L'editoriale

Berna-UE, una strada sempre più dura

Non tira una buona aria per il nuovo pacchetto di accordi bilaterali che la Svizzera sta negoziando con l’Unione europea
Giovanni Galli
05.10.2024 06:00

Non tira una buona aria per il nuovo pacchetto di accordi bilaterali che la Svizzera sta negoziando con l’Unione europea. Le parti, in realtà più Bruxelles che Berna, confidano di chiudere entro la fine dell’anno, ma nel giro di pochi giorni si sono verificati due eventi che complicano la situazione nell’ottica del dibattito interno e del successivo passaggio alle urne. Il primo è il lancio di un’iniziativa popolare «Bussola», che vuole sottoporre l’accordo, se del caso anche retroattivamente, alla doppia maggioranza di popolo e Cantoni. Il secondo è il rifiuto da parte dell’UE di una clausola di salvaguardia unilaterale da parte della Confederazione per regolare l’immigrazione. Intitolata «Per la democrazia diretta e la competitività del nostro Paese - No a una Svizzera membro passivo dell’UE», l’iniziativa costituisce una forma di pressione sul Consiglio federale anche se non ha ancora fatto il suo corso. Finora la questione della doppia maggioranza è rimasta confinata a un dibattito fra politici e giuristi. Il Consiglio federale non si è sbilanciato, riservandosi la facoltà di fare la sua proposta a tempo debito, anche se è evidente che al suo interno ci sono pareri discordanti. Ma con un’iniziativa di mezzo, la richiesta della doppia maggioranza non potrà essere ignorata. L’impatto politico è notevole, perché alzando l’asticella le chance di successo di un oggetto così controverso come quello dei rapporti con l’UE diminuiscono. Nel 1992 l’adesione allo Spazio economico europeo venne respinta d’un soffio a livello popolare (50,3% di no) ma fu nettamente avversata dai Cantoni (18 contrari). Ora, se la raccolta firme riuscisse, la presenza di una richiesta con clausola retroattiva condizionerebbe tutto l’iter. In teoria, se i nuovi accordi fossero messi in votazione prima dell’iniziativa (si parla del 2026, ma sembra fin troppo presto) e accolti solo con la maggioranza popolare, in caso di una successiva approvazione dell’iniziativa la consultazione andrebbe ripetuta. Si può immaginare che il Governo, per evitare inghippi, farà votare prima sull’iniziativa e poi sugli accordi, o proponga direttamente la doppia maggioranza. Certo, se l’iniziativa venisse approvata, il risultato suonerebbe già come una mezza sentenza. Va detto che i promotori hanno avuto anche un colpo di fortuna nella scelta di tempo, perché la posizione negativa dell’UE sulla clausola di salvaguardia in tema di libera circolazione porta acqua al loro mulino.

Internamente, questa clausola è considerata da vari esponenti politici una sorta di precondizione per le chance di approvazione popolare dell’intesa, vista l’alta sensibilità per il tema dell’immigrazione. Senza questa clausola, sarebbe ancora tutto più difficile. Ma se la Svizzera insiste nell’introdurla - se ne era accennato come controprogetto all’iniziativa dell’UDC sui 10 milioni di abitanti - Bruxelles potrebbe far saltare il pacchetto. «Un passo di troppo» viene definito nella nota consegnata martedì a Ginevra da Ursula von der Leyen alla presidente della Confederazione Viola Amherd. La libera circolazione è «sacra» e fa parte delle libertà fondamentali dell’Unione. Mai dire mai, ma finora sono sempre state precluse a terzi vie preferenziali che non sono nemmeno previste per i Paesi membri. Rispetto alla versione respinta tre anni fa dal Consiglio federale, i termini sono cambiati, ma resta sempre da sciogliere il nodo istituzionale, vale a dire il modo di far convivere la democrazia diretta con le richieste europee in termini di ripresa dinamica del diritto e di composizione delle controversie. Gerhard Pfister, presidente del Centro, un partito che potrebbe giocare un ruolo chiave, l’anno scorso aveva ben riassunto i termini della questione in un’intervista al nostro giornale: «Sul tappeto ci sono questioni difficili, che il Ticino conosce benissimo. Non possiamo accettare accordi che vadano solo a vantaggio dell’UE. Dobbiamo tutelare i salari e le assicurazioni sociali. Servono per questo clausole di salvaguardia. Bisogna portare pazienza. È meglio continuare a trattare piuttosto che avere rapidamente una soluzione che non è tale. Abbiamo bisogno di una buona soluzione istituzionale per la risoluzione delle controversie, compatibile con le regole della democrazia diretta». Ma intanto, mentre a Bruxelles si negozia febbrilmente, le resistenze in casa si organizzano. Alle obiezioni dell’UDC (e dei sindacati) si aggiungono ora gli imprenditori riuniti dietro l’iniziativa «Bussola». Sembra di tornare al 1992. Non a caso, ieri la NZZ ha parlato di «Operazione SEE 2.0», attribuendole delle chance. 

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