Che fine ha fatto la vita offline?

Si può ancora vivere senza internet? Operazioni che un tempo erano elementari “nel mondo reale”, oggi ti sono precluse se non possiedi una connessione al web. Qualche anno fa, dopo aver trascrorso un piacevole weekend primaverile in Versilia, abbiamo misurato l’imbarazzo del ricezionista quando ha dovuto spiegarci che no, non era possibile prenotare le vacanze estive lì al bancone dell’hotel, ma bisognava farlo online: “E se uno non ha internet?”, abbiamo obiettato. La risposta dell’incolpevole inserviente era stato un goffo discostamento delle braccia dal tronco. Un segno di resa a una realtà più grande e più forte di noi.
Perché, piano piano, e dopo la pandemia in modo conclamato, azioni come l’acquisto di un biglietto del treno, la consultazione della lista dei compiti di scuola, la lettura di una mappa stradale per raggiungere il ristorante, i pagamenti delle fatture e in pratica tutto ciò che fino a poco tempo prima facevi con una penna, un pezzo di carta e un francobollo o con una telefonata si è trasferito online.


È una pioggia di email e documenti in PDF da corredare – “comodamente”, come ci viene sempre ricordato - con firma elettronica e dati bancari.
Comodo, economico e “smart” lo sarà per i nativi digitali, ma c’è una larga fetta della popolazione per cui l’aggettivo “digitale” indica tutt’al più l’impronta dell’indice o del pollice, non la geniale alternativa al sistema analogico.
Il primo e più profondo “gap” tecnologico non è fra Paesi ricchi e Paesi poveri, come dimostra il fatto che anche i migranti se la cavano assai bene coi telefonini, ma quello tra i giovani e le generazioni che li hanno preceduti.
La solitudine generata dalle nuove tecnologie si ramifica in due direzioni opposte. Da una parte c’è quella dei giovani che si ritraggono dal mondo per immergersi negli universi virtuali dei giochi online, dei social e delle chat e fanno fatica a rapportarsi alla realtà esterna ai computer. Molti ragazzi gestiscono bene il rapporto tra la vita online e quella offline, alcuni no. È il caso dei cosiddetti “hikikomori”, di cui parliamo nel CorrierePiù di oggi. Dall’altra c’è la solitudine di quei vecchi che, non sapendo utilizzare i nuovi strumenti di comunicazione, vengono tagliati fuori da azioni e iniziative che nel “mondo analogico” sarebbero alla loro portata (come, appunto, farsi un biglietto del treno andando in biglietteria).


La velocità della rivoluzione in atto supera la nostra capacità sociale di gestirla. Dobbiamo creare un equilibrio tra vita connessa e disconnessa, senza nostalgie del passato pre tecnologico e senza venire risucchiati dentro i nuovi strumenti che abbiamo a disposizione per non uscirne più. Probabilmente ha ragione Luciano Floridi, professore all’Università di Oxford, che ha coniato il termine “onlife” spiegando che “è come la società delle mangrovie: vivono in acqua salmastra, dove quella dei fiumi e quella del mare si incontrano. Un ambiente incomprensibile se lo si guarda con l’ottica dell’acqua dolce o dell’acqua salata. Onlife è questo: la nuova esistenza nella quale la barriera fra reale e virtuale è caduta, non c’è più differenza fra “online” e “offline”, ma c’è appunto una “onlife”: la nostra esistenza, che è ibrida come l’habitat delle mangrovie”.
Apprezziamo il realismo di Floridi che indirettamente ci invita a non combattere battaglie fuori tempo e ad accettare la realtà per quello che è (diventata). Nel frattempo, non bisogna lasciar soli gli anziani nell’acqua salmastra delle mangrovie e trovare il modo, sia a livello statale che privato, di non cancellare del tutto le modalità tradizionali di comunicazione che restano alla loro portata.
Ai nativi digitali va invece ricordata la vecchia e sanissima regola che valeva quando c’era chi si stracciava le vesti per i programmi televisivi troppo sciocchi o violenti. C’era allora e c’è anche oggi un pulsante da schiacciare per spegnere lo schermo. È un po’ come quando d’estate si sale al rustico dove non c’è elettricità, ma ci si può disconnettere dal mondo e starsene, finalmente, in santa pace e diventando per qualche giorno hikikomori alla rovescia.