Burqa e Niqab tra diritti civili e vivere insieme

di FABIO PONTIGGIA - Il divieto di nascondere il volto in pubblico dietro copricapi come il burqa e il niqab chiama in causa i diritti fondamentali dell'individuo e le basi del nostro modello di società. È una questione che divide trasversalmente le aree di pensiero, con posizionamenti e schieramenti che possono sembrare a prima vista sorprendenti. Abbiamo infatti liberali doc favorevoli a quella che è pur sempre la limitazione di una libertà e social-progressisti difensori di quello che è, nei fatti, un atto retrogrado di sottomissione della donna. Le decisioni – rese pubbliche l'altro ieri – del Comitato dei diritti dell'uomo delle Nazioni Unite sui ricorsi di due donne francesi sono destinate ad allargare ancor più il fossato tra gli uni e gli altri. Va detto in entrata che il Comitato dell'ONU non è un organismo giurisdizionale. È invece un'istituzione composta di 18 esperti che esaminano le petizioni di singoli cittadini in relazione alla Convenzione internazionale sui diritti civili e politici esprimendo una loro interpretazione. Ebbene, gli esperti – a maggioranza – hanno concluso che la legge francese che vieta penalmente la dissimulazione del viso nei luoghi pubblici, e quindi che proibisce il burqa e il niqab (ma lo stesso vale per il cappuccio del Ku Klux Klan), viola i diritti civili e politici poiché costituisce una forma di discriminazione fondata sul sesso e sulla religione. La maggioranza degli esperti ha aggiunto che la Francia deve addirittura risarcire le due donne per il pregiudizio da loro subito. Sono conclusioni diametralmente opposte a quelle cui era giunta la Corte europea dei diritti dell'uomo (CEDU) nella storica sentenza del 2014 che aveva invece respinto un analogo ricorso di una donna francese contro la medesima legge, la quale aveva così trovato una definitiva legittimazione. A differenza del Comitato dell'ONU, la CEDU è un organismo giurisdizionale alle cui sentenze i Paesi che fanno parte del Consiglio d'Europa devono assoggettarsi. La CEDU ha giustificato il divieto puntando esclusivamente sul concetto del «vivere insieme». Il viso aperto, riconoscibile, quando si è in pubblico costituisce l'esigenza minima del vivere insieme, poiché «il volto gioca un ruolo importante nell'interazione sociale», «è un elemento indispensabile della vita in società», mentre la sua dissimulazione, cioè la chiusura opposta agli altri individui, è ammissibile che venga percepita «come una lesione del diritto altrui di evolvere in uno spazio di sociabilità che faciliti la vita insieme». I giudici della CEDU hanno tenuto conto dei rischi che un simile divieto comporta (stereotipi, intolleranza, islamofobia), ma hanno concluso che la legge li evita, rispettando il principio di proporzionalità. La maggioranza degli esperti del Comitato dell'ONU ha per contro contestato proprio la nozione del «vivere insieme» definendola «molto vaga e astratta». E ha specificato che la Francia non ha indicato nessun diritto o libertà che verrebbero colpiti dall'azione di chi gira in pubblico con il volto nascosto. «Il diritto di interagire con non importa quale individuo nello spazio pubblico o il diritto di non essere turbati dal velo integrale indossato da altre persone non sono tutelati dalla Convenzione (internazionale sui diritti civili e politici, ndr)», per cui non si giustifica il divieto. Al di là del fatto che non tutti gli esperti del Comitato dell'ONU hanno condiviso questo parere (se ne è dissociato in particolare, e in termini molto netti e forti, il giurista e docente universitario tunisino Yadh Ben Achour, esperto di teorie politiche islamiche), questo è un punto di grandissimo interesse. I giudici della CEDU (come il legislatore francese) si son visti confrontati con una situazione inedita. Nel nostro modello di società aperta girare in pubblico a viso aperto è un comportamento scontato, da tutti condiviso, che non richiede regole. Ma quest'esigenza del vivere insieme universalmente riconosciuta è stata messa in discussione con l'arrivo da noi delle prime donne nascoste dietro il niqab e il burqa (poco importa se per imposizione o per libera scelta). Di qui la necessità di mettere paletti un tempo superflui. Le decisioni del Comitato dell'ONU, nel loro formalismo giuridico, appaiono rivolte a un passato di apertura dato per acquisito, senza vedere i rischi reali di chiusure presenti e future. La sentenza della CEDU è invece di una modernità tanto lungimirante quanto sofferta, costretta com'è a legittimare un divieto che nessun fautore della società aperta avrebbe mai voluto dover immaginare e varare come necessario.