostrarsi passivo di fronte a tanta brutalità. A Lugano sono state poste basi solide per la rinascita di Kiev, la prossima tappa ci porterà in Germania dove tra pochi mesi il Governo di Olaf Scholz intende organizzare un’altra conferenza dedicata alla raccolta di fondi per la ricostruzione.  

In questo articolo: