Il commento

Asilo a Rovio e altrove: le tre cose che non vanno

Il caso dei quaranta migranti che verranno trasferiti al Park Hotel di Rovio, con la popolazione in fermento e il sindaco di Val Mara che accusa il Cantone di non aver avvisato per tempo il Comune, riporta prepotentemente sul tavolo almeno tre problemi legati alla gestione di queste situazioni e alla discussione pubblica che si sviluppa attorno a esse
Giuliano Gasperi
13.03.2025 06:00

No, non ci siamo proprio, sotto vari punti di vista. Il caso dei quaranta migranti che verranno trasferiti al Park Hotel di Rovio – con la popolazione in fermento e il sindaco di Val Mara che accusa il Cantone di non aver avvisato per tempo il Comune – riporta prepotentemente sul tavolo almeno tre problemi legati alla gestione di queste situazioni e alla discussione pubblica che si sviluppa attorno ad esse. Potremmo riassumerli così: persone, rapporti, comunicazione. Il primo è il più importante, perché riguarda il diritto che abbiamo tutti di essere riconosciuti e trattati come esseri umani, ognuno con la propria storia e dignità. Le persone – appunto – destinate a Rovio sono migranti la cui domanda d’asilo è stata accettata e che quindi – lo dice la legge – hanno il diritto di cominciare un percorso d’integrazione in Ticino. Che poi questo percorso si sviluppi in modo positivo o negativo, dipende innanzitutto dalle condizioni quadro create dallo Stato – che su questo aspetto potrebbe fare di più, ad esempio coinvolgendo maggiormente gli asilanti in varie attività a servizio della comunità – ma anche dalla volontà dei profughi stessi e da come verranno accolti dalla comunità che li attende. L’apprensione o in certi casi la paura per il loro arrivo sono sentimenti umani, ma non possono innescare un giudizio a priori senza nemmeno sapere a chi lo si sta rivolgendo. E soprattutto senza sapere davvero il perché. Fra chi non sa, o meglio non sapeva, c’è il Municipio di Val Mara, che della collocazione dei migranti non è stato informato né dai proprietari del Park Hotel, né dal Dipartimento della sanità e della socialità. Che l’autorità comunale venga scavalcata in questo modo da quella cantonale – e siamo al problema dei rapporti – è semplicemente una follia politica, soprattutto in un sistema federale come il nostro. Intendiamoci: i funzionari dell’Ufficio dei richiedenti l’asilo e dei rifugiati hanno un compito davvero arduo. Prima devono trovare alloggi liberi che soddisfino determinati criteri d’idoneità, poi devono quasi sempre fare i conti con malumori e reazioni locali. Muoversi a fari spenti e chiudere accordi in segreto non è però una soluzione. Si può obiettare che se il Cantone coinvolgesse in anticipo i Comuni, questi potrebbero fare pressione sui privati disposti ad accogliere i profughi, oppure trovare altri modi per bloccare il loro arrivo. Questione di tattica, insomma. Sarà, ma preferiamo un Cantone che affronti il tema a viso aperto e con personalità, ricordando a tutti che esistono dei diritti umani e dei doveri civici. Come giustamente faceva notare il sindaco di Luino Enrico Bianchi a margine del tavolo internazionale in merito a un altro progetto di accoglienza, quello di sedici migranti alla ex caserma di Fornasette, «un amministratore deve occuparsi anche di questioni problematiche, affrontandole con autorità». Un invito valido anche per il Municipio di Val Mara, pur con la massima comprensione per la posizione difficile in cui si trova. Perdonateci la frase fatta e ormai altamente inflazionata, ma ognuno deve prendersi le proprie responsabilità. Queste vanno distribuite in modo equo sul territorio – come da tempo chiede invano il Mendrisiotto – e assunte con uno sforzo collettivo che include i semplici cittadini. Anche loro, però, hanno un diritto: quello di sapere. Un diritto che ci porta al terzo problema: la comunicazione. Sul tema dei migranti si ripete il solito schema in cui sono bloccate molte istituzioni del nostro cantone: meno si dice e più tardi lo si fa, meglio è. Questa strategia speculativa potrà funzionare, forse, sul breve termine, ma prima o poi, come dimostra il caso di Rovio, i nodi vengono al pettine. E ad esser messo a rischio, alla lunga, è il rapporto di fiducia fra i cittadini e lo Stato.