Bruno Ganz, l’angelo e il diavolo

La morte di Bruno Ganz è di quelle che provocano dispiacere, poiché si perde un personaggio che ci ha accompagnati per decenni, contribuendo a raccontarci storie che hanno lasciato il segno nella nostra memoria. D’altra parte è anche una morte che suscita stupore poiché il 77.enne attore svizzero - forse proprio perché intuiva avvicinarsi la fine - era stato attivissimo negli ultimi mesi. Lo si è visto nel maggio scorso al Festival di Cannes nei panni di Verge, sorta di «coscienza nera» del serial killer Matt Dillon in The House that Jack Built del regista «maledetto» Lars von Trier. Qualche mese prima era invece stato ospite della Berlinale per la prima mondiale di quello che rimarrà il suo ultimo film svizzero: Fortuna di Germinal Roaux nel quale interpreta l’Abate Jean, autore di un bellissimo discorso sulla tolleranza e la fratellanza rivolto a un funzionario al quale interessa solo far rispettare i regolamenti sui giovani richiedenti l’asilo. E nel 2018 Ganz era riuscito ad interpretare anche Sigmund Freud in un film austriaco e un ex-generale dell’esercito iugoslavo chiamato a testimoniare contro un commilitone al Tribunale penale dell’Aia in I Witness del regista macedone Mitko Panov. In questi quattro ultimi titoli di una filmografia che ne conta oltre 120, si ritrova un concentrato delle caratteristiche principali del maggior attore elvetico della storia dai tempi di Michel Simon. Bruno Ganz sapeva interpretare figure storiche iper conosciute (come Freud) dando loro un inconfondibile tocco personale, sapeva calarsi in personaggi con nulla a che vedere con il proprio vissuto riuscendo a dar loro credibilità grazie al proprio carisma (il generale iugoslavo), sapeva incarnare un certo spirito svizzero fatto di forza tranquilla che non si ferma davanti a nulla in nome della verità (l’Abate Jean) e, da ultimo, aveva la capacità di trasformarsi nello «strumento» di un grande regista andando ad occupare perfettamente lo spazio che gli veniva concesso in un disegno di grande spessore, ciò che gli ha permesso regolarmente di essere presente nel cast di grandi produzioni internazionali. Grazie a questa maniera camaleontica di concepire il proprio lavoro, Ganz è stato capace di dar vita a una galleria di personaggi talmente eterogenei che pare impossibile siano stati interpretati dalla stessa persona. Basti pensare ai due che davvero più opposti non potrebbero essere e che costituiscono forse gli apici della sua carriera: l’Angelo de Il cielo sopra Berlino di Wim Wenders (1987) e la figura mortifera, ormai folle e abbandonata da tutti di Adolf Hitler in La caduta di Oliver Hirschbiegel (2004). Al di là di queste prestazioni d’eccezione, sono però molte le figure che Bruno Ganz ha reso indimenticabili: dal pacifico corniciaio che si trasforma in sicario de L’amico americano di Wenders al meccanico in crisi che filma Lisbona in Super 8 in Dans la ville blanche di Alain Tanner, dallo scrittore ossessionato dal passato in L’eternità e un giorno di Theo Anghelopulos all’incomprensibile e surreale cameriere Fernando Girasole di Pane e tulipani di Silvio Soldini. Un attore completo quindi, non sempre accondiscendente con la stampa (si ricorda una sua presenza al Locarno Festival di qualche anno fa dove venne a ritirare un premio alla carriera senza regalare nemmeno una parola né ai giornalisti né al pubblico) ma che quando dava la sua disponibilità non si tirava indietro. Indimenticabile un’intervista con lui a Zurigo nell’autunno del 2004, subito dopo la proiezione de La caduta. Lo aspetto in una saletta al centro della quale c’è un tavolo rotondo con sopra un mazzo di tulipani. Quando entra, per qualche secondo, ho l’impressione di trovarmi di fronte il diavolo (quello del film appena visto) e sento l’istinto di fuggire il più lontano possibile. Non l’ho fatto per fortuna e a poco a poco ho scoperto un uomo affabile e gentilissimo, con il quale si finisce a parlare italiano (la lingua di sua madre, la lingua del cuore) e - complice la presenza dei fiori - di Venezia e del film di Soldini che all’inizio lo aveva spaventato perché gli proponeva un personaggio davvero inedito. Ed erano di certo quelli che prediligeva il grande Bruno Ganz.