Chi non legge non può votare
I giovani paiono poco informati sulla cosa pubblica e vanno poco a votare. Alle ultime elezioni comunali ticinesi di aprile ha partecipato il 58,6% degli aventi diritto di voto. C’è però una grande differenza fra i 66-75enni, la cui partecipazione è stata del 70,1%, e i 26-35enni che si sono fermati al 39,4%. Potremmo in sintesi dire che per le votazioni comunali, quelle più vicine al cittadino che quindi dovrebbe sentirsi più coinvolto, sono andati a votare in generale sei cittadini su dieci. Ma fra gli anziani si sono mossi sette cittadini su dieci, mentre i giovani non arrivano a quattro.
Il ritornello è abusato ma quanto mai autentico: possiamo non occuparci della politica ma poi la politica si occupa in ogni caso di noi. Nessuno vorrà negare che scegliere il sindaco del proprio comune è un atto civico di peso. Se lo si sceglie male ne paghiamo tutti, giovani e anziani, le spiacevoli conseguenze. Al di là del valore delle singole persone, non sorprenderà rilevare che negli esecutivi dei comuni ticinesi siano stati eletti più uomini che donne, più anziani che giovani. Possiamo immaginare che cosa poi succeda quando le cose diventano più complesse e le votazioni mettono in campo temi ostici quali quelli sottoposti ieri alla popolazione. Basterebbe pensare ai costi della sanità, rispetto al quale informarsi per davvero costa grande fatica. Eppure la democrazia diretta richiede proprio questo: la voglia di impegnarsi per farsi un’idea di come si possa intervenire in campi fondamentali e delicati quali la sanità, ma anche la giustizia, l’energia, le pensioni, la fiscalità, tanto per citare alcuni temi presenti nelle votazioni di ieri. Il quoziente intellettivo (QI) della popolazione contemporanea sembra essere in calo negli ultimi due decenni. Le interpretazioni di questa preoccupante diminuzione dell’intelligenza sono molteplici e parecchi specialisti invitano alla cautela prima di lanciarsi in spiegazioni affrettate.
D’accordo, non bisogna allarmarsi al di là del dovuto, ma, sia quel che sia, dopo essere costantemente cresciuto fino alla fine dello scorso millennio, il QI è incominciato a calare, seppur lentamente, in varie parti del mondo, definendo così una tendenza globale da seguire con attenzione. Sappiamo che sotto una certa soglia di partecipazione la democrazia perde di significato, ma sappiamo anche che la società diventa sempre più complessa. E il cervello si comporta come un muscolo che va usato e allenato, altrimenti si atrofizza. Il ruolo impigrente delle tecnologie digitali è difficilmente contestabile. Se dobbiamo recarci da A a B, un conto è farlo con l’ausilio di una mappa e con il proprio cervello che si sforza di orientarsi nello spazio, un altro conto è affidarci tranquillamente al navigatore automatico della nostra automobile per farci guidare a destinazione. Ma che cosa sta succedendo con la diffusione dell’intelligenza artificiale (IA) alla quale saremo tentati di delegare sempre più compiti in nostra vece. Il cambiamento è davvero epocale e l’IA, che è qui per restare, non è certo paragonabile al metaverso, di cui tanto si è discusso e sul quale molto si è pure investito. Con l’IA potremmo già essere entrati nell’era dell’«homo extensus» e dell’«intelligenza estesa», una visione ottimista che vede nell’avvento dell’IA una rivoluzione paragonabile alla scoperta rivoluzionaria della scrittura alfabetica. Si pensa ad un’estensione delle capacità umane che non mettano esclusivamente nelle mani di nessun copilota automatico la capacità di scrivere testi e di comprenderli, o di imparare le lingue straniere. L’uomo deve mantenere il controllo, evitando che l’IA favorisca certe derive ben presenti nei social sregolati, che a scopo di lucro rubano tempo e condizionano fortemente le giovani generazioni e non solo loro.
Tutti devono fare politica nel senso nobile del termine, cercando di capire e impegnandosi per dare più senso alla propria vita e a quella degli altri. Non dobbiamo lasciare che il «copilota intelligente» dell’IA si trasformi in una guida che a poco a poco ci mette da parte. Magari immaginando l’«elemosina» di un reddito di cittadinanza per un cittadino impigrito che non legge, non sceglie e non vota. Schiavo della propria pigrizia.