Calcio e social: gli smartphone come il sesso

I social network. E gli smartphone. Quelli che ci ostiniamo a chiamare «telefonini», sebbene siano molto più «oni». Fabio Capello di recente ne ha discusso al CineStar di Lugano. Ma è la cronaca di questi giorni a darci l’aggancio. Domanda: i calciatori rendono meno perché passano troppo tempo davanti allo schermo? Può darsi. O forse è solo un’impressione, dettata da questi tempi moderni.
Primo esempio. Sabato sera, poco prima delle 18.00. Nelle case di tutta Italia (e del mondo) passano le immagini prepartita di Milan-Napoli. La telecamera, come è consuetudine oramai, viola il luogo sacro per eccellenza: lo spogliatoio. La pay-tv entra nello stanzone rossonero, il regista si sofferma su alcuni calciatori. Rebic, Kessie e Biglia. Hanno il cellulare in mano e lo sguardo fisso sull’aggeggio. Ohibò, e la partita? I fermo-immagine diventano virali (sui social, ovviamente) mentre Sky si affretta a dire che le riprese in realtà sono state registrate ad un’ora dal calcio d’inizio. Non serve, perché i tifosi del Diavolo si scatenano: mancanza di professionalità e scarsa concentrazione le accuse più eleganti rivolte ai tre.
Secondo esempio. Il presidente del Brescia Massimo Cellino si lancia in un’avventurosa critica a Mario Balotelli. Avventurosa perché parte da una frase shock e terribile: «È nero ma sta lavorando per schiarirsi». L’intento, aggiunge però il club lombardo, era quello di «sdrammatizzare un’esposizione mediatica eccessiva» e di «proteggere il giocatore stesso». Al di là dell’uscita sbagliata e infelice, prendiamo un altro estratto del Cellino-pensiero: «È giusto comunicare con la gente però forse Balotelli dà più peso ai social che ai suoi valori da sportivo». Eccallà, per dirla con Christian De Sica.
Forse gioverebbe ricordare, ai fini del dibattito, che ai tempi i calciatori avevano vizi peggiori dentro e fuori lo spogliatoio: c’è chi si accendeva senza problemi una sigaretta, chi (come «Tatanka» Hübner) oltre al fumo si concedeva un grappino fra un tempo e l’altro. E chi, al di là della sacralità del momento, di ascoltare l’allenatore per le ultime consegne non voleva saperne. Gli smartphone sono diventati come il sesso: un’abitudine sconsigliata e malvista dall’opinione pubblica, quantomeno prima della partita.