L'opinione

«Ciò che non siamo, ciò che non vogliamo»

Mattia Morini, candidato in Consiglio nazionale GLRT
Red. Online
05.10.2023 17:02

Così recita una celebre poesia di Montale, nota figura della letteratura di lingua italiana, rendendoci consapevoli sul fatto che spesso per l’uomo è più semplice sapere cosa non vuole rispetto a quello che vuole. Potremmo avvalerci di questa metafora anche per l’ormai defunto Accordo quadro istituzionale.

Riavvolgiamo un po’ la matassa: nel 2014 Svizzera e UE avviano dei negoziati per discutere un accordo per consolidare la via bilaterale che a fine 2018 sfociano in una bozza su carta. Negli anni successivi la Confederazione, come giustamente vuole il nostro sistema, coinvolge partiti e diversi attori in numerose consultazioni che terminano però con un parere negativo.

È così che il 26 maggio 2021 il Consiglio federale, a seguito di diversi tentativi che si sono scontrati con il muro di Bruxelles, decide di affossare l’accordo a causa di “divergenze sostanziali tra le parti in alcuni settori chiave”, ovvero quelli che trattano della libera circolazione dei cittadini UE, della protezione dei salari e degli aiuti di Stato.

Ammettiamolo: se il Consiglio federale avesse sottoposto a votazione popolare un accordo a queste condizioni, potendo immaginare l’esito delle urne, molti partiti ne sarebbero usciti sconfitti. E visto che a nessuno piacciono i suicidi politici, ecco che la strada meno dolorosa è stata quella di sacrificare l’accordo quadro in nome del buon senso.

Questo perché la maggior parte degli attori politici ed economici elvetici (partiti, sindacati, gruppi d’interesse,…) erano contrari a questo accordo perché erano certi di alcuni principi: non vogliamo allentare la nostra politica migratoria, non vogliamo dover eliminare le misure di accompagnamento, non vogliamo rinunciare agli aiuti di stato nel nostro paese.

Già, ma che cosa vogliamo?

Ottima domanda, alla quale come Paese non sappiamo ancora rispondere. L’attenzione della nostra politica estera è ormai focalizzata sulla guerra in Ucraina e abbiamo purtroppo lasciato in secondo piano la nostra importante relazione bilaterale con l’Unione Europea. Ma attenzione, perché è sicuro che prima o poi Bruxelles tornerà a bussare alla porta di Berna e questa volta con ancora meno pazienza di prima.

Nella prossima legislatura è quindi certo che la tematica tornerà alla ribaltà ed è per questo che esorto i nostri futuri rappresentanti a pensare fin da ora a cosa dire quando apriremo quella porta.

Siamo i migliori rappresentanti dell’arte del compromesso e dunque, prima di mandare un nuovo negoziatore a Bruxelles, sediamoci tutti ad un tavolo e decidiamo cosa noi vogliamo.

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